Racconti brevi

di Alessandro Undici


afdmHo combattuto contro la peggior feccia presente sulla faccia della terra… ribelli, talebani, insorti e terroristi. Sono stato spedito in prima linea nei posti più inospitali e pericolosi al mondo. Ho fatto cose di cui non vado fiero, missioni top secret, recupero ostaggi e neutralizzazione di obiettivi sensibili, ne ho spalata di merda.

Eseguivo ordini e puntualmente mi sporcavo le mani… 

ero un membro dei reparti speciali americani, un marksman per la precisione…in tutti i sensi. Ero… perché questo non è un mestiere come gli altri, non puoi farlo per tutta la vita. Arrivi ad un punto in cui o muori o smetti. Io ho optato per la seconda. Ora sono un istruttore, tengo corsi di sopravvivenza e lavoro al poligono di tiro.

 

La vita militare non è come la disegnano, quella degli United States Marines Corps ancor meno, una volta indossata quell’uniforme non siamo più comuni esseri umani e non siamo più ciò che eravamo. Ci hanno insegnato a starcene buoni, in attesa di un segnale. Appostati, immobili, silenziosi e invisibili per ore, spesso giorni. Macchine da guerra a sangue freddo che non possono permettersi di soffrire né la fame né la sete. Possiamo fare a meno di tutto e per intenderci arriviamo anche a pisciarci addosso all’occorrenza. Dormiamo sempre con un occhio aperto e non sogniamo certo cose belle.

Se ci immaginate come nei film d’azione vuol dire che non avete capito niente. Scordatevi quindi quelle stronzate tutte effetti speciali e Dolby Surround, dove l’eroe di turno schiva proiettili ed esce indenne da un’esplosione con in braccio la top model di turno.

La realtà non è all’altezza della fantasia.

 

Sono a casa, sul tetto, seduto sulla mia comodissima sedia sdraio.

Mi godo il tramonto, calice di vino rosso e sigaro alla mano.

Binocolo sempre in pugno, ogni trenta minuti controllo il perimetro esterno. Uno sguardo veloce anche al cortile dei miei vicini, non ci sono e Dio solo sa dove o cosa siano. Se un giorno dovessero tornare farò loro i miei complimenti per il sistema d’allarme, suona ininterrottamente da quarantottore di fila, non si scarica mai quella batteria?

 

Sono sempre stato dell’idea che in generale i tetti siano sempre poco sfruttati e non riesco a capire il perché, posti senza vita utili solo a posizionarci le antenne satellitari e i motori dei condizionatori.

E’ una vera ingiustizia!

Il mio infatti è diverso, lo vivo! Un cartello sulla porta d’accesso vieta l’accesso alle persone non autorizzate. E’ il mio angolo di paradiso, non sono ammessi elementi di disturbo né rotture di coglioni, solo due o tre amici stretti hanno avuto la fortuna di aver varcato questa soglia. Quassù la visuale è perfetta, sono in collina e godo di un panorama mozzafiato che mi consente di tenere sotto controllo l’intero quartiere.

Ma non salgo solo per godermi il paesaggio, ho infatti creato un angolo con l’erbetta sintetica e una buca da golf portatile. E’ divertente! Con il putt vado abbastanza bene, non posso allenarmi più di tanto invece per migliorare lo swing, data la limitata disponibilità di palle.

Vengo su tutti i pomeriggi, impegni permettendo. Oggi c’è il sole non ho da fare un cazzo e quindi eccomi qui. Indosso dei pantaloncini blu e una camicia azzurra.  Alzo le maniche facendo dei precisi risvolti, devo stare comodo. Ho portato con me il mio cucciolo, si chiama Joy. No, non è un bimbo come tutti gli altri, lui è poco socievole ma molto obbediente, si fa imbracciare solo da me e nessun altro può avvicinarlo.

Joy è un M40T7 con silenziatore e ottica, prodotto artigianale con scocca in polimero mimetico, un gioiellino niente male. C’è anche il fratello maggiore, si chiama Ted ed è un Barrett, un M82 che caga amorevoli .50BMG. E’ un vero peccato lasciarlo giù in cantina ma per ora non ci sono mezzi corazzati all’orizzonte, quindi non posso fare altro che tenerlo relegato in panchina ma sono sicuro che arriverà anche il suo momento.

 

Confesso, ora più che mai noi marksman siamo avvantaggiati. Ci insegnano sin da subito a mirare alla testa. Il motivo è presto spiegato, quando colpisci un nemico in un altro punto vitale, come ad esempio al cuore, il cervello rimane ancora attivo e può inviare impulsi e stimoli, quindi il target non può definirsi neutralizzato. Per circa quindici secondi resta dunque pericoloso perché capace di premere il grilletto.

Se devo neutralizzarlo miro dunque al cervello e boom, buio, game over, fine dei giochi! Questa legge universale vale per tutti, dagli esseri umani ai lerci mordipalle.

 

Ottantacinque metri è la distanza che separa la punta della canna del fucile dall’obiettivo. La preparazione al tiro questa volta la salterò, Joy è pronto e io pure… espiro e click, l’allarme dei vicini ha smesso di rimbombarmi nelle orecchie. Pace!

Vedo uscire del fumo grigio dalla scocca, target centrato.

Degusto a piccoli sorsi dell’ottimo vino francese in segno di vittoria.

 

Poso il fucile e afferro il binocolo.

Il vento soffia nella mia direzione, una leggera puzza di bruciato mi penetra nelle narici, essa si mescola al piacevole profumo sprigionato dai frutti degli alberi di limone presenti nel mio giardino.

Riesco ad udire degli spari in lontananza e riconosco il suono, a far fuoco sono degli HK416, saranno colleghi? Chissà!

 

A proposito di colleghi, sto facendo una sorta di gara con il mio migliore amico, James, nonché compagno di reparto nel II Marine Expeditionary Force. Giochiamo a chi ne fa fuori di più entro la fine del mese. Ovviamente ci sono tutte le testimonianze video, non si può barare, abbiamo installato le GoPro sulla canna del fucile, registriamo tutto in alta definizione e abbiamo deciso che quando tutto questo finirà venderemo le immagini a qualche tv privata. Verrà fuori un documentario di guerra con i contro cazzi!

 

Io e James ci teniamo costantemente in contatto. Tutti i pomeriggi, appuntamento fisso alle quattro… salgo sul tetto anche per questo motivo, comunichiamo grazie ai nostri telefoni satellitari che purtroppo non prendono all’interno degli edifici. Lui vive a circa quattrocento chilometri di distanza dalla mia posizione, l’ho più volte invitato a stare da me ma non vuole saperne di lasciare il suo rifugio.

La testardaggine è una peculiarità imprescindibile nei nostri ranghi.

 

Vivo in una sorta di villa bunker, nessuno entra se non sono io a volerlo. Ho dovuto prendere le dovute precauzioni a causa del lavoro che faccio. Diciamo che non sto simpatico proprio a tutti e negli anni qualche nemico sparso per il mondo me lo sono fatto.

Ora se vi svelassi tutti i segreti della mia fortezza poi dovrei uccidervi (non c’è nulla da ridere, non sarebbe certo la prima volta).Ve ne rivelerò solo alcuni, non vi offendete. Partiamo dalla video sorveglianza, è divisa in settori e copre a 360° il perimetro, doppia alimentazione, energia solare e corrente elettrica. La villa è in grado di auto alimentarsi grazie ai pannelli solari di ultima generazione e due generatori di emergenza a gasolio posizionati in cantina. E’ presente anche un sistema di raccolta, filtraggio e depurazione dell’acqua piovana.

Gli infissi sono in acciaio ad azionamento elettrico e manuale. Muri in cemento alti tre metri e venti proteggono tutto il perimetro. Doppio cancello rinforzato con barre laterali in acciaio e vetri delle finestre tutti antiproiettile.

 

Ho fatto un veloce calcolo delle provviste, ne ho ancora per circa cinquanta giorni. Sono stato previdente e ho riempito la dispensa mesi prima che tutto questo casino avesse inizio.

Mi ero preparato per un altro tipo di attacco, non erano certo gli zombie a preoccuparmi, fatto sta che non mi sono fatto cogliere impreparato.

La dispensa si trova in cantina anche se è riduttivo chiamarla così. Sarebbe più appropriato chiamarlo bunker. E’ infatti un ambiente a sé, accessibile attraverso una porta d’acciaio rinforzato spessa trenta centimetri posizionata alla fine di una rampa di scale. All’interno è attivo un sistema d’areazione con filtri, c’è il bagno, la cucina e un piccolo tunnel con sbocco all’interno del garage, da utilizzare come via di fuga secondaria. Nel caso in cui la situazione degenerasse non ho nessuna intenzione di fare la fine del topo. Vi ho detto abbastanza.

 

Ad oggi ho messo fine all’esistenza di diciotto putrefatti. Il mio collega è fermo a quota quindici e mancano solo quattro giorni alla fine del mese. Non ho nessuna intenzione di farmi superare, per me perdere è un po’ come morire e non succederà, non ora.

 

Più o meno due mesi sono passati dall’inizio della fine, non eravamo preparati, nessuno lo era. E’ successo tutto in fretta, sono bastate poche ore per stravolgere gli equilibri e ormai da tempo la bilancia non pende più dalla nostra parte.

 

Bersaglio individuato, distanza centoventi metri, vento assente.

Indossa una t-shirt verde, scolorita e sporca di Dio solo sa cosa, pantaloncini di jeans strappati all’altezza dell’interno coscia. Alto quasi due metri, biondo, sulla ventina. Avanza con passo irregolare, trascina tutto il peso del suo corpo sulla gamba destra, evidentemente la sinistra è fuori uso, sembrerebbe a causa di una frattura scomposta a giudicare dalla posizione innaturale assunta dal piede sinistro. Riposiziono Joy, è ancora caldo, regolo il mirino, l’obiettivo è sotto tiro, assaporo l’ultimo sorso di vino e sono di nuovo pronto. La visuale sull’obiettivo è pulita e lo sarà ancora per circa quaranta secondi.

Me ne basteranno solo dieci per mettere fine alle sue scorribande. Chissà quanti innocenti avrà infettato, quanto dolore avrà provocato quell’essere immondo.

Non è più tempo di processi, la giustizia è affidata al mio grilletto, che ha già emanato il suo verdetto, l’imputato è colpevole!

La minaccia va debellata e la sentenza scontata, adesso!

Miro al piede destro “quello sano” voglio vederlo strisciare prima di fargli esplodere il cervello, deve inginocchiarsi al mio cospetto, quasi a supplicarmi di non ucciderlo… si, forse sono sadico.

Bang, primo colpo, come sempre a segno e crack! Giuro di aver sentito il rumore della caviglia spezzarsi in più punti.

Nessuna smorfia di dolore sul suo volto, ora è in ginocchio e prova a rialzarsi. Niente da fare, i gomiti adesso sono le sue gambe. Striscia senza una meta lasciandosi dietro una scia di sangue marrone, non andrà lontano.

Miro alla nuca, “possa il signore aver pietà della tua anima più di quanto io abbia avuto pietà del tuo corpo” esclamo.

Espiro e bang, fine, titoli di coda per lui.

 

-“James sono a quota diciannove”

-“Ricevuto, ottimo lavoro”.

 

Qui comando io e finché sarò vivo, il mio quartiere sarà un posto sicuro…

 

Il tramonto è già passato è il momento del crepuscolo, accendo un sigaro e ammiro l’orizzonte.

 

 

Alessandro Undici


 

 

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