di Luca Pennati
Giorno 9
Come ogni sera cerco di riordinare le idee e i fatti avvenuti durante la giornata. È importante! Tra l’altro se scrivo è perché lo posso ancora fare. Non so chi potrà trovare il mio diario se dovessi morire, quindi cercherò di essere preciso.
È l’unica cosa che mi rimane oltre a vivere.
In questo momento stiamo valutando una mappa. Ma tempo al tempo.
Ieri notte è stata lunghissima, non abbiamo chiuso occhio.
Oltre le vetrate c’è stato parecchio movimento e parecchia agitazione.
Con John abbiamo scelto il punto di osservazione migliore ovvero alla metà della scala mobile centrale nell’atrio. Riuscivamo a vedere 3/4 del piazzale. Cercavamo di guardare oltre gli infetti, che erano circa un centinaio ma continuavo a soffermarmi sui volti o quello che ne restava.
Inespressivi, molti con pezzi mancanti. Putridi e sporchi; annusavano l’aria e anche se davano l’impressione di non poterci vedere di sicuro ci sentivano.
Ci siamo accorti di essere rimasti pietrificati di fronte a quello spettacolo e che se avevamo bisogno di muoverci lo facevamo al rallentatore, quasi senza respirare.
Se avessero deciso di sfondare, gli sarebbe bastato concentrare le spinte e la vetrata sarebbe venuta giù in un attimo. Anche le serrande presenti oltre non avrebbero retto.
Da soli sono “innocui” ma insieme sono inesorabili. Anche se fossimo stati dei cecchini maledetti o benedetti, tipo “one shot, one kill”, saremmo durati a malapena mezz’ora.
Questa è la triste realtà, un’invasione di massa sarebbe fatale. Siamo ancora nella condizione di dover scappare, aspettare e non farsi infettare.
Altre regolette semplici semplici.
La difesa dell’avamposto è lontana dal realizzarsi al momento.
Verso le quattro di notte, proprio quando Sarah è arrivata per darci il cambio, si sono presentati in pompa magna il gruppo dei pick-up. Ne abbiamo visti sfrecciare almeno 6: neri e rombanti; nel cassone esterno c’erano delle persone, in divisa. Le auto avevano i fari abbaglianti accesi. John pensando a voce alta si è chiesto il perché della luce e di tutto quel rumore.
Il rumore serviva ad attirarli, le luci a vederli meglio e forse ad accecarli.
In pratica li stavano radunando per poi eliminarli.
Le auto si sono disposte quindi in circolo e da dietro hanno incominciato gli spari. Colpi singoli qualche raffica molto mirata, forse per “qualcuno” che si staccava dal gruppo.
Eravamo dietro le linee nemiche. C’hanno impiegato un’ora. Erano armati fino ai denti.
Che poi anche gli zombie sono armati fino ai denti…
I corpi si accasciavano, la stranezza è che se molti cercavano di dirigersi verso i pick-up, altri rimanevano attratti dall’interno del Centro e continuavano a battere e grattare sulle vetrate.
Devo dire che in quel momento abbiamo provato quasi pena per quelle “non persone” e se non avessero avuto lo sguardo perso nel vuoto, le sclere giallo senape e la pelle bluastra, saremmo corsi ad aprire le porte per aiutarli.
Nel frattempo dietro a me e a John sono arrivati anche gli altri. Amy piangendo è corsa dalla sorella. Erano comunque tutti terrorizzati. Tisha mi ha fatto “la domanda”: quelli vivi là fuori sono buoni o cattivi?
In quel momento le ho risposto sinceramente: non lo so!
Quando ormai i cadaveri erano tutti accasciati, i militari hanno incominciato a sparare sulle vetrate. I vetri però non si sono infranti. I colpi hanno formato delle rose piuttosto estese in corrispondenza delle esplosioni.
Ho pensato: ecco la fine.
Possibile avere più paura dei vivi che dei morti? Si, eccome!
Con l’aiuto di una ruspa, hanno ripulito l’ingresso, accatastato i corpi putrefatti e dato loro fuoco. Il falò che si è levato rischiarava tutta l’area come se fosse giorno.
Quello che sembrava il capo della spedizione ha fatto un passaggio ravvicinato vicino alle vetrate e si è fermato. Ha guardato nella nostra direzione e ci ha fatto ciao ciao con la manina… ci si è raggelato il sangue. Sembrava avesse un ghigno bastardo.
Ormai stava albeggiando e il grosso pick-up nero con a bordo il comandante del team di assalitori ha preso la rincorsa per sfondare l’ingresso principale.
Da vero condottiero sembrava non avesse alcun dubbio sulla riuscita del piano.
Invece gli è andato tutto storto.
Dopo aver sfondato le vetrate non aveva tenuto conto delle serrande e queste si sono tirate dietro tutta l’intelaiatura sovrastante rovinando sulla macchina e bloccandone la corsa.
Abbiamo capito subito che il tizio all’interno non se la stava passando molto bene. Anzi era praticamente andato.
Ho detto a John che saremmo dovuti andare ad aiutarlo. Fuori intanto si sentivano urla ma al momento non eravamo in grado di capire cosa stesse succedendo.
Il parabrezza si era infranto e diversi parti di vetro si erano conficcate nell’addome del militare. Aveva perso i sensi e non rispondeva. Ho cercato di strattonarlo ma niente.
Sul sedile del passeggero, c’era un M16 con dei caricatori e uno zaino. Li ho presi.
Guardando nel lunotto posteriore purtroppo ci siamo accorti che nonostante il coraggio dimostrato, il team di assalitori era nel marasma totale. Probabilmente avevano sottovalutato parecchie cose; in primis di fare la guardia intorno al perimetro d’azione.
Le urla che sentivamo erano quelle dei militari sopraffatti da uno sciame di infetti evidentemente attirato da tutto il casino che avevano combinato.
E noi sempre nel mezzo… ma porca…..
Quelli ancora a bordo dei pick-up a quel punto hanno dovuto indietreggiare e abbandonare il campo.
Con l’M16 ho sparato una decina di colpi e ne ho seccati 4 o forse 5… ottimisticamente.
Ho urlato agli altri di salire al secondo piano per recuperare l’attrezzatura e che forse ci saremmo dovuti spostare sul tetto.
Per fortuna la macchina è praticamente incastrata nelle serrande divelte, e non permetterà di far entrare nessuno. Almeno spero.
Io e John siamo al secondo piano e abbiamo barricato le scale mobili, chi vorrà salire farà molta fatica almeno. Le ragazze e Andrew sono sul tetto, hanno portato delle tende igloo e delle coperte. Comunque nei centri commerciali si trova di tutto al giorno d’oggi.
Dall’alto abbiamo visto che lo sciame si è diretto all’inseguimento dei pick-up rimasti. Dopo un po’ il rumore è cessato.
O si sono saziati oppure sono andati veramente lontano.
Ci siamo dati una notte di tempo ma domani con la luce del giorno ci sposteremo.
Nello zaino del comandante, ancora occupante il pick-up nell’atrio, abbiamo trovato delle razioni K, una termocoperta in alluminio, un kit di sopravvivenza avanzato insomma.
Cosa più importante però è stata trovare la mappa. Infatti ora stiamo cercando di decifrare il codice con il quale è stata segnata. Ci sono delle zone evidenziate in verde e in base alla loro dislocazione, coerentemente distribuita, hanno tutta l’aria di essere dei posti sicuri.
Qualcuno è smarcato in rosso e temo che non voglia dire una bella cosa.
Una parte piuttosto cospicua della mappa è tratteggiata come se fosse un percorso che porta al nostro Centro. Dalla parte opposta abbiamo individuato un luogo in aperta campagna denominato “la fattoria”.
Quell’area boschiva sia io che John non la conosciamo. Nonostante che siamo entrambi della zona, da diversi anni si sa che in quelle selve è meglio non andare. S’incontrano alte palizzate, recinzioni sormontate da filo spinato. Roba militare molto riservata e chi si è avventurato ha sempre avuto un po’ di problemi con lo sceriffo.
Ci siamo guardati negli occhi e senza neanche dirlo abbiamo capito che dovremo dirigerci là.
Qualcosa ci dice che forse avremo le risposte ai tanti interrogativi.
To be continued …
Luca Pennati