Secondo capitolo de LA PRIMA GUERRA NAPOLETANA CONTRO GLI ZOMBIE – I SUPEREROI DELL’ASSE MEDIANO di Massimo “MadMax” MIRANDA. Una storia in 7 capitoli ambientata nella terra dei fuochi campana, dove vedrete interagire, in una sarabanda rocambolesca, zombie, camorristi, sbirri, super eroi della Marvel, vampiri e ammazzavampiri. Un imperdibile capolavoro trash e borderline, in dialetto napoletano.
I supereroi dell’Asse mediano.
di: Massimo “MadMax” Miranda
PARTE SECONDA
8.
Quando cominciò, PISCIOTTA pensò che avrebbe potuto farcela. In fondo quella era Caserta, e non un vicolo di Napoli, oppure uno di quei paesi dell’Asse mediano, dove prima ti uccidono e poi ti buttano sotto un ponte, “tra le gomme e ‘na ‘ncerata ‘e plastica, quann’ tutto va bbuono.”
Quella era Caserta. Due strade. Corso Trieste e Via Roma. Roba piccola. Nessuno era mai stato ucciso sul Corso, finora. Tantomeno lo sarebbe stato il braccio destro di MARINO, il “Boss”.
Pisciotta lo chiamava ‘Mbrellone, per quanto era secco. Quando correva, correva storto, e questo era uno di quei momenti, le gambe macchiate di piscio. Il Corso, Piazza dante, Via Mazzini. Il giornalaio che sta per aprire, ‘Mbrellone annanz’ e ‘a vuagliunamm’ arret’.
Pistole in pugno, armi leggere, corte, pochi colpi nel caricatore, una variante della calibro 9 classica, Beretta parabellum. Armi micidiali comunque, a breve distanza.
“Fermat’, omm’ ‘e mmè ! ‘Mbrellò! Fermat’!”
9.
Al confine tra Marcianise e Caivano, FRANK CASTLE ne aveva preso uno.
10.
DIARIO DI GUERRA DEL PUNITORE,
Registrazione numero 101.224, territorio ostile.
“Sono stanco della guerra? Forse.”
Esterno fabbrica abbandonata, dal Vialone a Marcianise, provincia di Caserta: tempo di percorrenza 7 minuti.
“Ne ho preso uno e non gli ho spezzato le ossa contro i pannelli in cemento, non l’ho tirato via dal tetto di uno di quei padiglioni abbandonati.
Mi ha parlato in lacrime dei porno con i bambini. Del “Mostro”. E delle loro morti, avvenute spesso durante i film. Mi ha detto che a capo di tutto quello schifo c’era il capoclan di Casavatore, quello che tutti chiamavano “il NANO”. Lo avrei trovato a pochi chilometri da lì, sulla salita dell’Asse mediano, nel “Parco”. Nome pretenzioso, per indicare quattro case tirate su come costruzioni lego sui rifiuti tossici interrati nelle fondamenta.
Gli ho sparato in testa, le cose che avrei voluto fargli e che non ho fatto, le ho ancora dentro.
Per la prima volta, ho visto che la mano destra mi tremava.”
11.
PISCIOTTA era un ex-sbirro. Lo avevano radiato perché era marcio fin dentro il culo. Eppure, qualche amico credeva ancora di averlo, in Questura. Avrebbe chiesto di SERPICO, o del chiattone, Smiraglia, – come cazzo si chiamava?
Tutto stava ad arrivarci. Erano solo duecento fottuti metri, per Piazza Vanvitelli, Comune, Prefettura e Questura, e invece il primo sparo lo becca a sinistra, proprio sopra il culo.
“Ua’, che botta!”, gli urla dietro il moccioso, avrà avuto al massimo 16 anni. Il secondo colpo gli spezza la colonna vertebrale e ‘Mbrellone piroetta e rovina a terra, il fiato addosso.
Bloccato, paralizzato, le braccia stese come un gesucristo in croce.
“Salut’c ‘o cap’ tuojo, chillo figlie ‘e bucchine!”
12.
PAM!
13.
A PISCIOTTA gli sparano in faccia. Qualcuno dice che il muschillo che l’aveva ammazzato si stava cantando una canzone di quelle da mare a Castelvolturno, – A me m’ piace a Nutella.
MARINO sentì gli spari, e aveva già la febbre che lo divorava. La nigeriana che sudava e puzzava di sesso, la sera prima gli aveva morso le cosce, lasciandogli un segno bello profondo e del sangue a grumi, dentro.
“Che cazzo fai”, le aveva detto schiaffeggiandola. In realtà gli piaceva. Ora però non poteva pensarci, perché li aveva dietro, e così scavalcò il muro e si infilò nel parco della Reggia. Lo raggiunsero vicino ai giardini inglesi, sparandogli a cazzo di cane, minimo quattro colpi lo beccarono comunque.
Strana, la nigeriana. Sapeva di morte.
14.
“Affinale muor’, omm’ e me’!”
“Schiattamuo’, fujimmancenne, ce stanno ‘e guardie!”
Da lontano si sentivano spiegate le sirene.
Pallinzogna non era l’ultimo dei fessi, teneva la macchina calda, in moto,
“Saglit’, uagliù”, disse, senza urlare. Urlare gli dava pena, in un mondo pieno di schifo e di rumori. Inversione, sgommata e via, verso Viale Carlo III, e poi a Caivano, là li aspettava il NANO, che voleva la bella notizia, la morte di MARINO. Lo chiamavano “Figlie ‘e Maradona”, ed era il capo. Da Napoli ad Afragola, non si muoveva foglia, senza un suo Sì.
15.
MARINO s’era tirato su, anche se era morto. E lui lo sapeva, in un residuo di pensieri più o meno umani. Fece il numero del suo tirapiedi, e si fece portare dai neri.
16.
Il tizio stralunato voleva lasciare all’alba il suo motorino nell’arco d’ingresso della Questura.
“Po’ me lo vengo a piglià, guardammill’…”, e aveva attaccato turilla con l’agente scelto Morano Fabio, al quale giravano le palle dopo il turno di notte 0-7. A Nicola Palladino, Ispettore capo della Mobile, detto SERPICO, andava pure peggio, perché erano le sei e un quarto del mattino, c’era un morto in Via Mazzini e probabilmente ce n’era pure un altro nella Reggia, ma il corpo non si trovava.
17.
“ I che bella jurnata ‘e merda, che è schiarata…”, aveva detto, rispondendo al telefonino. Pertanto non poteva permettersi di ragionare pure lui con Asciano, il pazzo del motorino, luogo di residenza Rione Tescione, case popolari, e così aveva tagliato corto.
“ Vuagliò, m’è bloccato l’ingresso. Si adda ascì ‘a volante, comm’ cazz’ fa’? Mo’ si nun te ne vai, te scass’ ‘e pacchere.”
E si era recato in Via Mazzini, dove la “Difficile” era già al lavoro. La “Difficile”, per chi non lo sapesse, era la Scientifica. La Scientifica a Caserta. Un paradosso.
18.
“Tu che è visto?”, chiese all’edicolante, dopo aver riconosciuto PISCIOTTA. Un po’ gli dispiaceva, per quel povero figlio di zoccola, e così ci andò giù duro.
“Chi, io? Niente, comandà. Ccà simm’ tutt’ brava gente.”
“Niente, eh? Aropp’ vieni in Questura, che t’aggia parlà. A licenza ‘a tien’ appost’?”
“Veng’, veng’. E che maronna, vuless’m’ sul’ faticà…”
19.
Sull’Asse mediano fa sempre caldo, pure d’inverno.
20.
“Embè, chitarrì “, disse il NANO, “ta voglio rà, ‘na possibilità. M’è cantà ‘a canzona mia, accummenc’”.
“Tene…tene ‘e capill’ ricc’ ricci…”
“Continua.”
21.
“Tene ‘e capilli ricc’ ricci, l’uocchie…figlie ‘e Maradò, pietà!”
Il chitarrista l’avevano beccato col culo in aria mentre si stava fottendo Genny, la nipote del boss, maritata col “Lupo” di Arzano.
Ora, poiché il Lupo ed il Boss avevano stretto un patto per gestirsi la droga, quello era un invadere il territorio, un fastidio di mosca, e non farsi i cazzi propri.
“Si gghiut’ a sfrugulià a mazzarella addò nun aviv’, strunz’. Che m’ n’aggia fa’, ‘e te?”, e gli aveva pisciato in testa, mentre telefonava al Lupo.
Parzanese già gli aveva tagliato un orecchio, quella era gente che i film di Tarantino li conosceva a memoria. Così, quando il NANO gli diede l’ordine, Parzanese quasi non se ne venne nelle mutande.
“Vai, cumpà.”
“Figlie ‘e Marado’, l’ taglio pure ‘e palle?”
“No. Pe’ mmo’ taglial’ sul’ ‘o braccio, ca po’ ‘o purtamm’ a Formia p’ sazià ‘o giaguaro.”
Il NANO aveva un giaguaro a guardargli la villa.
22.
CASTLE sfondò la saracinesca con una granata, e stese il primo picciotto, che si chiamava Cardamone, con l’uzi, Parzanese si beccò tre palle di beretta, stomaco, 1, cuore, 2, cranio, 3. Nicola ‘a “scigna” gli sgusciò sotto e cominciò a colpirlo, ma gli fece solo il solletico. Comunque fu in grado di fargli cadere l’arma. Poi gli morse la mano e tirò fuori il coltello, CASTLE gli piegò il polso fino a spezzarlo, poi gli prese la testa tra le mani e gli spezzò l’osso del collo. Cardamone si rialzò per prendere la pistola anche se sanguinava come un maiale sgozzato, ma il PUNITORE gli sfondò la faccia con gli anfibi, e lo scagliò fuori dal box nel quale stavano torturando il “chitarrista”. Gli avevano tagliato il braccio. L’esplosione aveva fatto il resto. CASTLE sapeva che “apparteneva” ai cinesi, e che s’era “inguacchiato” fino alla cima dei capelli, per cui non lo rimpianse.
Il NANO era fuggito. Si era beccato la sua dose di piombo, certo, ma se n’era andato via.
Ed aveva avuto pure il tempo di prendersi il braccio da dare al giaguaro.
23.
Gli scugnizzi guardarono il PUNITORE, nero, gli occhi a sfondargli la faccia, il teschio sul petto.
“Marò, ma che r’è? Ten’ ‘a cap’ ‘e morte ‘mpiett’, chist’!”
24.
CASTLE raccolse la pistola di Cardamone e gli sparò dritto in testa.
“Mangia questa banana”, disse, gelido.
25.
In realtà, s’era confuso con la scimmia.
26.
***
SERPICO non si faceva capace, il sangue c’era, le pallottole pure, tutte rigorosamente 9 x 21, ma il corpo? Dov’era finito il corpo? Le tracce gli dicevano che MARINO lo avevano beccato nei Giardini inglesi della Reggia, e di sangue ce n’era tanto. Sembrava impossibile che si potesse essere alzato, così conciato, che si fosse fatto un buon chilometro di corsa, che avesse scavalcato di nuovo il muro, e che fosse sparito, come se nulla fosse.
A meno che non lo avesse prelevato qualche scagnozzo, di cui non c’erano tracce, subito accorso in zona.
“Cercate, cercate ancora!”, urlò.
“Niente ferie”, si disse SERPICO, bestemmiando tra i denti, mentre si accendeva una paglia.
27.
“Dov’è andato, quello col braccio tagliato?”, chiese il PUNITORE ai ragazzi del Parco.
“Allah”, rispose uno di loro, indicando la salita dell’Asse mediano.
CASTLE si mise in macchina e seguì la strada, proprio mentre sopraggiungevano Pallinzogna e gli altri due scugnizzi del raid a Palazzo Reale.
Il PUNITORE li riconobbe, e si piazzò dietro i tre killer.
Scesero a cento metri dal box, perché avevano visto il fumo.
CASTLE fermò l’auto, tirò fuori la 9 x 21 e li beccò al cranio, tre colpi, tre centri.
Quindi ingranò la prima dolcemente, e via, rapido: alla seconda deviazione, imboccò l’autostrada Caserta-Roma.
…continua…
Massimo Miranda
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