di Pietro Soman
Le fiamme danzano dietro le vetrate della cattedrale. L’interno, deserto, non appare come solida pietra, ma come qualcosa di mutevole, informe, che lampeggia d’ombre orlate di verde, viola, blu, bianco, con sagome d’uomini e bestie deformate e terrificanti proiettate da santi ed angeli.
Il portone è divelto e le colonne si allungano verso l’altare come una foresta oscura, pietrificata, silenziosa e gelida. L’eretico é in piedi proprio lì, un passo fuori dalla porta, un passo dal marmo lucido del pavimento. Occhi come carboni ardenti brillano nel volto buio, dietro ad essi solo l’Inferno. L’eretico solleva il prete, oramai nulla più che un fagotto sanguinolento tra i suoi artigli di metallo, e lo scuote, facendogli ciondolare la testa. Sembra un giocattolo rotto, una bambola disarticolata. Goccioline scarlatte cadono per terra.
«Lo vedi, padre?» mormora con un rimbombo di lamiere, «Vedi ciò che resta della gloria del tuo Dio?»
Il prete mormora qualcosa, quasi del tutto incosciente. L’eretico tende l’orecchio al suo bisbiglio, cercando di distinguere le parole sotto il rombo del fuoco che arde la città circostante. Che arde il mondo.
«Dómine Deus, firma fide credo et confíteor ómnia et síngula quæ sancta
Ecclésia …»
L’eretico sorride e il rosso del fuoco che contiene brilla attraverso denti aguzzi e regolari. In quel momento appare come una zucca di halloween. Riconosce le parole dell’actus fidei, una preghiera latina.
«Muori con una preghiera sulle labbra. Muori come hai vissuto.»
Lo solleva, avvicinandogli il viso al proprio.
Il prete socchiude gli occhi e sente la pulsione di ritrarsi da quell’effige demoniaca, rovente e ghignante, odorosa di fumo.
«Quindi… muori!»
L’eretico proietta all’indietro il braccio di metallo ed un getto di vapore ne gonfia ed agita la veste mentre, con un sibilo, scaglia la marionetta sanguinante in avanti con una forza mostruosa. Il prete urla, mentre vola rapido lungo la navata e vede le panche scorrere rapide sotto di lui. Rotea su se stesso, incapace negli ultimi istanti di comprendere quale sia il sopra e quale il sotto, e si schianta nel coro con un rumore secco, di ossa spezzate.
«Mi senti, Dio?» urla con un rombo l’eretico, «Sto per entrare!»
Solleva un piede e lo posa con un clangore nel corridoio. Le pareti della cattedrale paiono tremare, scricchiolare, ma resistono.
«Sto per profanare l’ultimo luogo sacro,» continua con scherno, posando un piede avanti all’altro, «l’ultimo altare, l’ultimo crocifisso. Tra breve, la vittoria sarà mia!»
Un lungo artiglio, lucido e affilato come una lama, cala lentamente nell’acqua santa e questa comincia di colpo a bollire, fischiando come una teiera impazzita, ed evapora del tutto in pochi istanti. Le luci e le ombre impazzite vorticano su statue e pareti e l’organo appare come un mostro morto, un enorme cadavere imbalsamato.
L’eretico raggiunge lentamente l’altare e Cristo lo osserva, dolente, dall’alto della sua sofferenza. Il rumore delle fiamme fuoristanti é praticamente inesistente, come schiacciato dal silenzio della cattedrale.
«Hai puntato tutto sulla carne e hai perso, amico mio.»
Non giunge alcuna risposta. Ma lui non l’aspettava. In millenni, molto di rado Lui aveva fatto sentire la propria voce e spesso in maniera incomprensibile.
Il mio pensiero segue vie che voi non potete comprendere.
«Come potevi sperare di vincere, quando i tuoi stessi adoratori non ti comprendevano davvero? Quando tu impiegavi cento e cento delle loro generazioni per dare un segno, una risposta, un indizio? Tu non hai capito l’Uomo, amico mio. Tu l’hai creato, ma non lo capisci.»
Il calice è ritto sull’altare, come un guardiano, come l’ultimo ridicolo simbolo, l’ultima assurda resistenza sistemata lì da un sacerdote devoto.
«O forse lo capisci, ma non ti interessa. Avresti almeno potuto aiutarlo più concretamente, non credi?»
L’eretico sorride con i suoi denti da Jack O’ Lantern.
«Sacrifici, sangue, pane, vino, corpo, preghiere che per gli uomini non sono altro che aria e anche meno… pensiero, etere, qualcosa che non possono nè comprendere appieno nè spiegare. Qualcosa che non possono… spiegare. Il tuo destino era di perdere sin dal principio.»
Ancora il silenzio. Ma l’eretico è paziente. È soprattutto curioso. Si chiede se, alla fine, ci sarà un’ultima parola, un’ultima profezia, un lamento, un’ira divina o una rassegnazione divina. O tutto terminerà nel silenzio e l’ultimo rumore della Chiesa sarà quello delle pietre dell’ultima cattedrale che crollano? Delle vetrate che si schiantano, le colonne che collassano, le statue che precipitano a terra e si infrangono come porcellana?
«Diabolus in machina, amico mio. Io sono la macchina. La macchina è la fine dell’umanità. E la fine della cristianità e di ogni altra religione.»
Forse il Cristo in croce si è mosso? Con le ombre danzanti, sembra che il sangue coli lungo la sua fronte per davvero.
«L’automobile. Il telefono. La televisione. Io sono ovunque. Ho invaso le loro vite, rendendole vulnerabili ad ogni secondo, ho annebbiato le loro menti, distrutto la loro lingua e cultura, avvelenato la loro aria. E loro sono stati così idioti da non comprenderlo. Hanno creato macchine – hanno creato me! – che inquinano, uccidono, rendono la terra sterile, l’aria mortale, e non hanno capito. Sono andati avanti, ostinati, ciechi, inesorabili. Dov’eri tu, quando tutto questo stava succedendo? Quando la violenza diventava quotidianità, la menzogna realtà, il cibo veleno?»
L’eretico calò i pugni di metallo sull’altare, incrinandolo. Scintille sprizzarono dal contatto tra le sue mani ed il marmo.
«Rispondi!» abbaiò, «Dov’eri tu! Dove! In cielo a guardare? Dove?»
Colpì di nuovo l’altare ed una crepa vistosa vi apparve.
L’eretico abbassò la testa, cigolando. Aveva vinto. Il suo avversario non aveva nemmeno avuto la forza o il coraggio di affrontarlo nell’ultima battaglia.
«L’Era dell’Uomo è terminata! Oggi comincia l’Era della Macchina!»
Si avviò verso l’uscita, mentre le fiamme cominciavano a lambire le mura della cattedrale. Presto, non sarebbe rimasto alcunché. E fu in quel momento che udì.
Non vide, non sentì, ma nella sua mente, ormai nulla più che un intrico di cavi e schede elettroniche, le spie cominciarono a lampeggiare come impazzite e la corrente rischiò di bruciarne i contatti.
L’era che hai costruito finisce nel momento in cui nasce
Hai avvelenato ogni fiume, lago e mare
Hai bruciato ogni albero ed ogni casa
Annerito il cielo con i tuoi fumi e reso l’aria un inferno di fumo e fiamme
Hai calpestato i germogli ed i teschi delle creature che abitavano la terra
Ed arso ogni monumento, schiacciato ogni uomo, donna e bambino
E adesso la tua ora é giunta e scade nel medesimo istante
Perché sai solo distruggere, non hai imparato a creare
Sei re e dio di un impero di cenere e lapilli
Di terre aride e fiumi neri
Di polvere radioattiva e cieli di ghiaccio.
E di colpo la consapevolezza lo colpì come un maglio. Le sue giunture gemettero, mentre si precipitava fuori dalla cattedrale. I suoi occhi non videro altro che fiamme a non finire. Non una stella era visibile e non un suono si udiva, tranne quello delle mandibole del fuoco, che masticavano gli ultimi resti di ciò che era stato. Ma presto anch’esso sarebbe morto, perché nulla era rimasto da bruciare.
E l’eretico capì che lui sarebbe rimasto solo, ultimo re di un regno di cenere, solo fino alla consunzione delle sue membra di metallo, perché oramai da tempo non era più spirito. Egli era solo la Macchina, ma null’altro sarebbe rimasto.
Ed il mondo bruciò.
Trascorsero duemila anni, poi altri duemila, e l’eretico arrugginì, si consumò, si seccò, ed infine crollò in polvere, solo com’era sempre stato dal momento in cui aveva rifiutato di capire, di costruire, ed aveva solo distrutto.
E quando l’ultima vite del suo corpo non fu più che polvere e l’ultimo pensiero incoerente balenò in quei pochi bit di memoria rimastigli in una stringa di vocali, l’ultimo urlo della macchina, la vita, deridendolo, sorse dai suoi resti. Un germoglio verde spuntò faticosamente tra le sue costole rugginose, oramai sottili, come carta, e si tese verso il Sole, assorbendo aria di nuovo pulita e stagliandosi contro un cielo di nuovo limpido.
E ci furono un nuovo cielo e una nuova terra, perché il cielo e la terra di prima erano scomparsi e la macchina non c’era più.
Pietro Soman