di Nicola Luceri
A quasi mille metri di altezza la mia unica preoccupazione era di arrivare sano e salvo a casa. Ero diretto a Londra, dove avrei incontrato mio figlio dopo sei mesi. Antonio, ormai, si era trasferito nella capitale inglese per lavoro. Finalmente il suo sogno, quello di lavorare a Londra, si era realizzato.
Il volo mi teneva in ansia. A ogni scossone il mio cuore partiva a mille. Quella era la prima
volta che prendevo un aereo e, forse, sarebbe stata l’ultima. La prossima volta avrei preso un treno e attraversato il tunnel della Manica, visto che non era così lontano. Ormai mi ero trasferito in Francia, a Montpellier, con Vivienne, la mia nuova compagna. Angelica, la mia ex moglie e madre di Antonio, ormai era solo un ricordo da dimenticare. Una brutta storia, il cui pensiero mi fa ancora venire i brividi. Ma questa è un’altra storia.
Una voce mi destò dai pensieri. Il comandante annunciò la discesa: sarebbe durata circa venti minuti. Ancora un po’ di coraggio, mi dissi. Non mancava molto alla fine di quell’incubo.
Finalmente iniziavo a rilassarmi, ma ero del tutto ignaro dell’incubo ben peggiore che avrei vissuto pochi minuti dopo.
Mentre il velivolo scendeva di quota, avvicinandosi sempre più al suolo inglese, l’illuminazione nella cabina si spense e l’aereo iniziò a vibrare incessantemente. I passeggeri cominciarono a urlare. I bambini piangevano.
Anch’io cominciai a gridare come un pazzo, tenendomi saldo alla poltrona. Le orecchie sembravano voler esplodere. Mi facevano un male pazzesco. Stiamo precipitando, pensai, quando l’aereo cominciò a scendere in picchiata, senza controllo.
Alzai lo sguardo, disperato, in cerca di qualcuno che potesse spiegare cosa stesse accadendo: si trattava semplicemente di una forte turbolenza o davvero le cose si stavano mettendo male ?
Rimasi sorpreso nel vedere una hostess, vestita nel suo elegante tailleur blu, ferma, immobile, impassibile. Mi stava fissando. I suoi occhi erano iniettati di sangue. Il caos attorno non sembrava coinvolgerla minimamente. Poi mi sentii di morire. Perché la riconobbi. Era Angelica, la mia ex moglie, che continuava a tormentarmi dall’aldilà, nei miei pensieri, nei miei sogni, tutti i giorni. Questa volta, però, non stavo sognando.
Angelica aprì la bocca e lasciò sgorgare sangue su tutto il vestito. Poi cominciò a barcollare verso di me, mostrando i denti ingialliti. Provai a slacciare la cintura, ma era bloccata. Quel mostro continuava ad avvicinarsi. Non sapevo cosa mi preoccupasse di più in quel momento: l’aereo che precipitava oppure Angelica che voleva aggredirmi.
Voleva mordermi proprio come quel giorno in cui le tolsi la vita con un colpo di pistola dritto in testa. Mi accorsi che aveva il foro al centro della fronte ancora adesso. Volevo scappare, ma non mi era possibile. Ormai mi aveva raggiunto. Prima di mordermi si fermò e pronunciò delle parole agghiaccianti: ho sempre desiderato portarti con me, Massimo. Anche quella volta. Oggi è arrivato il giorno in cui saremo per sempre insieme. Angelica si avventò contro di me e affondò i suoi denti nella mia carne. Strinsi gli occhi, per il forte dolore, e iniziai a urlare. Una volta tornato in me, mi accorsi di un silenzio improvviso, riaprii gli occhi e mi ritrovai nell’aereo, normalmente in volo, con tutti i passeggeri che mi guardavano allibiti.
Una hostess si avvicinò. “Si sente bene, signore?” mi chiese.
Non le risposi. Abbassai lo sguardo verso il braccio.
Segni di denti erano impressi sulla mia carne.
Nicola Luceri