di Chiara ZACCARDI
Sono uno zombie.
Voi umani, umani ancora per poco, credete che gli zombie non pensino.
Pensiamo, invece. Poche cose, e molto lentamente, ma pensiamo.
Pensieri tipo : “mangiaare! Sbranaare! Visceere! Cibocibocibo… Camminacamminacammina per trovare cibocibocibo“…
Concetti semplici e immediati.
E tra di noi parliamo.
A voi sembra che emettiamo solo rutti o suoni incomprensibili, ma vi sbagliate. Beh, sui rutti no. Che volete? Ci piace ricordare i vecchi tempi, quando avevamo un vero stomaco.
Il mio, anche se un po’ marcio, c’è ancora e in questo momento brontola.
Dall’altra parte della strada di questa città semi deserta vedo un mio simile.
Mi avvicino.
“Gaaaaah!” dico. “Come butta?”
“Rooooh!” risponde. “Standard, ho fame”.
Chiaro. Abbiamo sempre fame.
Ma io avevo sempre fame anche da vivo.
Siccome non ci sono bocconcini nei dintorni, ci mettiamo a chiacchierare, in piedi uno di fronte all’altro, con gli occhi vuoti e la bava che cola sull’asfalto.
“Smuuuuh!” faccio. “Devo dirlo a qualcuno, non ce la faccio più!”
“Cuuuuh?” chiede. “Cosa?”
Ecco il mio segreto: io ho scelto di diventare un mostro.
Vedete, da vivo ero uno sfigato, ero anche molto pigro e per quanto mi piacessero i giochi spara-tutto proprio non ce l’avrai fatta a faticare per sopravvivere, a stare sempre all’erta, con l’ansia, o a correre per chilometri in cerca di un rifugio.
“Vavabahhhh!” spiego. “Mi sono lasciato mordere e buonanotte al secchio”.
Lo zombie fa una specie di ghigno e una strana luce sembra balenare nei suoi bulbi trasparenti.
“Azahhh…” sussurra. “Anch’io l’ho scelto. Perché ho sempre adorato uccidere”.
Non faccio in tempo a restare sgomento che un’esplosione ci assorda e un proiettile trapassa il cranio del mio inquietante amico.
Guardo lui, a terra. Guardo l’uomo col fucile.
E nella mia testa vuota risuonano due parole di una vecchia canzone di Springsteen :
“no difference”.
Chiara Zaccardi