Primo capitolo de LA PRIMA GUERRA NAPOLETANA CONTRO GLI ZOMBIE – I SUPEREROI DELL’ASSE MEDIANO di Massimo “MadMax” MIRANDA. Una storia in 7 capitoli ambientata nella terra dei fuochi campana, dove vedrete interagire, in una sarabanda rocambolesca, zombie, camorristi, sbirri, super eroi della Marvel, vampiri e ammazzavampiri. Un imperdibile capolavoro trash e borderline, in dialetto napoletano.
I supereroi dell’Asse mediano.
di: Massimo “MadMax” Miranda
PRIMA PARTE
1.
IL MEDICO DI PINETAMARE
Presi guanti e maschere, e mi avvisarono di non toccarlo, perché il ragazzo, dicevano, era maledetto.
“Non portarlo in ospedale, devi curarlo qui”, sussurrò il più vecchio tra i presenti.
La pelle di quello che per me sembrava un cadavere, era fredda e grigia come il cemento della casa abbandonata a Pinetamare. “Città del sole”, recitava il cartello grande all’ingresso: peccato per la “monnezza”, l’immondizia fetida, agli angoli, ovunque, tra le mosche e i topi.
Entrai nella stanza buia e lo vidi, legato, su un materasso sporco. Mi avvicinai. Non riuscii a trovare il battito cardiaco, né le pulsazioni: polso, carotidi, niente.
“Ma era vivo, indubbiamente vivo, e si dimenava, in preda a spasmi rabbiosi.”
Gli occhi erano spiritati, spalancati ed affossati nelle orbite.
Mi guardava come se fossi stato semplicemente una preda da azzannare. Il ragazzo poteva avere 11 – massimo 12- anni, ed era legato con della corda da imballaggio di plastica.
Non c’era sangue, in nessuna delle ferite che si era fatto sfregando le corde. Digrignava e si storceva, un bavaglio attutiva i suoi grugniti e provava a mordermi attraverso di esso.
Chiesi ai due neri più robusti di darmi una mano, e contemporaneamente pensai che non sarei dovuto essere lì, ma loro mi fornivano “cose” di cui avevo bisogno, senza fare storie, ed io, senza fare storie, capii quanto avessi sbagliato a dirmi disponibile.
Era di notte, e i due si rannicchiarono davanti alla porta come conigli.
“Non vi infetterete”, spiegai, “se userete guanti e mascherine.”
Si resero più disponibili, ma il terrore rimase. Uno gli tenne i piedi, l’altro gli bloccò le braccia. Feci un prelievo.
Niente sangue, solo una sostanza tipo pus, viscosa, di colore viola.
Appena tolsi l’ago, il ragazzo cominciò a lottare con violenza. Sentii il suo braccio che si spezzava. Ulna e radio vennero fuori dalla carne. Non urlò, non parve neanche accorgersene. Il braccio si squarciò fino a staccarsi. Così facendo riuscì a scivolare dal ripiano, fino al pavimento. I due assistenti scapparono via dalla stanza, urlando, sudati copiosamente.
Mi precipitai fuori anch’io, in preda al terrore. E riuscii a malapena a chiudere la porta a chiave, provando vergogna.
Sentii raspare e battere la porta. Il rumore accompagnato ai grugniti ci fece sobbalzare.
Chiesi cosa gli era successo.
Una ragazza mi disse che era stato morso mentre faceva il bagno, vicino agli scogli, laddove c’è un impianto. L’impianto di depurazione e di scarico della “Fabbrica delle ossa”, così la chiamano, dalle parti della spiaggia libera, e lui era tornato livido, piangendo. Poco dopo ne aveva morsi tre.
“Altri…tre?”, ripetei meccanicamente.
Erano nella stanza di fianco. C’era stato contagio. Ed ora sembravano… “Mostri.”
Sfondarono la porta e ce li ritrovammo alle spalle.
2.
“Down to The Dead”, sono ovunque, perdio.
3.
Forse cominciò tutto in un villaggio remoto chiamato Quandang.
Ma notizie simili si diffusero in Cina, in India, al confine con il Pakistan, in Sudamerica.
I morti risorgevano ed erano affamati di carne umana.
Il morbo si diffuse ovunque.
Solo alla fine si venne a sapere con certezza che tutto era iniziato dalle parti del mare nella “Terra dei Fuochi”, in quella che era la nostra, una volta, bella terra del Sud.
4.
Per quanto riguarda i virus, siamo sempre stati più o meno i primi.
5.
I primi focolai d’infezione si registrarono tra Caserta e le periferie a nord di Napoli, il terreno agricolo che da Marcianise arrivava a Teverola, nei pressi di Aversa, col caldo divenne luogo di agguati, per quei coglioni che si appartavano con le nigeriane nere.
Erano chilometri e chilometri di trazzere e silenzi e strade polverose, piene di niente e di mosche, dai primi giorni di aprile. Chi ti poteva salvare, se uno zombie ti beccava con le braghe calate e l’uccello che se ne sbatteva?
Ci fu un tizio addirittura che disse ad uno dei morti che lo divorava: “Fammi finire”. Leggende post apocalittiche? Ora di sicuro non fanno ridere più nessuno.
In alcune traverse, comunque, l’immondizia la scaricavano ad ogni ora e si accumulava feroce, tra copertoni, scorie, vernici, materassi, ed altro. Sotto quelle terre si diceva che la camorra vi avesse seppellito fanghi nucleari fino alle falde dell’acqua. Un pentito ribadì che quella gente “era morta da tempo e ancora non lo sapeva.”
Qualcuno, chiaramente, collegò i fatti e ipotizzò un legame tra i morti ed il veleno di sotto. Magari fosse stato così semplice.
Il sotto si mescolava col cielo, e la merda divenne croce.
All’inizio qualcuno disse di aver visto gli zombi vagare lungo la Nazionale, l’Appia, il tratto che collega Santa Maria a Capua verso nord ed il casello autostradale dall’altra parte. Sette chilometri d’inferno in alcuni giorni di traffico lavorativo. Il peggio era sempre però nei festivi comandati, Pasqua e Natale, al punto tale che in quei giorni non conveniva scendere e arrischiarsi per strada a meno che non vi fossero urgenze da Pronto soccorso.
Le forze dell’ordine liquidarono il tutto definendoli tossici. Avevano paura d’infettarsi di qualcosa, e il “tengo famiglia” era diventato passaparola, parola d’ordine.
Poi li videro sull’Asse mediano che scendeva lungo il dedalo di paesi che circondano e asfissiano Napoli, dal Parco Verde a Caivano centro, da Arzano a Casavatore, da Crispano a Casandrino. E a Succivo correvano su e giù dal cimitero alle fabbriche dismesse, fino ad Afragola, vicinissimi al centro, “le porte di Napoli”, perennemente pieno di “carne”.
A Secondigliano, dall’imbocco della Tangenziale fino alle “case dei puffi”, quei chilometri lunghi di viale furono presto simili al Far West.
In pochi giorni la Domiziana fu gonfia di gente con pustole viola e morti viventi, Pinetagrande ed il Villaggio Coppola sembravano set dei film di Gomorra, coi cadaveri in piedi, a sanguinare. Peccato che fosse peggio. E che fosse vero.
La strada che costeggiava il mare si riempì di morti. Dagli scogli si vedevano topi enormi e gli zombi spesso galleggiavano semplicemente nell’acqua che schiumava.
Ma l’allarme lo diedero per davvero solo quando i morti viventi furono visti sciamare dalla calata Capodichino fino al centro Direzionale, e le isole per i parcheggi diventarono trappole mortali, nei sotterranei, per chi ci si perdeva dentro.
6.
E fu così che gli effetti collaterali divennero regolari.
7.
“L’intenzione era di farne un’arma biologica. Qualcosa che potesse essere diffuso in modo totale attraverso l’aria, la terra, il cibo”, disse il medico militare al suo intervistatore, che continuò leggendo le dichiarazioni rilasciate in precedenza.
“Un’arma diffusa in una popolazione nemica o comunque da decimare, lei dice, permettendo poi di restare ad aspettare fino a che i parassiti non avessero compiuto il loro lavoro. Il contagio si sarebbe diffuso grazie all’aggressività dell’ospite, in preda ad una sorta di rabbia, ed il ciclo, estremamente accelerato, doveva portare l’infetto a diventare a sua volta portatore d’infezione.”
“A quel punto, truppe in tuta protettiva potevano eliminare i soggetti infetti con i lanciafiamme.”
“L’agente patogeno vive in qualsiasi fluido. Sangue e sputo sono piene di larve appena generate e l’ospite trasferisce le larve nel modo più efficiente possibile. Sputare negli occhi, nel naso o nella bocca di un possibile ospite funzionerebbe, ma il modo più diretto ed efficiente è quello di introdurre a forza i parassiti nella circolazione sanguigna… con un morso.”
“Signori, qui stiamo parlando di zombi… “
Pubblicità! Anche se il mondo sta per finire.
…continua…
Massimo Miranda
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