di Luca Pennati
Ci siamo accampati lungo le sponde di questo laghetto di cui ignoriamo il nome. Intorno a noi ci sono i rigogliosi boschi piemontesi. Dalla Val Vigezzo la nostra compagnia di spazzacamini è diretta a Milano per il consueto periodo di pulizia delle canne fumarie. Va fatto prima che arrivi l’inverno. Di questo passo ci vorranno ancora tre giornate di cammino per arrivare a destinazione. A complicare il tutto poi, c’è stata una tromba d’aria. Ha abbattuto numerose piante che sono diventate d’intralcio al passaggio dei nostri carri. Quindi abbiamo dovuto deviare il percorso che ci ha portato su sentieri sconosciuti. Il bosco ci ha accompagnato per tutta la giornata. Sembrava non finire mai e stava pure arrivando sera. Poi ad un certo punto siamo sbucati su uno spiazzo erboso che si affaccia su questo specchio d’acqua. Non ci è sembrato vero.
Il Padrone ci ha ordinato di sistemare i carri a semicerchio e di accamparci per la notte. Da un lato il bosco e dall’altro il lago. Sulla riva c’é un pontile malandato e probabilmente inutilizzato da chissà quanti anni. Abbiamo acceso un bel falò per asciugarci dall’umidità della natura. Piero e Tonio hanno anche buttato una rete da pesca ma senza fiducia.
Nel frattempo è arrivata la mezzanotte e il falò è ridotto a brace, sto affrontando il turno di guardia così come ha comandato il Padrone. Per il momento intorno c’è silenzio. Il lago produce solo un leggerissimo sciabordio che accarezza i pali di sostegno del pontile. Sdraiato sulla paglia per i cavalli mi godo la volta celeste. Abbiamo mangiato carne secca perchè la rete da pesca alla fine è rimasta vuota. Sandruccio mi raggiunge. E’ lo spazzacamino più piccolo della compagnia e lavora in coppia con me. Lui fa il lavoro sporco. Gratta la fuliggine nei comignoli più stretti mentre io lo sorreggo con le corde dall’alto del tetto.
Di notte ha sempre voglia di parlare. Io preferisco fumare ma lo ascolto sempre volentieri, almeno mi tiene sveglio. Di solito mi parla della sua famiglia, dei sacrifici che suo padre fa per trovar da mangiare ai suoi sette fratelli. E’ per questo che quando arriva l’estate viene affidato al Padrone. Una bocca in meno da sfamare.
Sandruccio è rimasto in silenzio per un po’ con gli occhi rivolti all’insù a scrutare le stelle. All’improvviso abbassa la testa e mi guarda. Sta per dirmi qualcosa quando sposta lo sguardo dietro di me. Il terrore gli irrigidisce il volto. Lo vedo spalancare la bocca e sgranare gli occhi. Emette un urlo strozzato e si butta all’indietro. Compie una capovolta e finisce per sbattere la testa contro il legno duro di una ruota del carro. Perde i sensi.
Con un brivido che mi corre lungo la schiena, pur non sapendo cosa aspettarmi, mi volto a guardare cosa abbia provocato nel mio compagno quella reazione.
Emergendo dal fondo del pontile, c’è un’enorme mano viscida. Dalle lunghe dita gocciolanti, pendono alghe e molluschi dalla conchiglia antica. Mentre le guardo con orrore, quelle dita melmose e ossute fanno presa sulle assi di legno. Facendo forza permettono a uno spaventoso incrocio tra ciò che resta di una forma umanoide e un kraken leggendario, di issarsi fuori dall’acqua. Subito appare un gigantesco cranio verdastro lucido mezzo scarnificato. Riflette la luce della luna. Gli occhi sono solo fessure, come tagli obliqui in una membrana cartilaginea. Mostra una bocca bavosa che si apre vorace mostrando fauci aguzze, labbra carnose e una lingua tentacolare. Si porta sempre più in alto. Il corpo è un monoblocco squamoso di pelle traslucida quasi trasparente. Sotto di essa s’intravede una specie di cassa toracica che si muove ritmicamente. In qualche modo sta respirando.
Lo osservo rapito e disgustato. Il mostro è ormai interamente sul pontile. Al posto delle dita dei piedi ha un groviglio di tentacoli che si muovono vorticosi. Le gambe si spostano strisciando veloci grosse come tronchi d’albero. Sembra privo di ginocchia. È ricoperto di melma fangosa ed emana un puzzo nauseabondo che m’investe.
Quell’insieme di assi e palafitte malconce s’inclina pericolosamente sotto la mole di quell’essere immondo. Deve avere un peso enorme. L’ominide si trascina dietro la rete da pesca fradicia. Con un tonfo la lascia cadere sul ponte. E’ piena di alghe e poltiglia mista a qualche mollusco e piccoli pesci. Questi, lontani dal loro ambiente naturale si dimenano e qualcosa sfugge. L’ominide è in cerca di qualcosa, ruota la testa annusando l’aria.
Vicino al carro delle provviste ci sono i barili ricolmi di carne secca e le forme di formaggio d’alpe che erano stati aperti per la cena. L’odore di quel cibo è molto forte e la creatura lo sente. Annusa sempre di più. Con un rapido balzo che non avrei pensato possibile, si avventa sui barili con l’enorme bocca spalancata. I denti aguzzi dilaniano il legno. L’ominide con pochi e devastanti morsi divora ciò che trova.
Il rumore richiama Tonio, uno degli spazzacamini anziani, che era di guardia sul tetto del carro del fabbro. Sento che urla: “Chi è là?” mentre scende rapido le scale laterali e si avvicina.
L’ominide gli va incontro travolgendolo. L’uomo urla di terrore e cerca di scappare ma è troppo tardi. La creatura allunga le sue mani enormi e lo afferra per le spalle attirandolo a sé. La testa scompare nella bocca cavernosa. Sento uno schiocco e il corpo dello spazzacamino cade a terra tra gli schizzi di sangue. Dopo aver sgranocchiato la testa, il mostro alza di nuovo il corpo tenendolo bene in alto. Inizia a scuoterlo come se fosse un sacco vuoto e poi a strizzarlo con movimenti rapidi e possenti delle mani. In pratica lo sta spremendo. Con la lingua tentacolare assapora questa spremuta umana. Sul terreno si formano dei rivoli misti acqua putrida e fluidi corporei. L’odore è sempre più nauseante.
Mi faccio piccolo piccolo in un angolo e cerco di non farmi vedere. Sento trambusto. Anche l’altro uomo di guardia è stato attirato dai rumori. Lo vedo rifugiarsi dentro al carro con le cuccette chiudendo dietro di sé la pesante porta di legno.
Ora in mezzo al campo è tutto un macello: il falegname e il maniscalco, attirati dalle urla, sono usciti in mutandoni. Vedendo l’ominide scappano gridando terrorizzati. Si rintanano anche loro dentro la baracca viaggiante. Le ruote dei carri cigolano. I cavalli legati all’albero incominciano a scalciare e a nitrire come forsennati. Il fabbro, tirato giù dal letto dai rumori, dopo aver visto, fugge anche lui. Prende la strada del bosco in tutta fretta e fa appena in tempo a non farsi afferrare. Purtroppo, cercando riparo, si scontra con uno zoccolo durissimo di ronzino che lo manda a sbattere contro un albero. Sento che bestemmia. Tutto normale. Si rialza e scappa.
Fino ad ora ho dimenticato di essere anch’io in pericolo. I pochi minuti passati sembrano far parte di un sogno orribile. Adesso, però, ridestato dall’orrore che mi ha letteralmente paralizzato, mi muovo in cerca di salvezza.
Mi viene in mente Sandruccio. Dov’è finito? Mi guardo intorno e lo scorgo privo di sensi, dove è caduto poco prima. Proprio lì vicino al piccolo carretto degli attrezzi che ci portiamo a rimorchio. La paglia per i cavalli lo protegge dalla vista del mostro. La porta è solo socchiusa. Decido che ci ripareremo lì dentro. Devo solo trovare il momento giusto per balzare verso quella direzione.
Continuo a tenere d’occhio quell’essere. Mi sembra quasi impossibile che fino ad ora l’ominide mostruoso non ci abbia visto. Non faccio in tempo a formulare questo pensiero che quella testa grottesca, mezzo polipo e mezzo uomo senza occhi, si gira verso di noi. Muove le grosse labbra come se stesse succhiando.
Lo posso sentire mentre assapora il puzzo del nostro sudore ghiacciato dalla paura. Emette un rantolo cavernoso che sembra interminabile. Vedo i piedi tentacolari arrivare verso di noi. Lascia dietro di sé un’impronta di bava. Capisco che non c’è un secondo da perdere. Afferro Sandruccio per le ascelle e lo trascino velocemente dentro al carretto. Chiudo rapido la porta. Speriamo bene.
Dopo essermi assicurato che la botta rimediata da Sandruccio non sia grave, vado a guardare fuori dalla finestrella. La creatura si sta aggirando intorno cercandoci. All’improvviso sento un tonfo e il vetro si oscura. Mi ritraggo impaurito. Il palmo squamoso dell’enorme mano copre l’apertura. Ci ha trovato, è la fine. Poi però, mentre maledico l’evidente fragilità di quelle pareti in legno, la creatura si sposta. Passano due secondi e sento un grido acutissimo. Poi rumore di carne e ossa che si spezzano e il suono di mandibole che masticano. Sono passati pochi minuti da quando scrutavo le stelle, eppure sembrano essere passate delle ore. Ho sudato diciotto camicie ma non ne ho mai avute così tante. Intanto il grido all’esterno ha fatto riprendere Sandruccio. Si muove, si strofina gli occhi e si mette a sedere. E’ ancora mezzo stralunato. Mi avvicino al suo orecchio e gli raccomando di non fare rumore. Mi chiede cosa ci fa lì dentro.
“Siamo nel carretto degli attrezzi. Ti ho portato io per metterti al riparo” gli dico sottovoce.
Si guarda meglio intorno e cerca di alzarsi:“Al riparo da chi? Ho fatto un brutto sogno. C’era un mostro.”
“No. Purtroppo è tutto vero e stai zitto. Muoviti il meno possibile. E’ ancora lì fuori.”
“Oddio ma allora non era un incubo. Moriremo anche noi.” Incomincia a singhiozzare.
“Non fare così. Smettila. Solo se stiamo qua dentro in silenzio, ce la faremo” gli sussurro deciso.
Respira a fatica, allora gli allento il colletto della camicia e gli passo un mestolo d’acqua che ho preso dal barilotto che c’è nell’angolo del carretto.
“Bevi e datti una calmata”.
“Ho sentito un grido là fuori. Chi era?” mi chiede.
“Dalla voce doveva essere Piero” l’ho riconosciuto dall’acuto da tenore. Impossibile non riconoscerlo. Cantava sempre mentre guidava il carro per andare in città.
Sandruccio quasi non crede alle mie parole e si avvicina alla finestra per guardare fuori.
“Oddio, quella cosa è gigantesca. Lo sta mangiando. Non voglio finire così” è pietrificato dal terrore.
Vado a guardare anch’io. Ciò che rimane di Piero giace a brandelli sul terreno. Scorgo gli stivali e parte di una gamba. L’ominide tiene in mano un braccio e se lo sta sgranocchiando. Il resto è solo poltiglia mezza sputata.
Penso che l’unica cosa che possiamo fare sia sperare che se ne vada ormai sazio. Arriverà mai la luce del giorno? Mi metto in ginocchio vicino al barile dell’acqua. Sandruccio si è raggomitolato e piange sommessamente. Non ho neanche la forza di dirgli di smettere.
Non so quanto tempo sia passato. Torno davanti alla finestra e mi metto in ascolto, ma non sento alcun suono. Il cuore mi batte fortissimo. Tutto fuori appare stranamente buio: forse la luna è oscurata da una nuvola. La luce va e viene. E’ l’ominide che continua a spostarsi. Qualcosa picchia sul vetro ma non capisco cosa sia. Come colpito da un proiettile la finestra va in frantumi. Una cosa lunga e viscida entra per un metro buono all’interno. Preso dal panico, indietreggio e mi rifugio nell’angolo più lontano. Una puzza nauseabonda sta impregnando l’aria. Mi rendo conto che è la sua lingua tentacolare. Si muove in questo piccolo spazio vorticando. Sarebbe in grado di afferrarmi e stritolarmi. Vedo che si sta pure gonfiando mentre qualcosa da fuori spinge contro la parete in legno. Vuole entrare a tutti i costi. Sento le assi scricchiolare.
La lingua continua a vorticare intorno alla ricerca di una preda. E’ sempre più lunga e gonfia. Nel frattempo la parete si sta sfondando.
“Sandruccio, spostati da lì. Mettiti al riparo” urlo rauco al mio compagno. Lui si alza da dove era rintanato e va a nascondersi sotto a un tavolino pieno di arnesi. Questi incominciano a cadere a terra. La lingua si dirige, allora, verso la fonte di rumore. Nel tentativo di allungarsi sempre di più per afferrare Sandruccio, la parete cede sotto il peso dell’ominide. La morte orribile si avvicina sempre di più. Ora non c’è più nessuna barriera tra noi e il mostro che si fa largo all’interno del carretto. E’ così grosso che deve rimanere piegato ma questo non gli impedisce di avventarsi su Sandruccio che è il più vicino.
Con un colpo secco la creatura sfascia il tavolino. Per il mio compagno non c’è speranza. Lo afferra mentre lui lancia un grido terrificante. Lo spezza in due come se fosse un pezzo di pane secco. Gli schizzi di sangue inondano la stanza. Io sono a poco più di un metro dalla sua bocca masticante.
“Bastardo, lascia Sandruccio” grido, tremando come una foglia. Vedo la mia fine. La creatura si dimena con il corpo del mio amico tra le fauci. Mi spinge di lato. Lui continua a mangiare. Cado vicino a ciò che resta del tavolo del falegname. Proprio in mezzo agli attrezzi caduti, mi ritrovo a fissare un punteruolo accuminato. L’afferro. E’ poco più lungo di un coltello ma meglio di niente. Mi alzo con l’arma ben salda in pugno e incomincio a menare fendenti. Il punteruolo affonda tra le squame. Riesco a disturbarlo. Lascia andare gli avanzi di corpo del mio amico. Ora è tutto per me. Si ferma e mi guarda con quei tagli che si ritrova al posto degli occhi. Sono palpebre serrate. La pelle del viso è squamosa; ha una consistenza gelatinosa di un color bianco perlaceo. Il puzzo intorno aumenta. Anche i miei conati di vomito. La bocca carnosa si apre e la lingua tentacolare schizza in avanti nella mia direzione.
La scarto di lato e abbasso violentemente e in rapida successione la mia arma. Compie egregiamente il suo lavoro. I colpi vanno a segno trapassando più volte quei tentacoli viscidi.
Dalle ferite incomincia a sgorgare una sostanza verde schiumosa. Il mostro rotea le braccia cercando di afferrarmi. Con una sedia mezza rotta, lo tengo distante. Riesco ad arrivare in corrispondenza del varco nelle assi della parete che la creatura ha provocato.
Fuggo il più veloce possibile. C’è un solo posto dove potrei avere una possibilità di salvezza e non intendo farmela scappare.
Con rapidi balzi arrivo alla scala che porta sul tetto del carro del fabbro. Di solito per le notti di guardia, c’è sempre un moschetto di riserva con la palla in canna e lo stoppino inserito. Spero di non sbagliarmi.
Salgo velocemente e, come pensavo, lo trovo. Sento la creatura dietro di me. Se salisse qua sopra non avrei scampo. Allora scendo in fretta e furia e mi dirigo verso il pontile. Cerco di muovermi all’indietro tentando di prendere la mira. L’ominide si avvicina rapido. Alla luce della luna vedo che sta ancora schiumando dalla bocca. Emette gorgogli come se stesse soffocando ma non voglio sapere se sia così. La testa gigantesca è davanti a me. sento le assi del pontile sotto i miei piedi. Sparo. La palla di moschetto esplode poderosamente. Lo scoppio mi rende sordo. Davanti a me il fumo dello sparo non mi permette di vedere cosa sia successo ma sento un tonfo sordo e uno scricchiolio di assi che si spezzano. Lascio cadere l’arma e fuggo verso i carri. Non appena raggiungo l’erba, m’inginocchio esausto. Spero che il colpo l’abbia centrato. Dietro di me sento un tuffo nell’acqua. Mi volto e vedo che il pontile è crollato insieme alla creatura. Quasi non mi sembra vero. Sento che si sta alzando una brezza particolamente fresca che spazza via rapidamente il fumo. Mi avvicino alla sponda e vedo il corpo del mostro mezzo ominide e mezzo kraken che galleggia nell’acqua nera insieme ai resti del pontile. La testa è esplosa. Giace immobile e lentamente affonda. Faccio per tornare verso il campo. Da questa distanza la scena è devastante, è tutto in subbuglio, a terra sangue e muco verde sono dappertutto.
“Per tutti i diavoli di montagna! Che caspita succede qui!” sbraita Padron Beppe spalancando la porta della suo carro. Esce in braghe di tela e canottiera sudicia. In mano ha la sua solita bottiglia di barbera. Dietro di lui si accoda la donna del bordello che si è portato dietro quando siamo partiti. È mezza nuda e ha una faccia stravolta.
Il Padrone si avvicina la bottiglia alla bocca, fa un lungo sorso poi incomincia a maledire tutto quel casino. “Non si può neanche scopare in santa pace che voialtri ne combinate sempre una”.
Guarda sulla porta il buco lasciato dal proiettile che ha trapassato la testa del mostro, si stropiccia gli occhi e si da una sistemata ai capelli arruffati.
“Vi sembra il momento di giocare a tiro a segno? Siete la compagnia di spazzacamini più malandata che abbia mai avuto!” urla. “Vi dimezzerò la paga per un mese. Dovrete ripagarmi di questi danni”.
Poi dopo essersi grattato vigorosamente le palle si rivolge a me come se niente fosse:“Ragazzo preparami la colazione. Portami il fomaggio e altro vino. Muoviti”.
Non aspetta certo la mia risposta. È già rientrato nel carro portandosi dietro quella povera donna.
Sta spuntando il sole. Mi lascio cadere sulla paglia. E’ stata una lunga notte. Sandruccio non c’è più e anche parte della compagnia è morta. Guardo l’acqua del lago che nonostante la luce è di un nero profondo. Non avevo mai visto un colore così scuro.
Ho voglia di dormire e non pensare a ciò che è successo ma non posso. Sento il Padrone che sta urlando di nuovo:“Ragazzoooo, dove è il mio formaggio???”
Luca Pennati
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