DECAMERON DEI MORTI di Mauro Longo, la recensione di Joe VANNI.
“Dieci storie di sopravvissuti che raccontano i terribili avvenimenti di un’epoca oscura in cui l’Europa cadde nella morsa della mortifera pestilenza in grado di far rialzare i morti”
Sinossi
“Dico dunque che già erano gli anni della fruttifera incarnazione del Figliuolo di Dio al numero pervenuti di Mille e Trecentoquarantotto, quando nell’egregia città di Fiorenza, che noi diciamo anco Firenze ed era allora la più bella di ogni altra città italica, pervenne la mortifera pestilenza dei Trapassati Redivivi.”
Dieci storie di altrettanti sopravvissuti raccontano i terribili avvenimenti di un’epoca oscura in cui l’Europa cadde nella morsa della mortifera pestilenza in grado di far rialzare i morti. Tre donne e sette uomini narrano le vicende loro e della compagnia in cui militano, in modo da lasciare un ricordo di quei terribili giorni, e perché la loro esperienza possa essere di aiuto alle generazioni future.
Editore: Origami Edizioni
Recensione di Joe Vanni
Voler fare la recensione ad un capolavoro, e questo libro lo è, implica la valutazione dell’impegno, la maestria, lo studio del periodo storico e la documentazione necessaria che lo scrittore del Decameron dei Morti ha dovuto affrontare. Chiaramente l’impegno filologico, linguistico ed enciclopedico è stato immane, per cui trovare i giusti termini per lodare ed esaltare l’abilità e la preparazione del narratore non è facile, in quanto qualsiasi sintesi sarebbe riduttiva. Per gustare la proprietà di linguaggio, la perfezione sintattica e stilistica di quest’opera è necessario leggerla lentamente, assaporandone i vocaboli ormai trapassati. E diciamolo pure che non bastano pochi giorni per arrivare al capolinea, che quella lingua non è agevole seppur scorrevole, ma il godimento e l’estasi della lettura risiedono proprio in questo: il volgare del trecento. Una lingua che cominciava a essere attestata per iscritto grazie a San Francesco d’Assisi, alla Scuola poetica siciliana e in prosieguo di tempo grazie a Dante, Boccaccio, Petrarca. L’autore del Decameron dei morti ha voluto riesumare, ridare vita e nuova linfa a quella lingua, che è sempre la nostra anche se con qualche secolo di vecchiaia, introducendo una variante storica alle cause di diffusione della Peste Nera, la pandemia che caratterizzò la storia e devastò l’Europa, l’Asia e l’Oriente dal 1348 al 1353. L’epidemia causò morte, carestie e devastazioni varie, dando vita o togliendola, a numerosi presunti colpevoli. Che fossero streghe o ebrei rei di aver ucciso il Cristo, che fosse una punizione divina per quel deicidio, che fossero topi, roditori o altri tipi di bestie e demoni, veicolanti le pulci col bacillo della peste, che attaccarono e infettarono uomini e santi, poco importa. Perché i morti tornarono a vivere, decimando il creato.
Per gli amanti della letteratura zombie questo libro rappresenta un’innovazione epocale: una rilettura storica in chiave appestata, “afflitta”, quasi documentata di un evento pandemico realmente avvenuto e nello stesso tempo una rivisitazione umoristica, temeraria, simile nella storia ma mai pedissequa, di un libro noioso (l’originale) che spesso nella sua lettura ha il peso e la leggiadria di un’incudine. Il merito di Mauro Longo sta appunto anche in questa magia: aver trasformato un’opera famosa ma illeggibile ai nostri giorni in un capolavoro fluido e perfetto, sorprendente per spunti, stile, simpatia, avvolto sempre da un alone beffardo e superiore di chi sa che la storia è sempre frutto del resoconto ignorante degli uomini, in quelle circostanze e in quei momenti.
Considerando la struttura narrativa, la ricchezza del lessico pieno di vocaboli desueti e inusuali, a volte perfino prestiti di altre lingue romanze dell’epoca, la perfezione sintattica dei costrutti, il giudizio che caratterizza opera e scrittore è superiore. Una superiorità non relativa ma assoluta.
Joe Vanni
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