“La storia è assurda e strana, però la bravura di Roncaccia rende tutto plausibile e reale”.
Sinossi:
Per Aldo la vita è dura ma anche la morte non scherza. La sua compagna l’ha lasciato, la cooperativa per cui lavora non lo paga ed è sotto sfratto. Scambia con un tossico la sua auto, per un posto in una stanza in una palazzina popolare fatiscente di un quartiere degradato di Roma. Viene morso da un piccione che gli arriva in casa dalla finestra. Da quel momento nulla sarà più come prima. Si sorprenderà a divorare il cane di un pastore sardo, i furetti allevati da un homeless che vive nel parco, fino a scoprire il raccapricciante piacere di un pasto di carne umana. Un’avventura tra orrore e degrado, in una periferia romana tristemente in rovina.
La nostra recensione
A cura di Igor Zanchelli
Lo ammetto, quando ho visto la copertina di questo libro, ho avuto il terrore di leggerlo. Piccioni zombie? Oddio questo proprio no (in realtà ho usato la famosa frase di Fantozzi sulla Corazzata Potëmkin). Ho comunque iniziato, controvoglia, la lettura e sorpresa delle sorprese sono rimasto incollato al libro. Quasi ipnotizzato ho divorato le parole e le pagine una dopo l’altra, affamato e privo del senso di sazietà, proprio come uno zombie. Quindi in definitiva il libro mi è piaciuto ed anche parecchio. Dimenticatevi gli zombie canonici, qui abbiamo degli zombie 2.0. Seppure il concetto di base e la sostanza è la stessa, in questo libro abbiamo una nuova concezione, una evoluzione del morto vivente; credo che anche i puristi e tradizionalisti appezzerebbero tale progresso. Aldo, uno dei tanti signor nessuno, in lotta con la sua vita e le sue speranze, viene infettato da uno sconosciuto virus, addirittura da un piccione; uno dei più insignificanti e numerosi uccelli che popolano le nostre città. Inizia la sua rinascita e la sua trasformazione in qualcosa di diverso, letale. Ma i dubbi, le paure, le domande etiche su quello che sta diventando rimangono. Rifiuta all’inizio questa nuova condizione, ma poi vi si abbandona totalmente sfruttandola al meglio. Insieme ad una sua “simile” inizierà un percorso iniziatico che gli permetterà di riprendere in mano la sua vita, e finalmente, avrà la forza di imporre a se stesso scelte e decisioni che prima subiva e che ora assume. I primi capitoli mi rimandavano alla mente i film di Pasolini, con magnifiche descrizioni di Roma vista non dalla maestosità dei monumenti, dei ruderi antichi, ma degli angoli più bui e abbandonati. Non mostra la bellezza dei templi di epoca imperiale, ma evidenzia i lupanari, le bettole, i quartieri dormitorio e malfamati, che sono nascosti agli occhi dei turisti. Zone dove miseria, decadenza, malaffare e malavita sono la costante di vita di chi ci abita. Convivenza tollerata e/o obbligata nella quale vige un solo comandamento: “fatti i cazzi tuoi”. Quartieri dove tutte le fedi, le speranze e le vanità degli abitanti si sono rivelate vane. Dove convivono santoni, puttane e balordi, ognuno preso dai propri affari e dalle proprie vicissitudini, ma che in animo hanno del buono. Consumati dalla vita, ognuno cerca a proprio modo di alleviare le proprie miserie e, quando possibile, anche quelle degli altri. Nei capitoli centrali invece mi ritornavano alla mente le immagini di Sin City, con scene crude, sbattute in faccia al lettore senza una apparente logicità. Scene che disturbano la coscienza, ormai forse troppo assopita dell’umanità, con le quali tuttavia bisogna fare i conti poiché quotidianamente sotto gli occhi di tutti. Disperazione, rassegnazione, odio e gratitudine traspaiono dagli occhi dei disperati con cui il protagonista ha a che fare col suo lavoro di volontario. Qui vengono messe in evidenza le dualità bene/male, codardia/coraggio, forza/debolezza, che ogni uomo ha in se e, sorprendentemente, sempre gli ultimi e gli emarginati, quando la situazione lo richiede, sono in grado di far prevalere le positività di queste dualità. Inoltre la scena di sesso e sangue tra i protagonisti (che mi ricordava quelle lette nei romanzi della Hamilton con protagonista Anita Blake) è superba. Il detto “ti amo a tal punto da volerti mangiare per averti in me” è rappresentato benissimo. In fondo è il concetto di amore vero, puro e totale di concezione cristiana dove il figlio di Dio, che ama l’uomo, si fa pane e si offre per essere cibo affinché l’umanità possa essere piena dell’amore di Gesù Cristo (non avviene questo nel rito dell’Eucarestia?). I capitoli finali invece mi rimandavano alla mente scene del film “Unico indizio la luna piena”. Qui investigatori, buoni o cattivi non si capisce bene, indagano e mettono sotto torchio il protagonista per degli efferati omicidi. Seppure il tenente dei Carabinieri abbia certezze che il tutto sia riconducibile ad Aldo, non ha le prove. Inizia così una caccia al topo, senza esclusioni di colpi. Questo saltare da un film all’altro, con generi così diversi, non infastidisce assolutamente, anche perché l’autore con abili descrizioni e flash back crea la transizione più adatta per condurre il lettore da una parte all’altra, senza traumi e, cosa ancor più importante, senza far perdere il filo della storia. Le atmosfere sono cupe, tristi, misere, come in realtà sono le vite delle persone e dei luoghi raccontati, anche se ogni tanto un raggio di sole allevia queste sofferenze, facendoti dire: però ancora una speranza c’è… forza andiamo avanti e vediamo dove questa strada ci condurrà. Non si notano refusi o errori, e anche la formattazione è buona. L’autore ha, a mio avviso, una scrittura più che buona e scorrevole. Non si perde in astruse descrizione, ma con il giusto numero di parole rende chiaro quello che intende dire. In sostanza è semplice, immediato ed efficace, dimostrando una padronanza della sintesi che non è comune a tanti autori. Infine, molto interessante e per certi versi rivoluzionaria è la figura dello zombie che l’autore crea. In un passaggio, quando Aldo incontra Lucy, si ha il momento preciso di questa evoluzione. Lucy (che paradossalmente è il nome del più antico scheletro di ominide trovato) qui è l’ultimo zombie di classica concezione. Lucy, che ha segnato l’inizio della storia dell’uomo sulla terra, qui rappresenta l’ultimo zombie, quasi a voler significare che siamo nati con lei come uomini e con Lucy siamo morti come zombie. A memoria non ricordo nessun abbia fatto qualcosa del genere. Il “vivente morto” che diviene un “morto vivente” rinasce e si pone le stesse domande che ognuno di noi, da bambino, si poneva quando iniziava a prendere coscienza della realtà che lo circondava. Unico neo, a mio avviso, è la copertina che non rende la vera essenza del libro, ma che ritengo addirittura fuorviante. Si vero che nasce tutto da un piccione, ma questo è solo un marginale episodio della storia che è fatta di altro… molto altro. Tantissime sono le citazioni a film, canzoni e fumetti da parte dell’autore, che omaggiando queste opere, aiutano a comprendere la scena raccontata. Il finale poi spiazza parecchio ma lascia aperta la possibilità di un secondo libro, cosa che mi auguro, poiché alcune domande, non moltissime in verità, rimangono senza risposta. La storia base di tutto il racconto è assurda e strana, però la bravura di Roncaccia nello scrivere ti fa dimenticare questo particolare e anzi rende tutto plausibile e reale. In definitiva l’opera merita, anzi consiglio, di essere letta. Scritta bene e strutturata ottimamente. Gli darei quattro stelle su cinque, poiché ti incolla alla lettura, ti catapulta nell’animo del protagonista e in alcuni punti ti fa sentire le stesse paure, la stessa rabbia, la stessa fame di Aldo.
Igor Zanchelli