di David Randino
INTRAPPOLATI CON LE PROPRIE COSCIENZE
William si scusò subito borbottando una frase incomprensibile; effettivamente non aveva urtato apposta il tavolo su cui era appoggiata la bottiglia di scotch che si era frantumata cadendo a terra. Il rumore aveva fatto spaventare tutti e tre i componenti del gruppo, persino lo sbadato chitarrista colpevole.
“Ok facciamo il punto della situazione, e cerchiamo di stare attenti”, ruppe il silenzio Antonio guardando William dritto negli occhi:
“UNO: cosa cazzo è successo li fuori?,
DUE: chi o cosa erano quelle persone?
TRE: Michele … dobbiamo aiutarlo … forse …
QUATTRO: dove sono tutti..?”
Nicola, che fino a quel momento era stato in silenzio, anche per via dello spavento, indicò l’entrata del locale dicendo:
“Per prima cosa dovremmo bloccare quella porta!”
Non servì aggiungere altro, i ragazzi presero tavoli e sedie e li accatastarono contro la pesante porta di metallo; l’operazione non durò molto, la paura o l’ignoto, a volte, ti fanno compiere gesti pesanti con una scioltezza e una facilità disarmante.
“Ok così dovrebbe bastare. Antonio ora cercheremo di trovare risposte ai tuoi quesiti, ma prima pensiamo a controllare bene questo locale”.
Nicola era un leader nato, una persona seria e razionale, uno che andava dritto al punto senza girarci troppo intorno.
Effettivamente non conoscevano per niente il Pub, era la prima volta che si esibivano in quel lerciume di luogo, dove si serviva pessima birra e le cameriere mostravano tette mosce che non lo avrebbero fatto rizzare nemmeno al più assatanato sesso-dipendente.
Loro erano arrivati dieci minuti prima della sessione, si erano cambiati nel retro ed erano saliti sul piccolo e pericolante palchetto; l’impianto delle luci, vecchio e per niente calibrato, li aveva resi praticamente ciechi e, a parte un paio di ubriachi davanti a loro, non avevano avuto la possibilità di osservare altro.
I tre si guardarono attorno: tutto l’ambiente misurava all’incirca settanta mq, un vecchio biliardo dal tappeto consumato stava contro la parete, alla loro destra si trovava il banco molto fornito delle peggiori marche di alcolici, alla loro sinistra il palco.
Alle loro spalle una piccola porta in legno marrone piena di scritte (sara è la miglior pompinara del posto! oggi mi ubriaco. matteo ricchione. jimy hendrix forever), e via così, insomma le solite cazzate che trovi scritte sui muri dei cessi negli autogrill. Anche se quel posto non era una stazione di servizio, era innegabile che fosse un cesso; tra quelle scritte cappeggiava un cartello (STAFF ONLY).
William, che non era famoso per il suo coraggio disse subito “io col cazzo ci entro”, Antonio, che nel frattempo era sgattaiolato dietro il bancone e si era versato una pinta di vodka, aggiunse “nemmeno io”. Nicola li guardò entrambi scuotendo la testa e senza dire una parola fece pochi veloci passi, raggiunse la porta e l’aprì di colpo.
All’interno la luce era accesa, una piccola farfalla svolazzava intorno alla lampadina che ben illuminava la stanza; a terra si trovavano alcuni scatoloni e alle pareti degli scaffali con le scorte del beveraggio per il banco, ma ciò che rapì l’attenzione di Nicola fu la finestra che c’era in fondo alla stanza.
“Venite qui’”, chiamò gli altri due “c’è una finestra, possiamo guardare fuori”.
Si misero pigiati l’uno all’altro contro la finestra. Non potevano vedere bene perchè la polvere e anni di sporcizia, avevano reso il vetro un’unica patina nera.
Antonio sparì. Pochi attimi e tornò con una pezza e la sua pinta, versò la vodka sul vetro e vi passò il panno, fuori era buio, alcuni lampioni illuminavano la strada e poche auto parcheggiate. Poi li videro!
Quelle persone ciondolavano senza senso per strada, andavano avanti e indietro; alcuni di loro sbattevano contro i mezzi parcheggiati, cadevano, si rialzavano, poi risbattevano ancora e di nuovo cadevano, altri invece stavano immobili e guardavano, o almeno cosi pareva, in direzione dei tre ragazzi che spiavano terrorizzati dalla finestra.
“Ma cosa cazzo fanno?” aveva detto William balbettando, il suo corpo era pervaso da un tremore di puro terrore.
“Io non so cosa fanno, ma qualcosa mi dice che siamo nella merda … tanto vale berci sopra!”
Antonio svuotò il bicchiere con un solo sorso, pensava che la situazione era surreale e bizzarra, e che come al solito ne sarebbe uscito e l’indomani si sarebbe svegliato nel suo letto, magari con una fans che li succhiava il cazzo.
“Voi teste di cazzo … non vi siete accorti che Michele è tra di loro con la testa mezza staccata dal resto del corpo…” riprese Nicola.
“Dove” dissero quasi all’unisono gli altri
“Guardate quella macchina rossa con le luci accese” quello che una volta era stato il bassista deI FINE LIVING, era immobile vicino ad una vecchia Citroen; aveva la gola squarciata e la testa quasi completamente appoggiata, in modo innaturale, sulla spalla sinistra, gli mancava un braccio e i suoi abiti erano di un colore scuro lucido.
“E’ inzuppato di … sangue … ma non è morto … forse ci stiamo facendo prendere troppo dall’ansia e dalla paranoia io penso …”
“Zitto, cazzo zitto, non parlare coglione” Antonio aveva interrotto in malo modo William “perché io ti giuro che se da quella merda di bocca che hai esce ancora una sola parola….TI UCCIDO”
“Vaffanculo checca isterica, lo abbiamo sempre saputo che sei un culo rotto, cosa credi di farmi paura?”
La risposta del timido chitarrista scatenò l’ira del cantante che prima lo strattonò e poi li piantò un pugno dritto sul naso. Il sangue zampillò copioso
“FIGLIO DI PUTTANA SEI MORTO”, William spinse via il suo assalitore, prese una bottiglia dallo scaffale vicino e colpì con violenza Antonio che perse l’equilibrio e cadde pesantemente a terra.
Nicola tentò d’intromettersi tra i due, ma venne spinto via.
“TI HO SEMPRE ODIATO MALEDETTO FIGLIO DI PUTTANA, SEMPREEEEEEEEEEEEE”, l’urlo di William fu talmente forte che in strada le creature si mossero tutte insieme in direzione del Pub.
David Randino
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