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di Igor Zanchelli


 

Sono certo che, durante un’apocalisse zombie, l’uomo saprebbe cavarsela. Certamente, gran parte delle persone non sopravvivrebbero, ma noi non ci estingueremmo venendo sopraffatti dagli eserciti dei morti viventi. Sicuramente gruppi di sopravvissuti resisterebbero e si creerebbero delle comunità protette dove continuare a sopravvivere.

Ma nel tempo l’umanità, invece, riuscirebbe a sopravvivere?

Per rispondere a questa domanda, occorre dare in primis una definizione del concetto di uomo e di umanità.

Nel corso dei millenni, la filosofia prima e le scienze moderne poi quali l’antropologia, la sociologia, la psicologia e la sociobiologia tentarono di dare una risposta al quesito: cos’è l’uomo? E la natura umana? Le risposte sono innumerevoli e arzigogolate nei termini e nei concetti. Esse toccano tutti gli aspetti della vita di un essere umano, senza tuttavia racchiudere in un concetto verbale, assoluto e accettato, il significato di uomo.

Risparmiandovi tutto l’excursus che ha analizzando il fenomeno partendo da Socrate, passando per Platone, Agostino, Kant, Hegel ed arrivando ai filosofi moderni, con una buona approssimazione, possiamo definire l’essere umano come: un animale superiore, razionale, relazionale e sociale (e quindi appartenente al regno animale) che possiede in sé una componente intangibile, comunemente chiamata spirito (o anima, o scintilla d’assoluto), che non lo rendono totalmente vincolato e soggiogato alle leggi naturali.

Ma questo cosa vuol significare?

Sostanzialmente che noi uomini siamo animali, abbiamo istinti e bisogni, che non sono altro che l’obbedire alle leggi naturali imprescindibili a cui siamo vincolati (mangiare, bere, riprodursi, proteggersi, ecc). Ma, anche, in noi esiste una componente intangibile che ci permette di poter non obbedire ad alcune di queste ataviche leggi naturali e di andare, per certi versi, oltre la natura.

Infatti, siamo stati in grado di modificare alcuni istinti a tal punto da cambiarli completamente. Ad esempio penso alla riproduzione; la femmina umana non va più in estro in un solo periodo dell’anno. Modificando questa regola naturale, l’umanità ha permesso la formazione della coppia stabile e da lì il concetto di famiglia comunemente inteso.

Si possono fare altri innumerevoli esempi: lotta per la riproduzione, lotta per il territorio, per il cibo, ecc…

Quindi l’uomo (e di conseguenza la sua natura umana e per estensione l’insieme degli uomini che altro non è che l’umanità) possiede, in sé, due componenti principali, ovvero materia e spirito. La prima obbediente alle millenarie leggi evolutive naturali e l’altra, invece, regolata dalla volontà e dal libero arbitrio. Accettata e non confutata questa definizione, qualora essa non venga soddisfatta in tutti i suoi termini, l’uomo non sarebbe più tale, ma sarebbe altro.

Definito il concetto di umanità, immergiamo il tutto in un’apocalisse Z.

Nelle fasi iniziali del disastro, l’umanità vedrà una modifica comportamentale ben schematizzabile, ovvero cercherà riparo e protezione e in sostanza lotterà per la sua vita (queste azioni altro non sono che “l’obbedire” ai cinque bisogni primari dell’uomo, codificate indelebilmente in noi dalle leggi naturali). In questa fase sentimenti come empatia, generosità, sacrificio, pietà, tabù andranno via via scemando. Per avere un’idea sommaria di quanto detto, basterebbe leggere qualche diario o libro scritto da sopravvissuti ad eccezionali disastri naturali.

Si creerebbero delle piccole comunità poiché, per natura, l’uomo è sociale e relazionale, quindi ha bisogno di stare con i suoi simili, ma siccome è anche razionale, sa benissimo che se l’assunto “l’unione fa la forza” è vero, allora stare in comunità fornisce una possibilità di sopravvivenza maggiore.

Se l’apocalisse continuasse e gli zombi non riuscissero a spazzare via il genere umano, si creerebbe una situazione di stallo, un mondo diviso tra morti viventi ed esseri umani. Quest’ultimi vivrebbero in una perenne emergenza. Braccati, con poco cibo e poco territorio, in perenne necessità.

In questo caso, per ovvie ragioni, la parte predominante nelle azioni degli esseri umani sarà quella animale e che risponde ai bisogni concreti (cibo, protezione, riproduzione, difesa) facendo scemare e soffocare la parte dello spirito. Quest’ultima non sarà più alimentata perché religione, arte, filosofia, non troverebbero il giusto spazio nelle azioni quotidiane dei sopravvissuti impegnati a combattere per non morire.

Certamente, nelle prime generazioni alcuni sentimenti che ci caratterizzano saranno presenti, sebbene affievoliti, e rivolti esclusivamente agli appartenenti della stessa comunità. Con le generazioni successive, invece, la predominanza della componente materiale dell’uomo avrà il sopravvento. Le necessità saranno quelle materiali ed immediate, e lo spirito verrà alimentato sempre meno. Immaginate un cane, legato per anni in un recinto senza contatti con suoi simili e uomini e poi liberatelo. Le conseguenze si possono facilmente immaginare. Se si alimenta una pianta sempre meno, prima o poi la pianta morirà. Pietà, generosità, empatia, amore, odio sparirebbero.

Avremmo in definitiva una generazione di uomini pratici che, obbedendo alle leggi naturali, dovranno risolvere problemi di natura immediata per soddisfare i propri bisogni primari, una sorta di esseri primitivi, perennemente in lotta per la loro vita contro gli zombie e contro i loro simili. Dei Neanderthal moderni.

Ma così facendo, la definizione di umanità data in precedenza non sarebbe più vera, poiché tutti gli assunti dati non sarebbero rispettati (la parte spirituale verrebbe meno e anche il libero arbitrio, per certi versi) o, per lo meno, non sarebbe più vera per questa nuova entità sopravvissuta che divide con i morti viventi il mondo.

In definitiva si può sostenere che in caso di una apocalisse Z perdurante nel tempo, e che non abbia annientato l’umanità negli istanti iniziali, l’essere umano, così come definito e conosciuto oggi cesserebbe comunque di esistere. Si avrà un’evoluzione (o involuzione?) in altri esseri che, sebbene siano molto simili a noi nella morfologia, nella biochimica e nell’aspetto, non potranno essere definiti come appartenenti alla natura umana come oggi intesa, perché non soddisfano la definizione data. Saranno altro, cosa non saprei dirlo, ma certamente non come me e voi.

Per completezza, voglio sottolineare che nel presente ragionamento sono stati volutamente esclusi la facoltà di linguaggio e sentimentale che, secondo alcuni studiosi e filosofi, caratterizzano l’uomo.

Recenti studi hanno dimostrato come molti animali abbiano sviluppato delle capacità di comunicazione verbale, modulando suoni e posture corporee, per “parlarsi” tra loro. Altresì in alcune specie, almeno le più evolute, si sono evidenziati comportamenti interiori assimilabili ai sentimenti umani.

Per questa ragione linguaggio e sentimento, non potendo essere considerate come caratteristiche peculiari dell’umanità, non sono state trattate in questo articolo.

 

 

Igor Zanchelli


 

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