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I poliziotti arrivati in paese sembravano attori di un film. Erano altissimi, con i capelli sempre in ordine e le barbe ed i baffi perfettamente curati; le loro uniforme erano perfette, e mi chiedevo se anche loro sudassero sotto al gigantesco sole di Luglio. Mordevo una mela e attendevo annoiato sotto casa di Giacomo che finalmente potesse uscire, lanciando sassolini al gatto che non osava avvicinarsi più di tanto. Quanto tempo ci metteva? Avevo proprio voglia di un ghiacciolo, era troppo caldo per andare a giocare a pallone ma saremmo potuti andare a fare il bagno al fiume.

 

 

– Eccoti finalmente!

Giacomo scese le scale due alla volta, con le scarpe nuove della Nike che avrei voluto tanto avere anche io, i pantaloni corti celesti e la maglietta enorme dei Pantera rubata a suo fratello.

– Scusa, hanno voluto parlare anche con me.

– Ma chi, le guardie?

– Sì. Un signore in borghese mi ha fatto sedere al tavolino, c’erano anche una donna e mia mamma, mentre quello in divisa è rimasto in piedi sulla porta. Mi hanno fatto delle domande.

– E che ti hanno chiesto?

– Niente, quello che chiedono a tutti. Se la conoscevo, quando l’ho vista per l’ultima volta, se sapevo dove andava di solito, o se aveva un fidanzato. Queste cose. A te non hanno fatto domande?

– Forse è perché noi eravamo vicini di casa, tu stai laggiù in fondo. Se vanno in ordine forse ti interrogheranno tra qualche giorno.

– Forse.

Camminammo in silenzio sulla strada polverosa, andando verso la piazza. Volevo chiedere a Giacomo cosa aveva voglia di fare, ma lui teneva la testa bassa, come se volesse dirmi qualcosa di importante che non riusciva a tirar fuori da dentro di sè. Arrivammo davanti al bar.

– Ti va un ghiacciolo?

– Non mi va, ma se lo vuoi tu prendilo.

– No, non importa, continuiamo ad andare avanti. Andiamo a casa mia a prendere il pallone.

– Preferisci andare al fiume, vero?

– Sì.

– E andiamoci, dai. Ma prendiamo il pallone lo stesso.

Ercole cominciò ad abbaiare non appena ci vide arrivare. Era un nome di merda Ercole, io lo odiavo, era stato mio padre a volerglielo dare per forza. Io l’avrei voluto chiamare Monkey, come il protagonista di One Piece,  ma mio padre ha detto che era stupido chiamare scimmia un cane. Come se invece fosse intelligente chiamarlo col nome di un dio greco, che poi era anche il nome del fruttivendolo del paese. Comunque era un bravo cane affettuoso, anche se abbaiava davvero troppo. Bastava che passasse un motorino, o un gatto, o peggio ancora un aereo. Lui era fifone e non inseguiva mai nessuno, ma cominciava ad abbaiare e non la smetteva più. Mia nonna gli lanciava sempre le ciabatte per farlo chetare, lui le prendeva al volo, le portava via e le nascondeva. Le ritrovavamo quattro o cinque giorni dopo, tutte mangiucchiate, e mia nonna si arrabbiava e gli tirava qualcos’altro. Mi faceva sempre ridere questa cosa.

– Vai a casa Ercole! – Gli gridai dopo aver preso il pallone.

– Ma non lo mangia, quello? – Mi chiese Giacomo.

– Cosa, il pallone? No, da cucciolo ci provava ma non ce la faceva a stringerlo con i denti. Meno male.

– Mi sa che è l’unica cosa al sicuro qui nei dintorni.

– Se Amina è passata di qui forse l’ha presa e l’ha mangiata lui.

– Dai, Patroclo! – Si voltò verso di me e mi guardò malissimo.

– Oh, ma che hai? Stavo scherzando!

– Scusa, è che sono agitato.

– Ma che fai, ti preoccupi?

– Eh sì.

– Dai quella era pazza, avrà chiesto un passaggio a qualche camionista per andare a vedere un concerto in città, si sarà innamorata e ora starà scopando col cantante.

– Sì, forse…

Camminammo ancora un po’ in silenzio, mi sembrava di aver detto qualcosa di sbagliato ma non riuscivo a capire cosa. Scherzavamo sempre, con Giacomo, e non era certo la prima volta che prendevamo in giro Amina o una delle altre ragazze. Arrivate a una certa età le femmine impazzivano, e cominciavano a comportarsi come se fossero più grandi del nostro paesino, come se volessere diventare donne di mondo, vestirsi con abiti firmati, sfilare nelle passerelle ed uscire con cantanti o calciatori. Volevano tutte scappare, e chi prima e chi dopo quasi tutte lo facevano, alla fine. C’era chi seguiva un fidanzato in città, altre andavano all’università, qualcuna alla fine tornava ma la maggior parte si faceva vedere solo a Natale e Pasqua, e forse qualche settimana in estate. Amina era ancora piccola, aveva solo un paio di anni più di noi, ma fisicamente sembrava già più grande di tutte le altre. Una donna. E il fatto di essere di una famiglia straniera la faceva sempre sembrare diversa da tutti gli altri, anche se era nata e cresciuta qui. Così le sue fantasie di fuga erano cominciate prima del normale, forse.

Intanto eravamo arrivati al fiume. Mi tolsi le scarpe ed i calzini e le posai sulla riva, poi mi sedetti sul mio sasso preferito, bagnandomi i piedi.

– Una volta mi ha fatto un pompino.

– Cosa? – Mi voltai di scatto verso Giacomo e quasi caddi in acqua per la sorpresa.

– Mi ha fatto un pompino. Saranno stati venti giorni fa.

– Ma chi, Amina?

– No, tua nonna. Sì, Amina, certo.

– Non ci credo.

– Credi quello che ti pare.

Si chinò a prendere un sasso piatto e lo lanciò in acqua cercando di farlo rimbalzare. Solitamente era bravissimo a farlo, ma questa volta si vedeva che era incazzato, e non prese nemmeno la mira. Il proiettile colpì uno degli altri sassi che emergevano a pelo dell’acqua e schizzò a riva.

– Cazzo. – Esclamò.

– Ma veramente ti ha fatto un pompino? Amina?

– Sì, te l’ho detto ora.

– Ma eravate fidanzati?

– No, ti pare che stiamo insieme? Lei è più grande. Eppoi è pazza. Eppoi è negra.

– Non è negra, è indiana. Hai la pelle più scura te dopo un mese di estate.

– È uguale. Non eravamo fidanzati, va bene?

– E allora perché ti ha fatto un pompino?

– Non lo so, va bene? Mi ha visto nudo e le è venuta voglia.

– Sì vabbè, stai inventando una cazzata come quando dicevi che tuo fratello avrebbe suonato con gli Iron Maiden.

– Era lui che mi disse una cazzata, io ci credevo come te! E stavolta è vero. Te lo giuro!

– E dove ti avrebbe visto nudo?

– Nel prato di Nestore. Ogni tanto vado lassù a leggere un fumetto, o qualcos altro.

– Nudo?

– Mi stavo facendo una sega, va bene?

– Ma che cazzo dici, vai a farti le seghe nel prato di Nestore? Mi sa che quello pazzo sei te.

– Non vado a farmi le seghe nel prato di Nestore, è successo solo quella volta. Stavo leggendo un fumetto e mi è venuta voglia, c’era il sole, si stava bene, mi sono spogliato ho chiuso gli occhi e ho cominciato a farmela, pensando a un sacco di cose. Lei stava passando di lì ed io non l’ho sentita arrivare.

– E che te l’ha preso in bocca di sorpresa?

– No idiota. Ho sentito la sua voce che diceva “certo che per essere un mocciosetto hai un bel cazzo”. Ho aperto gli occhi ed era lì, sopra di me che mi guardava.

– Ora sono sicuro che inventi una cazzata. Mi stai prendendo per il culo.

– Senti, se mi credi te lo racconto, altrimenti no e vaffanculo, va bene?

– Va bene, va bene. – Erano le sue due parole preferite da sempre.

Prese un altro sasso da terra, fece un sospiro e lo lanciò. Questa volta riuscì a fare quattro rimbalzi. Poteva fare di più, ma non era male con così poco spazio a disposizione. Non sapevo se credere davvero alla sua storia, mi sembrava strano che gli fosse successa una cosa così e non mi avesse detto niente per tutti questi giorni.

– E poi? – Gli chiesi di continuare, visto che lui non parlava.

– Mi sono alzato in piedi e di istinto sono andato a cercare i pantaloni per coprirmi, lei mi ha messo una mano sulla spalla e mi ha detto “aspetta dai non te ne andare, ormai sarebbe un peccato smettere prima che tu abbia finito”, e mi ha chiesto se volevo che finisse lei.

– E tu che le hai detto?

– Le ho detto di sì, cosa pensi? Non sono mica idiota, quando mi ricapita? Lei si è messa in ginocchio come fanno nei film, l’ha leccato un po’ e poi l’ha preso in bocca.

– E tu?

– E io ho schizzato.

– In bocca?

– In bocca.

– Non ci credo…

– Dai, smettila!

– Ok scusa. Ci credo. E lei ha ingoiato tutto? Amina?

– Sì. Mi ha detto che era buono, ma la prossima volta sarei dovuto essere meno veloce perché ero venuto troppo presto.

– Ti ha preso per il culo perché sei troppo veloce! – Lo indicai e mi misi a ridere.

– Avrei voluto vedere te. E comunque mi stavo già facendo una sega da dieci minuti, mica ero all’inizio.

– Vabbè, e poi che ha fatto?

– Niente, si è alzata ed è andata via.

Giocai un po’ con i piedi nell’acqua. Guardai in basso: tanti minuscoli pesciolini si muovevano tra i sassi, stando bene attenti a rimanere lontani da me. Il sole picchiava fortissimo, pensai se bagnarmi del tutto ma alla fine mi alzai in piedi e mi spostai all’ombra. Presi il pallone e lo lanciai a Giacomo, che era ancor fermo nello stesso punto e mi guardava. Lui lo prese al volo e me lo rilanciò.

– Sei uno stronzo. Non mi credi, vero? – Mi chiese.

– Non lo so. È strano.

– Sembra strano anche a me. Ma è successo, morissi se ti dico una bugia.

– L’hai rivista dopo?

– Sì, l’ho rivista. Giovedì mattina.

– Ma è il giorno che è sparita!

– Sì.

– E dove l’hai vista?

– Lungo la strada che abbiamo preso ora. Questa che viene al fiume.

– E che ti ha detto?

– Niente, stavo cercando le more e lei mi è passata davanti e mi ha guardato. Sembrava avesse fretta, non ha detto niente, nemmeno mi ha salutato. Le ho urlato “ehi”, e lei mi ha risposto “oggi non ho tempo per te moccioso, oggi servo a persone più grandi”.

– Ed era giovedì mattina?

– Sì.

– L’hai detto alle guardie?

– Perché?

– Non lo so. Mi vergognavo. Forse non mi avrebbero creduto. Mi avrebbero preso per il culo.

– Dai devi dirglielo, magari stava andando ad incontrare qualcuno e sono scappati insieme! La stanno cercando da quattro giorni, sono tutti preoccupati!

– Non posso Patroclo, va bene?. Se gli dico la verità e mi credono, forse penseranno che c’entro qualcosa io. Mi ha detto che serviva a persone più grandi, magari ero geloso e l’ho ammazzata, ed ho nascosto il cadavere nel bosco!

Rimasi inorridito dall’idea. Sembrava una trovata tratta da una serie tv macabra, o da uno di quei film pieni di sangue e tette scoperte che collezionava suo fratello e noi guardavamo di nascosto. Però poteva avere ragione: se veramente la polizia non aveva neppure un indizio su come era scomparsa, forse si sarebbero aggrappati all’unica teoria possibile, anche se era la storia di un ragazzino geloso e vendicativo. Dimenticammo il pallone in un angolo e parlammo per ore, prendendo in esame possibili tattiche e strategie e avanzando ipotesi su cosa poteva essere successo davvero. Una fuga d’amore, un rapimento, un omicidio, un incidente. Forse si era inoltrata nel bosco e si era persa, non mi sembrava tipa da conoscere alla perfezione tutti i sentieri come i vecchi cacciatori del paese o come Giacomo. Forse era scivolata su un sasso bagnato, aveva battuto la testa ed era morta da qualche parte qui vicino.  Forse…

– Senti Giacomo dimmi solo una cosa, io prometto che non ti chiederò più niente, ma tu rispondimi. C’entri qualcosa te, con questa storia?

– Lo giuro. Non c’entro. Non ci pensare nemmeno.

 

Tornammo in paese tardissimo, che si stava già facendo buio. I poliziotti erano ancora lì, e stavano facendo domande nelle altre case. Forse il giorno dopo sarebbero arrivati anche alla mia, ed avrebbero voluto fare domande anche a me. Dovevo dir loro la verità?

 

CONTINUA…

 

Michele Borgogni


 

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