Primo appuntamento con Nicola Furia e le sue interviste a personaggi scampati all’apocalisse zombie in Italia. Ascoltiamo il Capitano Proietti, comandante del distretto di Centocelle…
Mi chiamo Silvia Ferri (non è quello il mio vero cognome…ma questa è un’altra storia), sono una cronista di guerra e ho attraversato l’Italia, invasa dagli zombie, con una squadra operativa di Miliziani. Nel corso della missione, affidatami dall’Impero Italico Libero, costituitosi dopo dieci anni dall’apocalisse originata dal risveglio dei morti, ho conosciuto tante persone. Ognuna con la sua terrificante storia di sopravvivenza. Alcune sono riuscita ad intervistarle, altre sono morte prima che potessi farlo.
Questa è la trascrizione originale e senza censure di alcune interviste.
Oggi vi presento il Capitano Proietti, comandante del distretto romano di Centocelle. Lo conobbi il giorno prima della partenza e non fu un piacevole incontro…ma nulla è piacevole in questo nuovo mondo.
INTERVISTA AL CAPITANO PROIETTI
Cap. Proietti: Quindi tutto quello che le dirò dovremo registrarlo?
Silvia Ferri: Sì, Capitano. Come ha potuto leggere nell’ordine di operazione del Comando Generale dell’Impero Italico Libero, sono stata autorizzata a seguire la sua squadra in questa missione per documentare quello che vedrò e quanto accadrà. Posso inoltre realizzare interviste a tutti i personaggi con i quali avrò a che fare. In particolare, al Comando Generale, si sono raccomandati di certificare, con precisione, lo scopo della missione… quelle che hanno definito come: “regole di ingaggio”. Quindi, se lei consente, preferirei procedere alla registrazione su nastro.
Cap. Proietti: Sì, ho capito. Non ho alcun problema a registrare. E poi è la prima vera intervista della mia vita. Beh… in verità, in passato è accaduto, ma non è stata un’esperienza piacevole. Mi trovavo in stato di arresto durante un interrogatorio davanti a un magistrato intenzionato a farmi passare il resto dei miei giorni in cella. In quella situazione, trovarmi un microfono puntato in faccia, era un po’ inquietante. Ma, prima di parlare dello scopo di questa missione, quello che non capisco è lo scopo della sua presenza. Non che mi dispiaccia, sia chiaro, ma non ne comprendo il motivo. Se volevano conoscere i dettagli e l’esito della missione non gli bastavano le annotazioni operative che gli avrei inviato? Inoltre, lo scopo della missione è a loro chiaro, considerato che è stata organizzata dal Comando Generale!
Silvia Ferri: Non so che dirle… comunque, mi consideri un’inviata di guerra, Capitano. Al Governo dell’Impero hanno deciso che, dopo dieci anni dall’apocalisse, era il momento di far rinascere il giornalismo. Ritengono sia ora che si cominci a scrivere la storia di questa nuova umanità sorta dalle ceneri della catastrofe. Il mio scopo non è solo quello di documentare la missione, ma quello di illustrare questa nuova società, di descriverne i protagonisti, di raccontare le loro storie. Lei potrebbe iniziare raccontandomi la sua… se vuole.
Cap. Proietti: La mia? Ah! Non so se la pubblicazione della mia storia farà piacere al Governo, ma se vogliono questo non mi tiro indietro. D’altronde è un mondo strano quello che sta nascendo. I parametri e i pregiudizi, che prima albergavano in noi, sono stati stravolti. Per quello che mi riguarda, poi, sto vivendo un’utopia.
Silvia Ferri: Si spieghi meglio.
Cap. Proietti: Oggi sono un Capitano dell’Esercito Volontario dell’Impero ma, se dieci anni fa avessi solo immaginato di indossare un’uniforme e di rivestire il ruolo di Ufficiale, mi sarei sottoposto volontariamente a una visita psichiatrica. Essere un militare è sempre stato il sogno della mia vita. Ma era un desiderio, diciamo, impossibile.
Silvia Ferri: E perché?
Cap. Proietti: Lo sa chi ero prima degli zombie? Un rapinatore! Rapinavo le banche e gli Uffici Postali, ma la mia vera specialità erano i furgoni postali. Ah! Lei sgrana gli occhi, eh? La capisco. Ritengo che quando uno pensa a un rapinatore si immagini una bestia armata, un troglodita violento privo di morale, capace solo di puntare il mitra in faccia alla gente e di premere il grilletto senza rimorsi. Beh… sappia che non tutti sono così, o meglio: non tutti erano così. Non che io mi tirassi indietro quando c’era da sparare, ero capacissimo di uccidere se necessario. Ma non ero solo quello.
Silvia Ferri: Capitano, io sono qui per documentare, non per giudicare. Non faccia caso alle mie reazioni.
Cap. Proietti: Vede, da ragazzino non avevo altra ambizione se non quella di arruolarmi nell’esercito. Quando proiettavano film di guerra mi intrufolavo nei cinema e ne uscivo solo dopo averli visti almeno due volte. Lei è troppo giovane per conoscere certi film, ma le assicuro che pellicole come I quattro dell’oca selvaggia o Berretti Verdi con John Wayne li conoscevo a memoria. Chissà che fine avranno fatto quelle pellicole… Cosa mi attraeva di quelle storie? Il senso di fratellanza, il percepirsi parte di uno stesso gruppo, il gusto dell’avventura, del rischio, il piacere del combattimento, quell’idea di onore nell’immaginarsi un guerriero. Vabbè… avevo quindici anni e, negli anni Settanta, se la pensavi così eri etichettato come fascista. Ma in realtà, di politica io non ho mai capito un cazzo… Oh! mi scusi per il termine…
Silvia Ferri: La prego, non si scusi e usi tutti i termini che vuole.
Cap. Proietti: Ok… All’epoca, a quindici anni, dopo aver ottenuto il consenso dei genitori, ti potevi arruolare. La mia era una famiglia povera, a mio padre non pareva vero di togliersi dalle palle una bocca da sfamare. E così inoltrai domanda di arruolamento prendendo atto che una divisa non avrei mai potuto indossarla. E sa perché? Perché mio padre era un ladro! Eh già… era stato arrestato dieci volte per furto in appartamento e, infine, gli avevano affibbiato la qualifica di “diffidato di PS”.
Silvia Ferri: Che significa “PS”?
Cap. Proietti: Significa “Pubblica Sicurezza”, catalogato cioè come persona “socialmente pericolosa”. Dato che vivevo con lui, la sua presenza aveva sicuramente influito sulla mia formazione ed educazione… o almeno così scrissero nel rigettare la mia domanda. In realtà io e mio padre eravamo due perfetti sconosciuti. Ovviamente sapevo che era un ladrone, ma me ne fottevo, così come lui se ne fotteva di me. Quando, per colpa sua, fui scartato, lo odiai a morte e disprezzai tutto il sistema che regolava la nostra società. Un criterio che ti costringeva a pagare per colpe di altri, etichettandoti inesorabilmente. In quegli anni frequentavo anche la parrocchia e il parroco, per consolarmi, mi disse che era il volere di Dio. Mi chiese di non odiare mio padre, essendo anche io un figlio di Dio. «No», risposi. «Dio non è mio padre. Mio padre è un coglione, e sa di esserlo. Dio invece non lo sa e pensa di essere Dio…» A scuola ero uno dei primi della classe, sa? Ma i miei genitori neanche lo sapevano. Ero appassionato di storia. Chiaramente, da buon guerrafondaio, le battaglie del passato mi affascinavano. Sono nato a Centocelle. Sa da cosa deriva il nome di “Centocelle”?
Silvia Furia: Sinceramente no.
Cap. Proietti: Deriva da centum cellae, che in latino significa: cento caserme. Nel periodo di grande espansione dell’Impero Romano, quello antico, non quello attuale, sotto Costantino I, qui furono edificate numerose caserme delle milizie romane, ci vivevano i migliori cavalieri della guardia imperiale. Nel passato, come nel presente, qui fu realizzata una vasta cittadella militare. È incredibile come, a volte, la storia si ripeta, vero? Ma non divaghiamo… torniamo a me. Non potendo fare il guerriero per lo Stato, lo avrei fatto contro lo Stato. E così fu. Sfruttai le mie naturali doti di “condottiero” e misi su una banda di rapinatori. In realtà a Roma non si usava il termine “banda”, ma piuttosto quello di “batteria”, io però, preferivo la denominazione di “commando”. Nella mia visione, infatti, noi eravamo una squadra operativa che entrava in azione, una truppa di un reparto speciale che conquistava un obiettivo tattico. Non era tanto la consistenza della refurtiva trafugata che mi dava soddisfazione, quanto la perfetta realizzazione della fase esecutiva, dopo un’accurata pianificazione e organizzazione del colpo.
Silvia Ferri: Immagino che lei fosse il capo della banda.
Cap. Proietti: Io non ero solo il capo del commando, ma ero colui che concepiva il colpo. Non per vantarmi, ma ero bravo, sa? La cosa che mi eccitava di più? Il giorno dopo la rapina, scorrevo i giornali e leggevo frasi del tipo: La banda ha agito come un reparto speciale militare. Ah! Che soddisfazione! Alcune mie rapine all’epoca furono attribuite alle Brigate Rosse. Era il tempo in cui credevano che i terroristi fossero addestrati dall’esercito russo. Certo che la vita è strana… prima mi ritenevano un fascista, adesso mi reputavano un rivoluzionario bolscevico. Dopo poco le rapine in banca non mi attrassero più. Volevo un nemico armato, altrimenti non c’era gusto.
Silvia Ferri: Intende dire che non le dava sufficiente appagamento irrompere nelle banche con le armi spianate?
Cap. Proietti: Immobilizzare e tenere sotto controllo un gruppo di cittadini e impiegati di banca, terrorizzati e senza alcuna capacità offensiva, non rientrava nei miei parametri bellici. E così dirottai sulle rapine ai furgoni postali, quelli scortati dalle guardie giurate armate. Quelle sì che erano operazioni paramilitari degne di un vero commando! Serviva un piano d’attacco perfetto che prevedesse una formazione di copertura e una d’intervento, un armamento e un equipaggiamento adatto, un idoneo addestramento al combattimento, uno studio meticoloso dell’area di intervento con l’individuazione di tutte le vie di accesso e di fuga. Insomma, quelle operazioni erano il mio vero banco di prova, lì avrei potuto sperimentare le mie innate capacità belliche. E le posso dire che superai l’esame a pieni voti.
Silvia Ferri: Immagino che si sia trattato di un’autopromozione.
Cap. Proietti: Non creda che sia stato facile, dottoressa. Il compito più difficile fu quello di selezionare i componenti del mio personale plotone di intervento. Mi servivano persone motivate, fredde e disciplinate, e lei può facilmente immaginare che trovare gente del genere pescando nel torbido bacino dei delinquenti di borgata non era facile. La selezione delle armi e dell’equipaggiamento, poi, era un compito altrettanto delicato. Ci procurammo i fucili d’assalto kalashnikov, gli esplosivi, i giubbotti antiproiettile, le auto blindate e addirittura i lanciarazzi. Eravamo dei professionisti noi, mica una banda di ladri di polli!
Silvia Ferri: Non lo metto in dubbio.
Cap. Proietti: La tecnica era sempre la stessa: il furgone veniva affiancato e speronato dalla squadra di intervento, nel contempo le squadre di copertura bloccavano la strada, sia davanti che dietro. Nel frattempo un’unità tattica teneva sotto controllo le guardie giurate, ingaggiando, se necessario, un conflitto a fuoco, un’altra dava fuoco alle polveri sventrando lo sportello retrostante e asportando la refurtiva. Tutto in pochi esaltanti minuti. In dieci anni portammo a segno esattamente 107 colpi! Agivamo dappertutto: nel Lazio, in Campania, in Calabria, in Toscana…
Silvia Ferri: Certo che lei, da come mi racconta, sembra proprio orgoglioso di quello che ha fatto. Non ha mai avuto rimorsi?
Cap. Proietti: Ero in guerra! E quando si combatte non c’è spazio per i rimorsi, non può esserci. Ma non sono mai stato un assassino. Non ho mai ucciso, né fatto uccidere, senza un motivo valido.
Silvia Ferri: Cosa intende per “motivo valido”?
Cap. Proietti: Beh, se “l’avversario” si arrendeva non c’era motivo di infierire. E, quasi sempre, le guardie giurate, trovandosi davanti dei mastini della guerra come noi, non opponevano resistenza.
Silvia Ferri: Quasi sempre…
Cap. Proietti: Sì… cosa vuole che le dica? Che non abbiamo mai ucciso nessuno? No, non è vero. Nel corso delle varie operazioni morirono cinque guardie giurate. Ma anche tra i miei ho avuto delle perdite.
Silvia Ferri: E quelle morti non le pesano sulla coscienza?
Cap. Proietti: Le nostre coscienze sono come le nostre palle… ognuno ha le sue. Non le sto chiedendo di giustificarmi. Le sto raccontando la mia storia, come lei mi ha chiesto di fare. Se non le piace chiuda quel registratore e tanti saluti.
Silvia Ferri: Ha ragione, mi scusi. Come vede io non sono una fredda “professionista” come lo era lei. Mi lascio coinvolgere troppo.
Cap. Proietti: Ah, non se ne faccia un problema, la capisco. Lo so che posso sembrare odioso. Si figuri che oggi, che ho il grado di Capitano, do ordini a poliziotti e carabinieri… praticamente a quegli stessi “sbirri” che, per anni, mi hanno dato la caccia. Pensi a quanto mi odiano loro! Ma io non li ho mai odiati, neanche quando mi arrestarono. Li ho sempre rispettati e sa perché? Perché erano soldati come me. Combattevamo su fronti diversi, ma eravamo ugualmente guerrieri. E tra guerrieri ci si rispetta.
Silvia Ferri: Capisco cosa intende… Quindi alla fine l’hanno arrestata?
Cap. Proietti: Una mattina mi sottoposero a fermo. E il mio arresto coincise con l’inizio dell’apocalisse. La Squadra Mobile di Roma mi teneva sotto controllo da qualche mese. Intercettavano i nostri telefoni e avevano piazzato delle GPS sotto le auto di tutta la banda… quelle cimici che tramite il satellite ti localizzano con precisione. In quei giorni stavamo pianificando un colpo e, seppure evitavamo di usare il telefono e comunicavamo tra di noi con dei walkie talkie, i movimenti delle nostre autovetture, utilizzate per fare le ricognizioni nelle aree dove avremmo operato, li misero in allarme. Intuirono che eravamo pronti a colpire e decisero di bloccarci. Stavo uscendo da casa quando mi trovai’ circondato da una squadra di poliziotti che mi puntavano le armi in faccia. Lo sa cosa ho pensato in quel momento? Le sembrerà assurdo, ma in quegli attimi non mi preoccupai e non pensai alle conseguenze di quell’arresto. In quel momento mi ritrovai ad ammirare il blitz della polizia. Studiai, con sguardo critico, le modalità dell’intervento, apprezzandone la rapidità e il perfetto coordinamento. Valutavo l’azione dal punto di vista della tattica militare. Lo so… lei sta pensando che sono un fanatico psicopatico.
Silvia Ferri: No, penso di aver compreso i suoi “particolari” processi mentali.
Cap. Proietti: Bene. Comunque mi ammanettarono e mi portarono in Procura per essere interrogato. Durante il viaggio, i poliziotti erano tesi e preoccupati. Ma non per colpa mia. Io, quella mattina, ero l’ultima delle loro preoccupazioni. In quei giorni il virus si stava diffondendo alla velocità della luce e le aggressioni dei non morti cominciavano a dilagare. Mentre ci dirigevamo verso la Procura notammo la città sull’orlo della crisi. Quei poliziotti erano perplessi e disorientati. Invece di fronteggiare quel caos, dovevano scortarmi davanti al giudice. Quelli erano gli ordini che avevano ricevuto dal magistrato e un soldato esegue sempre gli ordini. Anche l’interrogatorio avvenne in un clima surreale. Le notizie che arrivavano da fuori erano sempre più allarmanti. In realtà, in quel momento, avrei anche potuto confessare tutti i miei crimini senza destare alcuna emozione negli inquirenti. Ovviamente negai ogni addebito e il magistrato ordinò ai poliziotti di accompagnarmi in un casolare, sito nella periferia del centro abitato, per eseguire, in mia presenza, una perquisizione domiciliare. La mia carriera criminale era finita. Quel casolare era il nostro covo. Lì avrebbero trovato armi e refurtiva. Lo avevano sicuramente scoperto seguendo i nostri movimenti. In cuor mio, da un lato stavo prendendo atto che avrei passato il resto della mia vita in galera, dall’altro non potevo non complimentarmi con quei tenaci investigatori.
Silvia Ferri: Già, la questione del rispetto…
Cap. Proietti: Esatto. Fatto sta che in quel covo non ci arrivammo mai. Durante il tragitto fummo assaltati da un’orda di zombie. La macchina sbandò e ci ritrovammo cappottati, circondati dai morti viventi. Un ispettore, rimasto incastrato tra le lamiere, mi liberò dalle manette e mi passò la pistola automatica di un collega che aveva perso i sensi. Fu l’ultima cosa che fece prima di essere sbranato dagli zombie. Capisce? Il suo ultimo pensiero fu quello di salvare la vita a un pezzo di merda come me! Come fai a non rispettare gente del genere? Tra mille peripezie riuscii a tornare nel mio quartiere e lì iniziai la mia nuova guerra. Riunii la banda e organizzai la resistenza. Eravamo addestrati, disciplinati e abilissimi nell’uso delle armi e così, in breve, divenimmo l’unica speranza di sopravvivenza per i residenti del quartiere. Tutti lì sapevano che eravamo dei malviventi ma in un lampo ci perdonarono i peccati affidandoci le loro vite. E fu così che a Centocelle, a Piazza dei Mirti, nacque il presidio anti zombie da me diretto.
Silvia Ferri: A cosa pensa?
Cap. Proietti: Sa una cosa? Nel 1944, proprio in Piazza dei Mirti, sorgeva un osteria dove risiedeva il comando partigiano di zona. Centocelle, grazie a quel manipolo di combattenti, mentre i nazisti effettuavano violente rappresaglie, divenne la prima zona liberata della Capitale.
Silvia Ferri: Ecco che ritorna lo storico.
Cap. Proietti: Ah ah! Ha ragione, tendo sempre a divagare.
Silvia Ferri: Mi racconti come è diventato Capitano.
Cap. Proietti: Per meriti sul campo, ovviamente… e anche per una questione di opportunità. In quei mesi ci trincerammo a difesa e, contemporaneamente, cercammo di contattare altri presidi presenti in zona. Il primo che ci rispose fu il confinante presidio di Tor Bella Monaca. Anche quello era un manipolo di gente tosta e pure loro non erano certo degli stinchi di santo. Unimmo forze e territori. I sopravvissuti di Tor Bella Monaca riconobbero le mie doti belliche e le mie capacità tattiche affidandomi il comando di tutta l’area liberata. Due anni dopo arrivarono le truppe dell’esercito dell’Impero. Come lei sa, l’Esercito è in gran parte formato da ex componenti delle forze dell’ordine e da ex militari. Il mio esercito, invece, era composto da ex delinquenti. Inevitabilmente potevano sorgere delle… criticità. Sapevo che non avrebbe avuto senso combattere tra di noi. E poi io ero vivo proprio grazie a uno sbirro. Diedi l’ordine di aprire i cancelli e cedetti il comando al Colonnello Grimaldi dei paracadutisti che capeggiava le truppe. Fu a quel punto che mi arruolarono nell’Esercito Volontario, dandomi i gradi di Capitano. Non sono nato ieri e so benissimo che tale decisione fu dettata da motivi di opportunità. Quei “bastardi senza gloria” che comandavo mi vedevano come punto di riferimento e, in tal modo, si evitarono prevedibili frizioni. Sia come sia, per me un sogno finalmente si avverava. Ora ero un militare vero! Facevo parte dell’esercito ed ero in guerra.
Silvia Ferri: E tutti vissero felici e contenti…
Cap. Proietti: Come?
Silvia Ferri: Nulla… mi perdoni. Mi vuole ora indicare lo scopo della missione, Capitano?
Cap. Proietti: Ho il sospetto di non esserle simpatico, dottoressa, ma non pretendo la sua ammirazione, voglio solo il suo rispetto. Metà della gente che vive nel Distretto deve a me la sua sopravvivenza. Il passato non conta più. Siamo nell’anno 10 dall’apocalisse, abbiamo ricominciato tutti da zero. Se vogliamo continuare a sommare gli anni nel calendario, dobbiamo essere uniti, pragmatici e scevri da pregiudizi. E poi, anche io ho letto il suo libro “Diario di guerra contro gli zombie”. Mi vuole forse dire che il Colonnello Furia, un ufficiale dei Carabinieri e non certo un rapinatore di banche come me, non si è reso responsabile di terribili atrocità? Vogliamo parlare di come distrusse quello che aveva creato? Di come cercò di uccidere le persone che aveva salvato?
Silvia Ferri: Mi consenta di non risponderle.
Cap. Proietti: Come vuole. Veniamo allora a noi e allo scopo della missione che io capeggerò personalmente… per cui dovrà riuscire a sopportarmi per i prossimi giorni. Saremo una squadra composta da sette elementi, compreso me. Gli uomini sono stati selezionati dal Tenente Daliberti, che sarà il responsabile operativo della missione, se vuole glielo presento.
Silvia Ferri: Grazie, ma ho già avuto il piacere di conoscerlo stamattina.
Cap. Proietti: Allora saprà che lui è un ex Carabiniere.
Silvia Ferri: Lui è ancora un Carabiniere.
Cap. Proietti: … e non un delinquente come me.
Silvia Ferri: Non penso questo. Ritengo solo che lei sia un ex delinquente. Ma andiamo avanti, la prego.
Cap. Proietti: Dovremo attraversare mezza Italia. Il nostro obiettivo è l’Oasi di Irsina, in Basilicata, in quella che un tempo era la provincia di Matera. Il Governo dell’Impero vuole che scopriamo cosa sia accaduto a quella guarnigione, con la quale ha perso ogni contatto da circa un anno. Non so perché mandino noi da Roma invece di impegnare nella missione gli uomini dei distretti presenti in quella zona, ma io sono un soldato e adempio agli ordini senza discutere. So solo che il Comando dell’Impero, circa due anni fa, ha inviato su richiesta dell’Oasi di Irsina un contingente di operai e contadini. Pare che in precedenza avessero subito un duro attacco da parte degli zombie, subendo numerose perdite. Per questo avevano bisogno di nuovi “coloni” per rimpinguare le fila. Il convoglio, però, non è mai giunto a destinazione. L’Oasi di Irsina richiese allora l’invio di un drappello di soldati per indagare sulla scomparsa del contingente. Il Comando dell’Impero spedì un plotone dell’Esercito Romano in Basilicata, con l’incarico di ripercorrere l’itinerario del contingente scomparso e fare luce sulla vicenda. Ma anche il plotone sparì nel nulla e, poco dopo, si sono interrotti i contatti con l’Oasi. Ecco perché, dopo un lungo tergiversare, hanno deciso di inviare un’unità tattica di piccole proporzioni, ritenendola più idonea per conseguire il risultato. In sette ci muoveremo più agevolmente inoltrandoci nei territori nemici senza dare troppo nell’occhio. Tutto qua.
Non le nascondo che sarà una missione rischiosa. Non saranno solo gli zombie che dovremo affrontare. Dalla Campania in poi dovremo attraversare i territori dei Raiders. Non sarà una passeggiata, ma penso che lei lo intuisca da sola.
Silvia Ferri: Sì, ne sono consapevole. Ho solo un’ultima domanda, se consente.
Cap. Proietti: Prego, mi dica.
Silvia Ferri: Ha idea di come mai abbiano scelto lei per capeggiare questa delicata missione?
Cap. Proietti: Sì, penso di sì.
Silvia Ferri: Posso saperlo anche io?
Cap. Proietti: No. Questo è tutto, dottoressa, ci vediamo domani mattina all’alba. Buona serata.