di Igor Zanchelli
Ingvar si alzò presto, alle 6.00 circa, come faceva di solito. Pur avendo una conferenza alle 10.00, doveva preparare la colazione per Antonio, portarlo a scuola e sbrigare alcune incombenze burocratiche all’ateneo.
In realtà, si svegliava sempre presto, dando la colpa ai molteplici impegni, perché gli piaceva assistere all’alba e guardare la luce, che si riappropriava della terra. Impazziva per le sfumature dei colori che, con il sole, assumevano tinte sempre più chiare.
Dopo lo spettacolo solare, si dedicava alla lettura dei quotidiani; quella mattina uno titolava:
EFFERATO OMICIDIO IN PERIFERIA.
CORPO ORRIBILMENTE MUTILATO RITROVATO IN UN BOSCO.
INDISCREZIONI AFFERMANO CHE LA VITTIMA SIA STATA SBRANATA.
Il professore ebbe un brivido. Si tuffò nella lettura dell’articolo così intensamente, da non accorgendosi dell’arrivo del nipote.
“Nonno, ma stai bene?”
“Buongiorno tesoro, certo perché lo chiedi?”
“Perché ti ho chiamato tre volte e sono qui da 5 minuti”.
“Oh … scusami tanto, ero preso dalla lettura e non ti ho sentito. Su facciamo colazione e poi a scuola. Ricorda, che hai promesso di portarmi un bel voto oggi!”
“Certo. Ricordo benissimo. Tu però stasera finisci la storia del lupo!”
“Furbacchione, questa parte non la ricordo”, disse abbracciandosi forte il nipotino, “stasera vedremo”.
Sbrigate le consuete faccende mattutine, Ingvar accompagnò il nipote a scuola. Dopo aver concluso le questioni burocratiche, si recò alla conferenza, alla quale lui era il relatore.
Entrò nell’aula magna, un enorme emiciclo all’interno del quale i posti a sedere disegnavano cerchi concentrici sfalsati tra loro. La fila successiva era posta un pochino più in alto rispetto alla precedente così che tutti i partecipanti potessero avere una visuale perfetta. Le panche erano tappezzate con una fodera blu stile cinema, sulle pareti facevano bella mostra i ritratti di tutte le persone che si avevano ricoperto l’incarico di magnifico rettore. Dove sedevano i relatori c’erano due scrivanie di legno in stile Luigi XVI e, tra le due, una poltrona presidenziale dove di solito, nelle occasioni importanti, sedeva il rettore.
Prese posto sulla sedia libera alla destra di quella pomposa del rettore e si presentò. La sua attenzione, fu catturata da una figura che stonava in quella platea. Era un pò troppo avanti con gli anni, per non risaltare in un pubblico di ragazzi, suoi studenti, dove l’età media era di 25 anni.
Quella figura, vestito in modo troppo formale, di anni ne dimostrava almeno il doppio. Il solito curioso finto intellettuale, pensò Ingvar.
Dopo aver fatto una breve prefazione dello scopo della conferenza, Ingvar entrò nel vivo del discorso e disse:
“Il termine licantropo viene dal greco lycos ovvero lupo e ànthropos cioè uomo, quindi il significato è ‘lupo umano’ oppure ‘lupo mangiatore di uomini’. Il licantropo, detto anche uomo lupo o lupo mannaro è una delle creature mostruose tipiche della mitologia e del folclore, presente in quasi tutte le culture umane di tutti i continenti.
Tuttavia prima di addentrarci nel tema di questa conferenza, è necessario in via preliminare, evidenziare la differenza che intercorre tra Licantropo e Lupo Mannaro.
Il Licantropo, secondo le leggende popolari, è un essere umano condannato, da una maledizione, a trasformarsi in una bestia feroce ad ogni luna piena. La forma assunta dalla bestia più spesso descritta, è quella del lupo, anche se in alcune culture, questa trasformazione è associata ad altri animali.
Il Lupo Mannaro, invece, è un grosso lupo con abitudini antropofaghe, a cui può essere associata una forma mostruosa.
Questa distinzione è fondamentale, a mio avviso. Infatti, il Lupo Mannaro è frutto della natura, il Licantropo è figlio della magia”.
Il professore proseguì, poi, con la storia del mito; la sua diffusione, e relative varianti, nella varie culture. Illustrò alla platea, la morfologia dell’essere mitologico e la modalità di trasmissione della licantropia. Fece parallelismi del mito, nella letteratura e nella cinematografia, evidenziando le variazioni introdotte per esigenze di copione.
Chiarì, per esempio che, chi è morso da un licantropo, non diviene un licantropo; la figura del morso, come mezzo di trasmissione della licantropia, non è presente in nessun mito o leggenda popolare, ma è stata aggiunta dal cinema solo per rendere i film più avvincenti.
Invece, la vulnerabilità dei licantropi all’argento, trovava riscontro anche nel mito. Probabilmente, perché legata alla proprietà depurativa, curativa e antisettica, propria del prezioso metallo, nota anche agli antichi.
“Bene ora se avete domande, vi pregherei di chiedere la parola, per evitare fastidiose sovrapposizioni”.
Dalla platea si alzò una mano aspettando che gli fosse concessa la facoltà di parlare.
“Professore, ammesso che quello che lei ci ha illustrato, trovasse riscontro nella realtà, come si può riconoscere l’attacco di un licantropo o di un lupo mannaro?” chiese uno studente della seconda fila;
“Le spiacerebbe spiegarsi meglio”
“Intendevo, supponiamo di rinvenire dei resti umani o animali, conciati molto male; c’è un modo per capire se quei resti, siano conseguenze di un attacco di queste creature mitologiche, piuttosto che di un branco di cani selvatici, per esempio, o di un orso, o di un leone?”
“Guardi, non sono un esperto in medicina legale, ma suppongo che si possa capire dai segni lasciati sul corpo della vittima; segni di morsi, segni di artigli ecc., oppure, si possa capire, dall’analisi delle tracce organiche rinvenute sul cadavere. Voglio dire, un animale avrà un suo DNA specifico”.
“Eventualmente, ci si può difendere in caso di attacco?” chiese un altro studente.
“Come dicevamo prima, per fermare un licantropo o un lupo mannaro, basta usare l’argento”.
Squeglia ascoltava attentamente e mentalmente annotava quanto veniva detto.
Tuttavia, quelle domande suscitarono in Ingvar una profonda inquietudine. Aveva timore non essere più lucido e di iniziare a tremare, così decise di chiudere la conferenza.
“Bene, mi scuso con tutti voi, ma ho altri inderogabili impegni. Purtroppo devo andare! Ad ogni modo, se avete altre domande, dubbi o perplessità, sarò lieto di ascoltare e rispondere in un altro momento. Il mio ufficio sapete dove si trova. Vi auguro una buona giornata”.
Detto questo sistemò le sue cose ed uscì, senza rivolgere lo sguardo alla platea. Non voleva incrociare lo sguardo con quella figura, che gli aveva provocato quel fortissimo senso di disagio. Uscì dall’aula e si diresse a passi svelti verso il suo ufficio.
Mentre si apprestava ad abbassare la maniglia della porta, udì una voce:
“Mi scusi Professor Korison”.
Ingvar si voltò, ritrovandosi faccia a faccia con l’uomo.
“Sono l’Ispettore Francesco Squeglia, della sezione omicidi. Vorrei sottoporre alla sua attenzione della carte, e sapere qual è il suo parere al riguardo”.
“Certamente. Ma in che modo ritiene che possa esserle utile Ispettore?”
“Possiamo entrare nel suo ufficio professore?” rispose Squeglia, invitando con il gesto della mano a fare strada.
Igor Zanchelli
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