ArticoliRacconti brevi

di Luca Pennati


 

metro
 

 

La Metropolitana Milanese nomina le proprie linee coi colori.  Quella rossa è la linea che da sempre attira di più gli aspiranti suicidi. Una dozzina all’anno porta a compimento il proprio progetto terminale. Perché è un rosso sangue. Ovvio.

Vorrà pur dire qualcosa se il 98 percento delle morti in metropolitana a Milano succedono sulla linea rossa… come il sangue. Mi ripeto: ma tant’è. Questo è il punto, la constatazione. Non sulla verde, non sulla gialla. Sulla Rossa. Da qualche tempo hanno attivato la lilla. Ma a parte che è impossibile buttarcisi sotto (hanno messo le barriere salvavita) ma poi, chi cappero si suicida nella metropolitana lilla? Al massimo ci puoi mangiare il cioccolato…

Che poi la Rossa è anche la linea 1. Non vorrai che mi ammazzo sulla 2 o la 3. Io sono da linea 1. La prima, la più importante. Nel momento che mi butto, blocco la circolazione intera. Divento protagonista, almeno per una volta. Questo è quello che sappiamo. Quello che succede fuori. Ma dentro?

Il treno si fermò alla stazione di Cadorna. Una stazione di snodo. C’è sempre molto traffico.  Una tizia salì, tenendo per mano un ragazzino. Avevano forse quarant’anni lei e dieci lui. Poteva essere sua madre, sua zia, chiunque. Era vestita trendy, faccia da fashion blogger, da profilo seguitissimo su instagram. Si confondeva tranquillamente in mezzo ai frequentatori del quadrilatero della moda.

La gente non la notò neppure. Erano in fissa con gli occhi inzuppati negli smartphone. Il treno riprese la sua marcia. La prossima stazione era lontana un minuto e mezzo.

Un senso di irrequietezza s’impadronì di lei. Incominciò a bofonchiare qualcosa, in una lingua incomprensibile, sembravano suoni gutturali; il ragazzino all’improvviso s’inginocchiò a terra. Picchiò ritmicamente i pugni sul pavimento gommato.

Nessuno alzò lo sguardo. Tutto normale. Erano sulla Metro Rossa. Non è vero. Uno che si accorse di quello che stava succedendo c’era. Un prete. Vestito da prete, con un completo nero, scarpe nere lucide e fascetta bianca al collo.

Il prete l’aveva vista subito. Appena salita in carrozza il livello di attenzione era schizzato alle stelle. L’inquietudine della donna aumentò fino a non poterne più. Come se ci fosse qualcosa di repellente nell’aria. Incominciò a muoversi come per cercare un posto sicuro dove ripararsi. Aveva bisogno di una via di fuga, ma il treno era troppo stretto.

Si girò di scatto. Lo vide. “Prete, sei tu! Lurido servo di Dio! Sento i tuoi pensieri insinuarsi nei miei.”

Il prete si alzò, posizionandosi saldamente davanti alla donna. La fissò negli occhi. Lei si contorceva tutta nel tentativo di distogliere lo sguardo, ma non ci riusciva. Era obbligata a guardarlo. I suoni gutturali divennero sempre più forti.

“Non puoi andare da nessuna parte, bestia” disse il prete.

“Servo di Dio, toglimi quegli occhi di dosso. Io ti lascio stare e tu mi lasci andare”

“Non col ragazzino. Lascialo andare. Allenta il tuo controllo mentale su di lui”

Il ragazzino, nel frattempo, si era praticamente disteso a terra. Tentava di rannicchiarsi. Era tutto sudato. Le dita delle mani tamburellavano sul pavimento gommato come forsennate.

Lei incominciava ad avere la faccia stravolta. I lineamenti si erano tirati in una smorfia di dolore. Era un fascio di nervi.  

“Ti ordino di lasciarlo stare. Bastarda. Non lo prenderai oggi. Anzi, non prenderai mai più nessuno. Era da un po’ che ti cercavo. Ora che ti ho trovata, sistemerò la faccenda una volta per tutte.”

“Servo di Dio, i tuoi giochetti mentali con me non funzionano. Adesso ti siedi e ti godi lo spettacolo. Il ragazzo sarà il mio pasto.”

“Non credo proprio” disse il prete ed avanzò di un passo.  Aprì la giacca ed estrasse un lungo coltello iridescente.

La donna spalancò la bocca. I denti le si allungarono zampillando siero giallo. Gli occhi erano iniettati di sangue. Tuttavia, non appena riconobbe dalla spettacolare lucentezza la lama della fede, il suo gesto di sfida si tramutò in angoscia e terrore.

“Servo, stai indietro con quell’arnese. Non costringermi ad ucciderti!” urlò la donna.

“Neanche un po’. Ora ti farò male. Puttana. È inutile che fai la spavalda, lo so benissimo che sei terrorizzata.”

La donna, in effetti, era bloccata dalle potenti doti mentali del prete.

“Maledetto, qualcuno te la farà pagare”

“Certo, ora non ti diverti più. Vero?” sorrise “e mandami pure quel qualcuno quando lo incontrerai all’inferno, così sistemerò anche lui”

Il prete, senza pensarci su ancora, affondò il coltello nel collo della donna. Non appena venne sfiorata dalla lama, l’indemoniata iniziò a tremare. La pelle si lacerò come fosse stata carta velina, la lama la penetrò fino alla colonna vertebrale. Il prete afferrò la testa della donna per i capelli. Voleva tenerla dritta e ferma. Il corpo continuava a tremare come una foglia nella tempesta. Avvertiva con la punta la resistenza dell’osso sottostante. Bastò un semplice colpetto per recidere la cartilagine che teneva insieme le vertebre e affondare il coltello fino in fondo. Il corpo cadde, finalmente immobile. Il prete rimase con la testa ciondolante. Gli occhi della donna persero la loro luce demoniaca, si ribaltarono e divennero neri come la pece. Nonostante l’effetto cauterizzante della lama della fede, alcuni rimasugli di fluidi corporei andarono lo stesso ad insozzare il pavimento. Buttò la testa su un sedile vuoto.

La gente era sempre in fissa con gli occhi incollati agli smartphone. Il treno continuava la sua marcia. La stazione era sempre lontana un minuto e mezzo.

Era finita? Non ancora. Si abbassò ed afferrò il corpo. Ormai era un involucro vuoto. Lo trascinò verso la porta della cabina di comando che c’era a metà del treno. Che fosse una cabina di comando era quello che c’era scritto fuori. Aprì la porta e scaraventò dentro ciò che rimaneva del demone. All’interno s’intravedeva un braciere con delle piccole fiammelle. Non sembrava una cabina di comando. Il corpo del demone s’incendiò, le fiamme riempirono tutto l’ambiente. Dovette chiudere in fretta per non farle uscire.

Prima di tornare dal ragazzino si girò per afferrare ancora una volta la testa del demone. Dalla tasca prese una sacchetto giallo del Supermercato, di quelli maleodoranti e biodegradabili. Sono perfetti per neutralizzare le teste dei demoni. Ce la mise dentro e fece un nodo stretto. Se ne sarebbe disfatto definitivamente al suo rientro in curia.

Si chinò verso il ragazzo. “Tutto bene, figliolo?”

“Dove mi trovo? Lei chi è?”

Il ragazzo si guardò in giro spaesato. Si toccava la testa. Il controllo mentale del demone gli aveva spremuto le meningi e impedito di rendersi conto di cosa fosse accaduto.

“Non ti preoccupare, è tutto finito. Ora verrai con me”

“Ricordo soltanto che ero con mio padre al parco, poi ho incontrato mia madre mentre facevo un giro in bici e mi ha detto di andare con lei. Dov’è ora?”

“Non era tua madre. Era solo un demone. Tua madre se n’è andata anni fa. Non ricordi?”

Il ragazzo s’incupì. Guardò a terra. Vide che le mani erano sporche di sangue. Tutto attorno c’era sangue di demone che aveva formato dei rigagnoli.  Incominciò a piangere.

“Signore, mi aiuti. Mi faccia tornare da mio padre”

“Cercherò di far venire tuo padre da te, ma ora devi restare qua” disse carezzandogli i capelli.

“Grazie signore,” singhiozzò il ragazzo, “Grazie”

“Non mi ringraziare. Avevo solo più fame di lei”

Il ragazzo sgranò gli occhi e rimase pietrificato, vedendo la bocca del prete spalancarsi a dismisura. Lanciò un urlo, che si smorzò immediatamente. Il prete si era già avventato su di lui, divorandolo in un sol boccone.

“Ora starai al sicuro. Col servo di Dio”

Si pulì la bocca e si rimise seduto al suo posto. Il male era defluito.

La Metro Rossa riprese il suo ritmo temporale normale. Fermata Cairoli. Si aprirono le porte. Prima di salire far scendere i passeggeri. Anche oggi la metropolitana aveva avuto il suo sangue.

“Fate attenzione. Qualcuno ha versato del vino. È scivoloso” disse il prete scendendo e indicando dietro di sè. La gente, è proprio il caso di dirlo, se la bevve. I passeggeri presero posto, si aggrapparono come moderne scimmie alle liane di metallo e si misero ad inzuppare gli occhi negli smartphone. Questo succede dentro. Ora lo sappiamo.

 

 

Luca Pennati


 

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