di Massimiliano Foschi
Provincia di Herat,
Afghanistan occidentale
Ottobre 2017
Fa freddo nella caverna.
La debole stufa alimentata dal generatore a kerosene non riesce a riscaldare l’ampia volta ricavata nel ventre della montagna.
“Fottute montagne”, pensa Akmed, mentre il fiato si condensa per la bassa, troppo bassa, temperatura.
Fottuto paese l’Afghanistan.
Fatto di aspre montagne, valli inaccessibili e passi adatti solo per i muli.
Un paese abitato da una razza di pastori montanari ignoranti.
Eppure indomabili. Pastori guerrieri.
Dopo gli inglesi, i russi ed ora gli americani. Stessa storia, stesso copione, stesso finale. Alla fine se ne andranno anche loro.
Però questa volta ci sono anche altri. I Talebani.
Brutta razza. Fanatici. Gente senza scrupoli.
Hanno una sola cosa in testa. La fottuta jihad.
Ma è proprio per queste dannate qualità che le teste d’uovo di Teheran hanno deciso di rivolgersi a loro.
Ed è toccato a lui, uomo di fiducia del Vevak, il servizio segreto iraniano, accompagnare e scortare il colonnello Katthami fin lì nel cuore, anzi nel culo, del fottuto Afganistan a condurre una delicatissima trattativa con una delegazione dei vertici talebani.
A lui, Akmed, non hanno detto molto. Ma dalle indiscrezioni che ha colto pare che ai combattenti della jihad verrà dato il compito di collaudare sul campo una nuovo prototipo di arma biologica, attualmente in fase di completamento in un laboratorio segreto finanziato e gestito dal governo iraniano ma situato proprio a poche miglia da lì, in pieno territorio afgano.
Ad Akmed viene offerta una tazza di the bollente. Lui accetta volentieri, ringraziando, con un cenno del capo, l’uomo dalla lunga barba nera che gli porge la tazza fumante.
Un combattente anche lui di certo.
Altri quattro uomini con lunghe barbe nere e turbanti, altrettanto neri, sono seduti intorno a piccolo tavolo. Tutti comandanti talebani.
Il colonnello Katthami, uno degli uomini più importanti del Vevak, apre la ventiquattro ore di pelle posata sul tavolo. Dentro vi sono quindici milioni di dollari. Il salario della paura. Tanto hanno chiesto i combattenti di Allah per il servizio agli iraniani.
Certo, nemmeno a Teheran possono permettersi di sputtanarsi direttamente.
“Assoldiamo questa banda di tagliagole in nome della fede per fare il lavoro sporco” a questo pensa Akmed mentre osserva il passaggio del denaro da mani iraniane a mani talebane.
“È quanto stabilito, nobile Omar Sha” dice il colonnello Katthami, “entro due settimane i nostri tecnici stimano che i primi campioni del nuovo agente biologico FDH 51 saranno disponibili e pronti all’uso sul campo. Preparate il teatro operativo e tenetevi pronti. Non vogliamo errori“.
L’uomo chiamato Omar Sha annuisce lentamente.
E’ un uomo di parola temuto e rispettato fra gli uomini di fede e tra i guerrieri, ma sa anche che gli iraniani sono gente permalosa e vendicativa e non bisogna scherzare con loro.
“Non temere colonnello Katthami noi saremo pronti per quando sarà il momento. Ho già predisposto e selezionato personalmente gli uomini che parteciperanno all’azione e ho anche scelto con cura l’obiettivo. I cani infedeli pagheranno alto il prezzo della loro arroganza questa volta“.
“E’ fatta”, pensa Akmed, “la transazione è conclusa. Tra poco ce ne andremo da questa fottuta caverna”.
Il Toyota con guida afgana in meno di un ora li porterà alla piccola radura dove un elicottero da trasporto dell’esercito iraniano li sta aspettando per riportarli a casa.
…A Dio piacendo.
Base aerea americana di Bagram
60 km da Kabul
La luce rossastra dei tramonti afgani filtra attraverso le piccole finestrelle del piccolo hangar posto in una zona periferica del grande compound.
All’esterno in lontananza i rumori dei motori dell’Humvee.
L’atmosfera è rilassata per quanto può esserlo prima di una missione di quel tipo.
Il fatto che il personale si conceda qualche battuta di scherzo non toglie nulla al livello altissimo di concentrazione.
Alle spalle del maggiore in uniforme dei marines è teso un telo di proiezione.
A fianco del maggiore in camicia a fiori e pantaloni di lino, invece, un uomo dalla barba incolta e capelli biondo cenere. Un uomo della Cia. Lo conoscono tutti alla base.
Quasi tutti.
Di fronte a loro, in completa tuta da combattimento nera come la notte e anfibi, le due squadre a cui è stata assegnata l’operazione JoA.
Joke of Allah.
Due squadre da otto. Sedici uomini in tutto. Anzi, dodici uomini e quattro donne.
Il meglio delle forze speciali a stelle e strisce. Meglio anche del SAS, dicono loro.
Sul telo, alle spalle del maggiore, compare l’immagine di quella che sembra una grande fattoria nel mezzo di una brughiera dove intorno non cresce nulla.
Gli scherzi e il cazzeggio tra i ragazzi si interrompe di colpo.
E’ il maggiore a parlare per primo. Il maggiore O ‘Neil. Un dannato irlandese di importazione.
“Va bene ragazzi. Un attimo di attenzione adesso. Osservate bene questa struttura perché questo è l’obiettivo. Adesso lascio la parola a mr. Rodhas, che molti di voi già conoscono, che vi spiegherà brevemente di che si tratta e cosa hanno scoperto gli amici di Langley. Prego Osvald” dice indicando con un gesto della mano l’uomo con la camicia a fiori.
Osvald G. Rodhas è un uomo che ha superato i cinquanta anni e il suo fisico, decisamente in sovrappeso da bevitore di birra, li dimostra tutti. Ma è uno in gamba. Uno che ci sa fare. E’ di sicuro quando parla, riesce a catturare l’attenzione su di sé.
Si accende un Cohiba e indica l’immagine.
“Come diceva il maggiore quello è il vostro obiettivo. O meglio la parte visibile. Il resto, ossia il VERO obiettivo, sta sotto. Sottoterra. Si estende in profondità su cinque livelli“.
“In che zona si trova ?“. Prima interruzione. Jonas Osborne. Sergente. Capelli a spazzola, pizzetto e spalle da trequartista.
“Provincia di Herat“, risponde Rodhas, “zona che, come ben sapete, è quasi sotto il completo controllo delle teste di stracci. Ma questo è il problema minore. La vera rogna è quello che c’è li sotto“.
Pausa. Il tempo per focalizzare bene l’attenzione di tutti.
“I figli di puttana iraniani ci hanno impiantato un moderno laboratorio con attrezzature e tecnologia russa per lo sviluppo di armi biologiche. Anzi di una in particolare. Un prototipo di bio-arma di nuova generazione che si basa, in realtà, su un vecchio progetto russo risalente addirittura ai tempi di Stalin della seconda guerra mondiale. Il nome in codice è FDH 51 e pare che sia davvero una brutta bestia“.
“Cosa sappiamo di questa nuova bio-arma ?“. Seconda interruzione. Gisele Ambush. Caporale. Nera. Fisico da centometrista e capelli con treccine rasta.
Rodhas le pianta gli occhi negli occhi appoggiandosi con entrambe la mani al tavolo.
“Sappiamo che è pronta. E sappiamo anche che sono pronti ad usarla. Ma per farlo si sono rivolti a quei bastardi dei Talebani. L’obiettivo è una base avanzata delle forze italiane. Un avamposto con misure di difesa più limitate rispetto alle nostre“.
“Non si vogliono sporcare le mani direttamente per paura di ritorsioni quei succhiacazzi di Teheran“. Terza interruzione. Stavolta è Milus Nana detto Buba. Anche lui nero, ma con la testa lucida come una palla da bigliardo su due spalle da toro.
“Esattamente” annuisce Rodhas.
E’ il maggiore a prendere la parola ora.
“Ok ragazzi. Ora che sapete di che si tratta, vi dico cosa dovrete fare voi. Entrerete nel laboratorio, dovrete prelevare almeno un campione della bio-arma e distruggere tutto il resto. Ovvero il resto dei campioni prodotti e le attrezzature“.
“Livello di sicurezza ?“. Wenona Borslav detta Wena. Sergente maggiore. Capelli neri, corti. Una macchina da guerra. Fisico da decatleta con una percentuale di grasso corporeo prossima allo zero. Esperta in combattimento corpo a corpo e nell’uso di ogni genere di arma. Letale. Pericolosa. E stronza. Odiata e temuta nella squadra, ma è una cazzo di dura e quindi va bene così.
E’ sempre il maggiore O’neil a rispondere.
“Elevato. Molto elevato. E della peggiore specie. Pare sia stato affidato a personale esterno. Contractors. Mercenari. Soprattutto russi. Ex spetnatz. Quindi gente con i coglioni. Comunque la vostra direttiva vi autorizza all’uso incondizionato di forza letale con estremo pregiudizio. Ogni resistenza va eliminata. Senza esitazioni“.
Il maggiore guarda i suoi uomini.
“Altre domande ?”
“Quando si parte ?“. Ramon Dasilva. Soldato semplice. Una cicatrice che gli attraversa la faccia, ricordo di una rissa in un bar di Tijuana prima di arruolarsi.
“Tra due ore. L’attacco alla base italiana è previsto per dopodomani. Non abbiamo tempo da perdere. E’ tutto“.
“In bocca al lupo ragazzi e che dio vi assista“. E’ Rodhas a chiudere.
Massimiliano Foschi