di Massimiliano Foschi
Provincia di Herat.
Laboratorio di ricerca e sviluppo iraniano
“Hai sentito Samir? La troia russa ha deciso di proibire ogni uscita all’esterno del laboratorio. Niente più superficie. Niente più aria”.
Mansur El Mahmoud, ricercatore e laureato in scienze biologiche all’università di Teheran, braccio destro di Samir Bashad il responsabile del progetto FDH 51.
Samir lo guarda cupo. Il respiro si fa pesante. La sua voce roca.
“Mansur, mio caro e fedele amico, la troia russa ben presto smetterà di darci ordini e di umiliarci a noi, fedeli servi dell’unico vero Dio Allah”.
Mansur lo guarda senza capire bene le sue parole
“Perché dici questo Samir? Come fai ad essere così sicuro di quello che dici? Lei è più forte di noi. Ha le armi ed è senza pietà e in più ha dalla sua parte il gruppo di uomini e donne che le obbediscono ciecamente. Anche i nostri capi si fidano di lei e noi, che siamo solo studiosi, che possiamo fare contro la sua violenza?”.
Samir sorride
“Oh noi possiamo fare molto Mansur, molto più di quanto pensi. Anche noi abbiamo le nostre armi. E poi non saremo soli”.
Mansur El Mahmoud guarda Samir in modo sospettoso. La sua fronte si increspa.
“Cosa intendi dire? Cosa sai che io non so, Samir? Per Allah parla!”
Mansur vede Samir iniziare a sudare.
“Ho venduto le informazioni sul laboratorio agli americani. Presto saranno qui e attaccheranno. Distruggeranno tutto. E, credimi, non ci sarà scampo per nessuno. A meno che noi riusciamo a usare i <<pazienti>> contro di loro”.
Mansur resta a bocca aperta. La rivelazione di Samir gli ha gelato il sangue nelle vene.
“Mio Dio, Samir! Hai tradito con i nostri peggiori nemici! Ma soprattutto è folle la tua idea di usare i <<pazienti>>. Sono tutti infetti, lo sai benissimo. Non si possono controllare. Sono un abominio! Ci distruggeranno tutti!”
“Lo so!”
Samir batte violentemente il pugno sul tavolo.
“Lo so benissimo che razza di mostri abbiamo creato! Ed è proprio per porre fine a tutto questo che ho deciso così. Quello che abbiamo creato qui va contro ogni volere di Dio. Dobbiamo fermarli, ad ogni costo. La troia russa, i suoi tirapiedi e gli americani, tutti quanti devono pagare per questo. E la nostra arma più potente sono proprio loro: gli infetti! Loro non se lo aspettano, non sanno nulla di loro, non sanno cosa li aspetta. Noi li libereremo e glieli scateneremo contro. Nemmeno le loro moderne armi potranno nulla contro la furia dei pazienti infetti. Niente e nessuno riuscirà a fermarli”.
Mansur scuote la testa.
“Quindi è questo il tuo piano. Che Allah abbia pietà di noi Samir”.
Samir sorride. Mastica amaro.
“Oh sì, mio fedele Mansur, Allah avrà pietà di noi perché sa che stiamo facendo la cosa giusta. Ma, credimi, non avrà pietà degli infedeli. Di nessuno di loro, a cominciare da quella cagna slava che comanda tutti noi”.
Teheran, sede del Vevak
Fredde luci al neon illuminano la stanza. Una piccola scrivania. Un computer. Scaffali pieni di fascicoli. Dossier.
L’uomo seduto dietro la scrivania è pensieroso. Fuma sigarette d’importazione.
Un altro uomo è con lui nella stanza.
Si chiama Akmed ed è l’uomo di fiducia del colonnello Kathhami. La sua ombra. Protettore e confidente.
“Cosa ti turba Colonnello? Conosco il tuo volto da troppi anni ormai”.
Katthami non lo guarda. Continua a fumare. E’ come assorto nei suoi pensieri.
“Spero che tutto vada bene. E’ un gioco molto pericoloso quello che stiamo facendo. Un doppio gioco con in palio una posta altissima. Se dovesse andare male la mia testa cadrebbe in un istante”.
“Tu non ti fidi dell’americana vero?”
Katthami questa volta si gira e guarda dritto in viso Akmed
“Fidarmi di una cagna militare americana che si vende per denaro come la peggiore delle prostitute? No, non mi fido. Sappiamo che gli americani hanno individuato il laboratorio. Sappiamo che attaccheranno e sappiamo che una di loro, quel diavolo di sergente maggiore, farà il doppio il gioco. Tradirà i suoi compagni e farà fallire l’operazione. Va bene. Ma siamo sicuri che tutto andrà bene? Che lei riuscirà a compiere la sua doppia missione?”
“Dubiti di lei? Mi sembra molto esperta e pericolosa quanto basta, a meno che non decida di tradire anche noi…come hai detto tu, si tratta pur sempre di una cagna infedele venduta per soldi”
Katthami guarda Akmed dritto negli occhi. Una luce fredda come il ghiaccio dell’inferno si accende nei suoi occhi.
“Prego per lei che non le venga in mente di fare una cosa del genere perché la mia vendetta sarebbe…tremenda, Akmed. Credimi, le riserverei una morte così lenta e dolorosa che le peggiori torture che tu riesci a immaginare non sono niente in confronto”.
Un brivido corre lungo la spina dorsale di Akmed. Sa che Katthami non parla a vanvera e quello che promette mantiene. Per un istante, un solo brevissimo istante si augura che l’americana delle forze speciali sul loro libro paga mantenga la parola data e faccia il suo dovere.
Strano a dirsi ma se lo augura per lei.
Akmed la conosce personalmente. L’ha contattata e avvicinata lui direttamente due mesi fa nel New Jersey.
Akmed non è un uomo debole. Ha sani principi ed è un convinto credente e sostenitore della vera fede. Disprezza e odia la dissoluta e corrotta civiltà occidentale. Specie la parte femminile di essa. Tuttavia quella donna…quella donna aveva qualcosa in se che lo aveva turbato. Al momento, e anche dopo, quando nei giorni successivi aveva ripensato a lei, ai suoi capelli neri, al suo viso scolpito e duro come una pietra, a quel suo fascino androgino, alla sua emanazione di forza e vigore fisico pur in un corpo snello e tonico come marmo.
Akmed aveva ripensato a lei e si era accorto di essere eccitato nel pensarla.
La odiava per questo. L’avrebbe uccisa lui stesso con le sue mani per questo sortilegio che gli stava facendo. Però prima l’avrebbe posseduta.
Perché Akmed sapeva benissimo quale era la sua debolezza.
Lui desiderava quella donna.
Massimiliano Foschi