Un film che non parla di zombie ?!?!?
Ah, ma è il grande Michele Borgogni … tutto normale. Ecco a voi la sua ultima agonia.
Due americane carine, Danielle Jadelyn e Yael Groblas, salutano i genitori e vanno in vacanza in Israele, che apparentemente non sembrerebbe il posto più adatto per troieggiare in allegria, ma insomma, chi siamo noi per giudicare? In aereo conoscono un altro studente, Yon Tumarkin, che andrà a Gerusalemme per continuare alcune sue ricerche su mitologia e religione. Le bimbe, così, decidono di seguirlo invece di andare a Tel Aviv, e nella splendida cornice della vecchia Gerusalemme bevono, ridono, si divertono, trombano, anche insieme a Omar, che lavora nel b&b dove alloggiano. Tutto bene, no? Solo che il giorno dopo scoppia l’Apocalisse con la A maiuscola.
Ci sono, in JeruZalem, gli zombie evocati dalla Z centrale nel titolo (se avete pensato a Zorro siete veramente messi peggio di me)? Si… no… insomma… Ci sono i morti che si risvegliano. Forse perché era destino, forse un pochino anche perché il personaggio della Jadelyn desidera fortemente che suo fratello morto da poco ritorni in vita. Ci sono demoni… angeli? Angeli della morte? Pare che inizialmente il film dovesse essere uno zombesco classico, poi regista e produzione si sono detti “vaffanculo, siamo a Gerusalemme, sfruttiamo la cosa”! In ogni caso, le persone classicamente contagiate si trasformano, su I Love Zombie ci sta, no? Quindi comincia una fuga disperata sopra e sotto Gerusalemme, nella speranza che al di fuori della città santa ci possa essere salvezza.
JeruZalem è sostanzialmente un videogioco survival horror. Tutte le scene sono riprese attraverso i Google glasses della protagonista, quindi in soggettiva diretta tranne che in pochissimi momenti in cui gli occhiali sono posati da qualche parte, o indossati brevemente da qualcun altro. L’immagine ovviamente traballa un po’, ma non quanto ci si potrebbe aspettare, e sullo schermo compaiono informazioni sulle pagine facebook delle persone viste ottenute tramite il riconoscimento facciale, messaggini, videochiamate, mappe di google e via dicendo. L’effetto quindi è buono, coinvolgente, soprattutto perché la parte horror del film si fonda soprattutto sulla fuga: corse nei vicoli, mostri visti di sfuggita e da lontano (perché altrimenti non ci sarebbe stato scampo), fiatone. Parola d’ordine: coinvolgimento!
Non è tutto oro quello che luccica, perché alla fin fine a parte la visuale in prima persona c’è ben poco di nuovo, e si intuisce che il film è un po’ povero, senza novità di gran rilievo o soluzioni rivoluzionarie. Prova a mettere sul piatto un po’ di sano ecumenismo basato più che sulla religione sulla voglia di bere e trombare e sballarsi che avvicina i credenti di ogni culto, ma poco di più. Ha un paio di scene che rimangono impresse per i motivi giusti (anche il finale, ad esempio) e una per i motivi sbagliati (il pompino nel cesso, che avrebbe potuto divenire un capolavoro del trash) ma nonostante ci voglia far credere di essere più di ciò che è, riuscendoci anche benino, JeruZalem non ci offre poi molto.
Quel poco che ci offre, però, è di buon livello. JeruZalem è un film veloce, divertente, che non annoia mai e che mi ha fatto in parte tornare la scimmia della realtà aumentata, se mai arriveremo ad un livello così. Non un capolavoro, ma ce ne fossero!
Michele “troieggiante” Borgogni