di Nicola Luceri
Ti porteranno in una cella e lì resterai chiuso per ventiquattro ore.
Analizzeranno il tuo comportamento per capire se il nostro siero
stia facendo effetto, perché non sempre funziona, questo bisogna
dirlo. Se gli effetti del siero non hanno devastato completamente il
virus, allora sarai considerato un’arma biologica recuperabile. Se,
invece, ti sentissero parlare, allora capirebbero che il siero ha fatto
il suo effetto e ti elimineranno definitivamente con una iniezione
letale dritta nel cervello. Per loro non sei una persona, ricordatelo.
Sei solamente un’arma da aggiustare o da buttare.
Quando massimo mi prospettò questa situazione sentii
il cuore pulsare a mille. Mi trovavo davvero in una
brutta situazione e ancora non capivo come ci fossi
finito dentro. Il leader dei ribelli mi indicò
dettagliatamente ogni singola azione da compiere.
Conosceva bene il laboratorio e le procedure. Dovevo
fidarmi di lui. Era la mia unica speranza.
Un omaccione brutto e nerboruto mi spostò dalla sala
in cui avevo incontrato per la seconda volta lo
scienziato donna che mi aveva recuperato dalla strada.
L’uomo mi portò in una cella buia. Mentre mi
trasportava, cominciai con la pantomima suggeritami da
Massimo: dovevo fingermi uno zombi. Non che non lo
fossi in quel momento, ma si intendeva uno zombi
completo e non in via di guarigione.
Pertanto niente parole e solo mugugni.
Niente calma e molta irrequietezza.
L’uomo mi spinse nella cella. Accese la luce e mi sedò.
Al risveglio mi trovai slegato, in una fredda prigione, in
compagnia di una telecamera piazzata sul muro che mi
osservava con il suo lampeggiante occhio rosso.
Per tutto il tempo di osservazione mi comportai da
bravo attore. Mi lamentai, strisciai per terra, stimolai il
vomito e lo mangiai. Queste erano le indicazioni che
dovevo seguire alla lettera.
Vennero ad aprire la cella il giorno successivo.
Il momento decisivo era arrivato. Avrei fallito o avuto
successo? Prima mi muovevo e prima l’avrei scoperto.
Nicola Luceri