di Joe Vanni
Le nutrie giravano fameliche al di fuori del recinto.
Si erano probabilmente contaminate a causa dell’inquinamento del fiume, sulle cui acque diverse fabbriche riversavano prodotti chimici. Questa era la teoria di Nicola, forse anche verosimile, ma non confermata.
Con Luca decidemmo di osservare le bestie più da vicino e avanzammo cautamente verso il cancello esterno.
All’improvvisamente sbucò una macchina. Le nutrie ebbero paura e si allontanarono. Luca decise di aprire il cancello e uscì con strana tranquillità al di fuori per accogliere l’ospite.
Era Helga che arrivava non dal cielo, come previsto, ma con la sua autovettura.
Parcheggiò all’interno del bunker, scese e cominciò uno dei suoi soliti discorsi logorroici, spaziando dal tema della sparizione degli Dei ellenici, all’alleggerimento del pistone di recupero di gas dell’AK 47, a come cucinare i bucatini all’amatriciana. Un soliloquio sparato a nastro in meno di un minuto, e tutto nel mentre una marea di quei carnivori predatori circondò Luca sbranandolo davanti ai nostri occhi senza che potessimo fare niente!
Quel che restava di lui fu trascinato in una scia di sangue non si sa dove. E mica potevamo andare a controllare!
Restammo al di qua del cancello richiuso e serrato. Nessuno pianse Luca, perché noi non conoscevamo queste espressioni comuni e inutili di civile e borghese debolezza. Era morto, sbranato, come le carni di succulenti animali di cui si cibava avidamente. Pazienza!
Di lì a qualche ora arrivò il carico grosso, il gruppo logistico.
Sembrava un pulmino carico di figli dei fiori, un miscuglio di hippie e veterani sciancati di qualche guerra coloniale. Ormai erano penosi quanto me perché vecchi, logori, stanchi, noiosi e al termine della loro vita.
Tutti eravamo al capolinea, come vecchie mandrie destinate al macello o a morire di fame e sete nel nostro deserto mentale.
Eh sì, la “gita” era solo una scusa per dare un senso o una fine alla nostra ormai inutile vita. Un ritrovo di attempati arnesi logori e vecchi.
Qualcuno di noi era in già in pensione, qualcun altro in procinto di andarci e altri ancora impossibilitati persino a sognarla. Un plotone di essere inutili in cerca di un risveglio, di una nuova possibilità di esistenza, o anche solo della conferma che non fossimo divenuti quei morti deambulanti quali apparivamo. In sintesi, un’accozzaglia di relitti senza forza, debole e gravosa per la società. Facevamo pena!
E questa potrebbe essere una trascrizione di un occhio male allenato e non attento. Col cazzo!
La Esse Z aveva forza vitale ineguagliabile, intramontabile, e invincibile. Altro che vecchi logori e stanchi! Ciascuno aveva ancora da donare molto al gruppo, alla nostra amicizia, alla nostra esistenza che ci vedeva in contatto spasmodico notte e giorno.
Un’unità combattente, che non dormiva mai. Qualcuno infatti era sempre sveglio e presente a qualsiasi ora del giorno e della notte (a titolo esplicativo, basti vedere i commenti sulla nostra bacheca che noi chiamavamo con nome mimetico “Gruppo Horror Italia”).
Dare una connotazione comportamentale di ogni componente del gruppo non è compito mio e non ne sarei all’altezza. Ciascuno era particolare e controverso, con diverse abilità culturali, tecniche e risolutive. Mi sarebbe piaciuto conoscere meglio tutti, avvinazzarmi e cantare con loro, arrivare barcollando felice al letto o al sacco al pelo e risvegliarmi il giorno dopo… ma quel giorno morimmo tutti!
In sala tv ascoltammo che le bestie che ci circondavano non erano i soli predatori di cui temere. Il mondo era cambiato all’improvviso, forse addirittura finito, di sicuro trasformato.
Orde di animali, uomini, essere animati e non erano divenuti infetti, rabbiosi, in preda a una malattia indescrivibile, pericolosa e altamente contagiosa. Una catastrofe si era impadronita della nostra civiltà umana e animale. E il mondo volgeva al termine per lasciare spazio a nuove esistenze disumane, affamate, incontrollabili.
Fuori dal bunker ormai non esisteva più nulla di conosciuto. Le immagini proiettate da un nastro preregistrato ci misero al corrente di un disastro ineguagliabile.
La televisione si spense all’improvviso, la corrente elettrica non esisteva più e fosche presenze cominciarono ad accalcarsi alle spalle delle nutrie assassine.
Il colonnello predispose subito un piano di difesa e ciascuno di noi imbracciò o impugnò ogni arma disponibile.
Gabri e Viola si rifugiarono nello scantinato. Lì probabilmente furono sbranate per ultime.
Il Piccolo principe, Valerio, si lanciò con un coltello da cucina verso la rete del perimetro, la scavalcò e fu mangiato all’istante.
Dinanzi a quella scena cruenta Tambrona Rosalia morì di infarto.
Anna Elle la vidi per l’ultima volta mentre sferrava coltellate agli infetti. Poi fu accerchiata e scomparve nelle loro bocche.
Conchita fu mangiata viva mentre si scattava qualche selfie attorniata da decine di infetti. Il pasto durò diverse ore.
Igor e Helga si fecero esplodere abbracciati per sempre con una bombola di butano da 25 kg oltre il cancello.
Michele R…non era pervenuto.
Giuseppe K., detto il Siculo, morì di senilità mentre preparava le sardine in cucina.
Giò si dileguò nelle mandibole degli assalitori durante un colloquio di “persuasione”, una fantomatica trattativa oltre il cancello con dei “tribuni zombie”.
Io, Michela L. e il colonnello Furia ci trincerammo in mansarda, ultimo baluardo di resistenza. Restammo lì forse qualche giorno, forse settimane, senza cognizione del tempo, perché quell’area era priva di finestre e non avevamo orologi. Spinto da fame insaziabile, Nicola strangolò Michela L. e la finì a testate. Alla fine ce la mangiammo cruda…
Era l’inizio di settembre, forse ottobre e comunque autunno.
Io e Nicola passeggiavamo in un cortile oblungo, con mura alte e inferriate, andando avanti e indietro, avanti e indietro, avanti e indietro…
Una porta blindata si aprì e un uomo corpulento, imponente e taurino gridò:
“Furia! Vanni!… dalla dottoressa Brambilla, e poi in cella!”
Joe Vanni
EPISODI PRECEDENTI