FANS

di Michela Iucchi



Disteso, sul pavimento polveroso di una casetta abbandonata nel bosco, che è ormai il mio rifugio da oltre una settimana, penso a quanto mi cambierebbe la vita il non essere più solo; con gli occhi fissi al soffitto di travi
marce, m’immagino il piacere di trovarmi a condividere gioie e dolori, pensieri e uccisioni e sì, anche cibo e pallottole.

Avere qualcuno con cui affrontare questo maledetto mondo e che sappia riportarmi con i piedi per terra, consapevole della mia fragilità terrena e mentale.

È assurdo che finora non mi sia mai imbattuto in un sopravvissuto, un’anima sperduta in un mondo alla deriva. Sono rimasto solo? Sono condannato a rimanere solo fino alla fine dei miei giorni? È questo il prezzo da pagare per così tanta cattiveria?

Mi rannicchio di lato in posizione fetale, quasi a voler tornare in quel luogo tanto amato e sicuro, nella speranza vana che tutto si aggiusti e che la vita possa scorrere di nuovo viva e noiosa.

Ad un tratto odo un tintinnare violento provenire dall’esterno che mi riporta alla realtà; il mio allarme-zombie di fortuna, sistemato sul perimetro della casa, sta funzionando e deve aver intrappolato qualche vagante.

Ormai erano giorni che non se ne vedeva uno e la loro presenza è solo una seccatura.
Di scatto mi alzo dal pavimento sudicio, recupero il fucile appoggiato ad una credenza mezza rotta di fianco a me, infilo nella cinta il piede di porco e controllo velocemente la presenza del coltello nella sua custodia legata alla coscia sinistra.

Scruto da dietro il pannello in plexiglas, che protegge la finestra rotta che dà sul cortile posteriore, e noto che le lattine legate al filo spinato, che avevo posizionato intorno alla mia abitazione, stanno ancora dondolando, ma questa volta in maniera anomala.

Cerco di osservare meglio, aguzzo la vista, ma nel raggio di dieci metri non vedo nulla.

Sposto la tavola di fortuna, posizionata davanti alla porta e che fa da tramite tra il regno dei vivi e quello dei morti, imbraccio la mia doppietta, apro in silenzio la porta con la canna del fucile ed esco.

In giro nulla…niente calpestii strascicati,niente ansimi,niente lamenti inquietanti; di zombie insomma neanche l’ombra.

Verso l’angolo destro della casa sento dei piccoli sbuffi e ringhi sconnessi.

Rinfodero il fucile, consapevole che il piccolo ospite presente non rappresenta una minaccia. La sua preda è una povera lepre che stupidamente è finita nella mia trappola e che magari poteva essere il mio pranzo!

Lentamente e senza fare il minimo rumore, tento di avvicinarmi di soppiatto, arrivato a pochi passi da lui colgo l’occasione per sfoggiare uno dei miei migliori fischi.

Questo piccolo bastardo si blocca, molla la preda e si gira verso di me. Per un attimo interminabile ci scambiamo uno sguardo misto di stupore e inquietudine. Occhi negli occhi, potrei leggere tutta la sua vita in un battito di ciglia; sporco e con il pelo arruffato, deve averne passate di avventure.

E poi, cosa che non mi sarei mai aspettato, mi scodinzola, si passa la lingua sul muso, si dà un’energica scrollata, si siede e, orecchie basse, incomincia a mugugnare!

Cavoli, ho pensato, due son le cose: O mi ha scambiato per un pasto più appetibile di quella lepre scarna, o oggi mi son trovato un amico!

Provo a farlo avvicinare, mi abbasso al suo livello e lo chiamo porgendogli la mano.

Questo, si volta verso la lepre, unico suo mezzo di sostentamento, l’annusa una volta e a malincuore l’abbandona, si rigira verso di me e, piano piano e a piccoli passi mi raggiunge, sempre più accucciato.

È un tutt’uno con l’erba del giardino, i suoi occhi sono languidi, le orecchie protese all’indietro e la coda pare che si stacchi da un momento all’altro, tanto che si agita.

L’emozione che provo nel vedere questa piccola creatura abbandonarsi alle mani sconosciute di un individuo, che potrebbe essere il suo peggior nemico, in questa circostanza, è indescrivibile!

Oggi ho imparato una nuova azione, la dedizione che hanno questi animali nei confronti del genere umano, va oltre ogni conoscenza logica, ogni pregiudizio, ogni apocalisse.

Un piccolo essere indifeso, che oltretutto è riuscito a sopravvivere tanto quanto me, merita uno spazio tutto suo su quel maledetto pavimento polveroso!

Benvenuto amico mio.

Michela Iucchi


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