di Alessandro Undici
Vivo in un pianeta popolato da dannati. Lenti e instancabili non morti.
Io preferisco chiamarli semplicemente “marci”.
Due anni, due cazzo di anni sono passati e loro sono ancora qua a girovagare su questa Terra in rovina.
Il mondo come lo conoscevamo è andato a puttane, non ci sono più regole, non ci sono sopravvissuti, l’anomalia adesso sono io.
Mi va di raccontarvi come tutto ebbe inizio, che poi raccontare a chi non lo so, non vedo anima “viva” da mesi ormai, sarà… io comunque scrivo, ho bisogno di sfogarmi, mi farà bene.
Ho dovuto, per forza di cose, imparare a “bastarmi”.
Essere autosufficiente insomma, anche se a dire la verità, questo lo facevo bene anche prima. Sì, perché sapete, di mestiere faccio anzi facevo il camionista. Qualcuno può pensare: “E che sarà mai, è un lavoro semplice… è tutto un prendi, consegna, torna e ricomincia”.
Non è affatto così! Bisogna avere un certo equilibrio. Equilibrio utile per riuscire a sopportare se stessi e null’altro. Sapete, è dura fare i conti con i propri pensieri.
Nella mia rispettabile carriera ne ho macinati di chilometri e ne ho avuto di tempo per pensare, per riflettere. Solo, in compagnia del mio camion e dell’asfalto.
Ora poco è cambiato nelle mie abitudini, tutto invece è cambiato intorno a me.
Ricordo tutto di quel giorno, d’altronde, come potrei dimenticare?
Stavo percorrendo l’A14, ero partito da Bologna e avrei dovuto consegnare il carico la mattina seguente a Bari. Un viaggio comodo, niente di impegnativo. All’altezza di Pescara decisi di fare una breve sosta o meglio fu il mio intestino a decidere per me. Certi segnali non puoi ignorarli a lungo, la cabina del mio Scania in pratica era diventata una camera a gas.
Parcheggiai nella piazzola di sosta, scesi in fretta, dovevo arrivare al bagno il prima possibile. Già si, i famosissimi bagni dell’autogrill, potrei scriverci un libro per quante ne ho viste e quante me ne sono capitate! Non divaghiamo, torniamo a noi, avevo i minuti contati, stavo iniziando a sudare freddo e quei cento metri che mi separavano dalla meta mi sembrarono infiniti chilometri.
“Ci siamo”, pensai. “Ce l’ho fatta per un pelo” sussurrai a bassa voce.
Abbassai i pantaloni in una frazione di secondo, forse anche più velocemente della volta in cui la mia prima ragazza mi disse “facciamolo”. Finalmente iniziai a liberarmi del pesante fardello. Fu uno dei momenti più goderecci di tutta la mia vita, quasi paragonabile ad un orgasmo per intensità. Leggerezza!
Sospirai e pensai: “Il peggio è passato” mentre un sorrisetto soddisfatto fece capolino sul mio volto. Mi sbagliavo di grosso, quello era solo il prologo, l’inizio di un incubo senza fine.
Il mal di pancia da quel momento in poi sarebbe diventato l’ultimo dei miei problemi.
Ero chiuso in quel metro quadrato scarso da quasi dieci minuti, seduto sulla tazza abilmente ricoperta da più strati di carta igienica e avevo persino terminato di leggere tutti i divertentissimi annunci erotici presenti sulle piastrelle.
Udii delle urla, lì per lì non diedi peso a tutto quel fracasso, ero troppo concentrato su me stesso. Non pensai, né mi preoccupai minimamente di tutto ciò che stava succedendo intorno a me. Nulla avrebbe potuto distrarmi!
Un istante bastò a stravolgere l’equilibrio delle cose. Partì tutto dal basso, il pavimento in marmo bianco si tinse di rosso. Avevo visto bene, non erano allucinazioni, una chiazza di sangue si insinuò prepotentemente dalla soglia della porta e si stava lentamente espandendo verso la mia direzione. Ricordo che dovetti alzare i piedi per non sporcarmi le scarpe. La stessa foga che impiegai per svestirmi la usai per rivestirmi. In un attimo ero in piedi e non avevo la minima idea di cosa diavolo stesse succedendo là fuori. Non udivo più urla, soltanto gemiti, rumori indefiniti, ero spaventato e perplesso. Tentennai, avevo paura, ne avevo davvero tanta, ma sapevo benissimo che il cesso non era certo un posto sicuro.
Presi coraggio, spalancai la porta del bagno e proprio in quel preciso momento l’orrore allo stato puro si presentò innanzi ai miei occhi, nella forma più macabra possibile. C’erano tre sagome per terra, al centro dell’antibagno. Due erano in ginocchio intenti a banchettare con il corpo ormai squartato di un uomo, in fin di vita e in preda a spasmi muscolari. Ricordo un dettaglio su tutti: La vittima non aveva avuto neanche il tempo di alzarsi i pantaloni. C’era sangue ovunque, ero sotto shock credetemi, lottai con tutto me stesso per non svenire né vomitare. Restai lucido, dovevo scappare e dovevo farlo alla svelta, altrimenti mi sarebbe toccata la stessa identica fine. Cercai di non farmi notare, ma non appena feci un passo verso l’uscita, scivolai su quel viscidume fatto di sangue e pipì. Bestemmiai, sapevo di essere fottuto, chiusi gli occhi e pregai affinché tutto finisse in un attimo. Non fu così!
Fui dannatamente fortunato, anche quei due esseri aberranti scivolarono goffamente. Era impossibile stare in piedi, strisciai così verso l’uscita aiutandomi con i gomiti e le ginocchia. Furono attimi concitati, non ricordo come ma riuscii a sgusciare via da quell’inferno e a rialzarmi. Ero completamente sporco di sangue ma per fortuna non era il mio. Ero fuori, spalancai il maniglione antipanico dell’uscita di emergenza e iniziai a gridare aiuto, nella speranza di attirare l’attenzione di qualcuno.
Fu tutto vano! Mi accorsi subito che anche nella piazzola di sosta le cose non andavano per niente bene.
Ho visto una donna, era a circa venti metri da me, urlava a squarciagola mentre cercava di scappare dalle grinfie di uno di quegli esseri abominevoli. L’abbinamento tailleur e tacco 12 non le facilitò le cose, il suo spietato predatore l’aveva quasi raggiunta e lei presa dal panico prese la scellerata decisione di correre in direzione della carreggiata, le fu fatale. Proprio in quel momento sopraggiunse un suv, a tutta velocità, fu tranciata di netto in due parti uguali. Non soffrì.
Presi a sudare freddo, iniziò a girarmi la testa e vomitai, l’orrore a cui avevo assistito era troppo, persino per uno come me. Stavo una merda, non riuscivo neanche a reggermi in piedi, non potevo credere che tutto quel casino stesse succedendo realmente. D’altro canto però, non potevo nemmeno restare lì, dovevo scappare e dovevo farlo alla svelta, tentai così di raggiungere il mio camion.
Sarebbe mai, la mia fuga, potuta essere agevole?
Fui puntato da uno di quei marci bastardi, quello stronzo si frappose proprio tra me e il mio mezzo. Una scarica di adrenalina pervase il mio corpo e in un attimo seppi cosa dovevo fare. Afferrai così un estintore, il bastardo era a pochi passi da me, mi ringhiò contro, lo guardai intensamente negli occhi e vidi il male. Non ci pensai neanche un attimo, nessun tentennamento, nessun ripensamento. Gli fracassai il cranio colpendolo con la base dell’estintore. Bastò un unico colpo, ben assestato proprio all’altezza dei bulbi oculari.
Avevo appena ucciso un uomo o quel che ne restava. Fu solo il primo di una lunghissima serie, da tanto oramai ho perso il conto.
Rifiatai, ebbi finalmente il tempo per ragionare, lucidamente.
Il quadro fu chiaro, dovevo rimettermi in marcia ma non prima di aver fatto scorte di cibo, così approfittando del caos intorno a me riuscii a rientrare nell’autogrill e a saccheggiare tutto quello che mi capitò a tiro. Mi rimisi al volante del mio mezzo, accesi una winston blu e ripartii.
…Fu così che l’inferno si presento innanzi ai miei occhi, fu così che conobbi gli zombie.
Alessandro Undici