di Maurizio GANZAROLI
Lisa è accanto a me, la guardo nella penombra creata dalla luce che si fa strada tra le persiane socchiuse.
La osservo sdraiata, con gli occhi chiusi, quasi sorride, forse sta sognando.
I neri capelli che l’avvolgono, sembrano le ali di un angelo caduto, oppure serpenti che si divincolano dalla testa di una Gorgone.
I suoi seni, così rotondi, la curva del corpo che sembra disegnato dall’acqua, così fluido, quasi inumano, nella sua perfezione.
È lì, accanto a me, la sto osservando, mentre le luci della strada cominciano a lasciare il posto a quelle del nuovo giorno.
Ora, un raggio di luce investe di strani colori, che virano al rosso.
Soltanto ora mi accorgo, di quella macchia proprio in mezzo a quei seni perfetti, che si allarga e cola come un orologio molle di Dalì, fin sopra il lenzuolo.
Io stringo i pugni, per non pensare, ma qualcosa nella mano destra m’impedisce di farlo. Un oggetto.
Qualcosa che è estraneo a me, al mio corpo, come fosse caduto dal cielo.
Ora, nelle mie mani, un coltello dalla lunga lama, che era entrato tra quei seni più di una volta.
La guardavo, ormai gelida, ma come se dormisse, i miei occhi non riuscivano a lasciarla, mentre la disperazione aumentava fino alla nausea.
Qualcosa nel mio cervello era scattato e io avevo ubbidito a quel sordido ordine.
Avvicinai il mio viso al suo, cercavo ancora in lei un alito di vita, ancora colore in quel pallore spettrale, un movimento sottile in quelle membra, calore invece di gelo.
Lei, allora, spalancò gli occhi e con un guizzo fulmineo si lanciò alla mia gola. La squarciò più volte prima che il nero velo mi cogliesse.
Presto anch’io mi sarei risvegliato, accanto a lei nel letto, ma non sarei stato mai più umano.
Maurizio Ganzaroli