Il tempo scorre inesorabile durante l’apocalisse e prima o poi scocca…L’ULTIMA ORA, un racconto breve ma intenso di Alessandro UNDICI
Il tempo. Non v’è nulla di più importante al mondo, ne ho sprecato tanto in vita mia, troppo, ed ora è tardi per tornare indietro.
Quante cose avrei voluto fare, sogni da realizzare, una donna da sposare, dei figli da crescere. Rimpianti tanti, non ho mai vissuto la mia vita a pieno, avrei potuto viaggiare e magari, perché no, anche amare di più, ma non l’ho fatto, almeno non abbastanza.
La cosa più difficile da accettare in tutta questa situazione è il non poter avere risposte alle domande che irrimediabilmente continuano ad accumularsi giorno dopo giorno nella mia testa.
Dio ha voluto tutto questo? È questa la fine del mondo? I miei cari sono ancora vivi?
Ora più che mai so che queste mie domande una risposta non l’avranno mai.
L’altra faccia della medaglia è che alcune certezze le ho: Non posso mangiare più nutella, poiché il lotto di produzione più recente è scaduto quattro mesi fa.
Non uscirà mai più un nuovo album di Tiziano Ferro, dato che ho messo fine alle sue sofferenze all’incirca due mesi fa (sono abbastanza convinto che fosse lui o meglio ciò che ne restava).
Sono giunto al capolinea. Penso proprio che mi sia rimasta un’ora scarsa, forse poco più e mi ritrovo qui, in attesa che il virus prenda il sopravvento sul mio sistema immunitario.
Tutta colpa di un graffio, un solo maledettissimo graffio mi ha condannato a morte. Una sentenza insindacabile… un verdetto che non lascia scampo.
Se non faccio qualcosa in fretta diventerò uno di loro. Uno di quegli esseri marci e bramanti carne umana. Ne ho abbattuti tanti, ho perso il conto tempo fa ma vi assicuro che sono così tanti da poter riempire la curva di uno stadio; già me li immagino tutti lì, sciarpetta al collo e striscione: “no alla tessera dello zombie”.
A parte gli scherzi, “anche perché non c’è un cazzo da ridere, sto per morire”, ne ho fatti secchi davvero tanti e non mi sono mai fatto scrupoli a mozzare teste tutte le volte in cui se ne presentava l’occasione, anzi, per dirla tutta li andavo proprio a cercare.
Mi sono sporcato le mani, anche se in cuor mio sapevo che fosse una battaglia persa in partenza. Ho lottato e ne vado fiero, tutto questo ha contribuito ad impegnare le mie giornate e a farmi sentire finalmente vivo.
Parliamoci chiaramente, non ho mai avuto compassione per loro. D’altronde, come averne? Ci hanno portato via tutto e sapevo che prima o poi si sarebbero portati via anche me.
Col passare del tempo però qualcosa è cambiato. Ero consapevole del fatto che stesse giungendo la mia ora… sapevo che era solo questione di giorni. Da settimane ormai non riesco a provare più nessuna emozione, niente rabbia, nessuna paura… già, la paura, l’arma di difesa più potente che l’essere umano possegga, molto più efficace di qualsiasi lama o proiettile.
Per quel che può contare, del mio carnefice non è rimasto granché, vi assicuro che neanche i familiari potranno riconoscerne la salma (sul fatto che i parenti siano ancora vivi non ci metterei la mano su fuoco), ma questa è solo una magra consolazione.
Sapete… pensavo di essere forte, così forte da farla finita da solo se messo alle strette. Invece non lo so, forse sono un codardo. Suicidio? In tutta onestà non so se riuscirò a farlo.
Sento il mio corpo che cambia, la trasformazione è già in atto.
Ho la pelle d’oca e forse mi sta salendo la febbre. La testa inizia a girare e avverto una forte pressione intracranica, è come se il cervello stesse per schizzarmi fuori da un momento all’altro. La vista comincia ad appannarsi, come quando cerchi di mettere a fuoco l’obiettivo di una fotocamera, dev’essere colpa dell’eccessiva pressione sanguigna. Qualcosa sta cambiando anche nel mio aspetto, mi accorgo dalle mie mani che le linee delle vene appaiono di minuto in minuto sempre più definite. Il battito del mio cuore rimbomba in maniera fragorosa nelle mie orecchie… non manca molto.
È arrivato il momento di prendere una decisione.
Il revolver è carico, finalmente potrò riabbracciare i miei cari, sono pronto ad uscire di scena.
Au revoir.
Alessandro Undici