Samuele Pistis era un ladro. Il classico ladro di polli, uno di quelli che ruba per necessità. Ma non è questo che faceva di Pistis un caso interessante. Non è certo per un ladruncolo che sono stato congedato dai Carabinieri e internato in una clinica psichiatrica, non mi sono poi ustionato il 50% del corpo solo per acciuffare un miserabile. No, il fatto è che lui era un morto vivente e questo sì che è un caso interessante, o no? Lo so, anche voi sgranate gli occhi e pensate che sia pazzo. Tranquilli, ci ho fatto l’abitudine. E comunque gli zombie in questa storia non c’entrano nulla. Samuele non mangiava cervelli, né sbranava le persone. Ve l’ho detto, era solo un ladro. Un ladro morto. Ma andiamo con ordine.
Questa storia si svolge a Solesino, un piccolo comune della “Bassa Padovana”, anche se geograficamente più vicino alla provincia di Rovigo che non al capoluogo patavino. Io ero il Maresciallo che comandava svogliatamente la locale stazione Carabinieri. D’altronde c’era ben poco da fare in un pase di circa settemila anime tutte instancabilmente operose, oneste e lavoratici… “non sen boni de star fermi”, come dicono qui.
Questa storia inizia sotto il campanile di Solesino, che con i suoi 75 metri è uno dei più alti del Veneto. È qui che all’alba il parroco mi convocò tutto allarmato: «Maresciallo, corra prima che lo lincino!»
A suo dire avevano preso il ladro che da mesi si intrufolava di notte in pollai, rimesse o capanni rurali del circondario rubando ogni genere di alimento, vivo o inscatolato, che gli capitava sotto mano. Ed è qui che vidi Samuele Pistis con il volto tumefatto, circondato da una decina di energumeni, tutti fedeli cattolici, che alternavano bestemmie a “zampate” in testa al malcapitato. Eh sì, qui nella bassa Padana la religiosità è inversamente proporzionale alla quantità di bestemmie. Uno di loro mi mostrò il corpo del reato, una gallina spelacchiata a cui era stato tirato il collo. Dispersi la folla inferocita e, dopo essermi caricato il ladro di polli in macchina, accesi la sirena e mi diressi in caserma.
In realtà quella non era la prima volta che vedevo Samuele. Un paio di settimane prima l’avevo notato al piccolo supermarket del paese. Vi capita mai di abbinare una persona a un odore? Ebbene, io Pistis lo abbinavo a un pungente e acre odore di dopobarba al pino silvestre. Ricordo che quel giorno ne stava acquistando un’intera confezione e, a giudicare dall’odore che promanava, ne aveva già fatto abbondante uso. Mi chiesi: perché si è innaffiato di lozione se ha la barba ispida e incolta? Che poi la barba non rasata era solo uno degli aspetti di quell’uomo dall’età indefinibile che denotava trascuratezza.
«È un po’ lo scemo del villaggio, Maresciallo», mi disse all’epoca l’onnipresente parroco. «Non lo si vede quasi mai in paese, viene solo per rifornirsi. Non è di qua. I suoi anziani genitori, pace all’anima loro, si trasferirono da noi circa due anni fa, abitavano in una casa isolata nelle campagne di Carpanedo, ai margini del paese. Persone schive ma devote a Dio e presenti ogni domenica in Chiesa. Ma, tranne la domenica, le si notavano in giro raramente e quasi mai con quel loro figlio… ritardato mentale. Purtroppo tre mesi fa sono venuti a mancare, morirono contemporaneamente di infarto… strano, vero? Fatto sta che quel povero ragazzo rimase solo e incapace di provvedere ai suoi bisogni. Gli ho offerto il mio aiuto, ma lui l’ha sempre rifiutato sdegnosamente. Ma Dio lo protegge, sa! Tanto che lo ha miracolato.»
«In che senso?», chiesi incuriosito.
«Ma come non lo sa? Pochi giorni dopo la morte dei genitori, mentre si recava a piedi in paese, una macchina lo ha preso in pieno. Un urto frontale che avrebbe ucciso un bue. Anche se non dava alcun segno di vita, l’ambulanza lo portò d’urgenza all’ospedale di Este, e lì sa che accadde? Si alzò dalla barella come se niente fosse, rifiutò il ricovero e se ne tornò a casa. Un angelo custode lo protegge, Maresciallo.»
Se la teoria del parroco era vera, quella mattina l’angelo custode che lo sottrasse alle forche dei contadini ero io. Puzzava più che mai di pino silvestre, un fetore dolciastro e nauseante che in breve si diffuse in tutto il mio ufficio. Prima di interrogarlo lo osservai con attenzione. La solita barba ispida circondava un viso spigoloso e inespressivo. Sotto un ciuffo di capelli unti si nascondevano inquietanti occhi vitrei, fissi nel vuoto. Il corpo avvolto da vestiti laceri e sporchi stava immobile e composto sulla sedia posta davanti alla mia scrivania.
«Sei stato veramente tu a rubare la gallina, Samuele?», gli chiesi aggirandolo per andarmi a sedere dinanzi a lui.
«Sì, Maresciallo. Mi dichiaro colpevole», rispose con tono afono, continuando a guardare dritto come se non mi vedesse.
«Ti sei messo nei guai, lo sai?»
«Nulla di grave, Maresciallo. È un furto di lieve entità, non si ravvisa alcuna pericolosità del soggetto, né alcuna gravità del fatto. Lei deve identificarmi e rilasciarmi.»
Alla faccia del ritardato mentale, pensai. Pistis conosceva il codice di procedura penale e usava termini di legge appropriati.
«E quindi continuerai a vivere in questo modo?»
«Vivo il presente. Non ho nessun progetto per il futuro. I sogni sono inutili se si considera la futilità di questa vita, non trova? Io mi limito a nutrire questo corpo per continuare a vivere.»
Era impressionante! Pistis parlava senza empatia. Non c’era alcuna espressione facciale e nessun muscolo del volto che si muovesse, neppure impercettibilmente.
«So che sei rimasto solo dopo la morte dei tuoi genitori.»
«Sono sempre stato solo, seppur in compagnia di me stesso fin dalla nascita. E bene avrebbero fatto i miei genitori a sopprimermi. Ma purtroppo vollero seguire “l’etica della sacralità della vita”, che la considera un bene assoluto, inviolabile e intoccabile, da difendere incondizionatamente.»
Ero affascinato e al contempo terrorizzato da quell’essere misterioso e tentavo di comprendere il significato dei suoi criptici messaggi.
«E perché mai avrebbero dovuto sopprimerti? Non vedo “inumanità” in te.»
«Le assicuro che non c’era alcuna ragione perché noi continuassimo a vivere. Avrebbero dovuto seguire piuttosto “l’etica della qualità della vita” che non si richiama a un valore assoluto, come la sacralità cattolica, ma si fonda sulla ragione.»
«Noi? Ti riferisci anche ai tuoi genitori? Da quel che capisco, tu non approvi la loro religione cattolica.»
«Lei riesce a comprendere il concetto di “Trinità”, Maresciallo? È uno dei tanti misteri della fede. Io non lo comprendo, ma capisco quello di “dualità”. Io sono la dualità.»
«Mi stai dicendo per caso che soffri di sdoppiamento della personalità? C’è qualcuno dentro di te che ti costringe a rubare?»
Samuele ebbe un repentino scatto in avanti, un gesto meccanico, privo di alcuna enfasi. Avvicinò il suo volto al mio e senza mai incrociare lo sguardo disse: «Siamo tutti automi in questo mondo, corpi mossi da burattinai. Ma una parte di me è morta sotto quella macchina, e ora sono solo.»
Pur se era snervante il suo continuo cambiare argomento, attuato allo scopo di eludere le domande, ero stranamente affascinato dall’eloquio di quell’uomo. Mai un gesto, un tono grave o un respiro pronunciato che accompagnasse le sue elucubrazioni. Pareva di parlare con un automa. Non chiedetemi il perché, ma percepivo un “senso” nei suoi discorsi apparentemente strampalati… solo che non comprendevo quale fosse.
«Ho saputo del tuo incidente, ma so che ne sei rimasto illeso.»
«Lei non sa nulla, non può intendere, non ancora almeno. Per capire chi sono e cosa sono, vada alle origini», disse Samuele alzandosi dalla sedia. «Se non ha altre domande da farmi, preferirei andarmene», concluse avviandosi verso l’uscita.
Fu a quel punto che l’afferrai al polso. Avrei voluto offrirgli la mia disponibilità. Quell’aura di disperata tristezza e solitudine mi aveva impietosito, avrei voluto dargli conforto… ma non dissi nulla. Quel contatto fisico mi gelò il sangue nelle vene. Fu come immergere la mano nella melma e toccare un serpente freddo e viscido. In quel momento compresi cosa intendeva nel descriversi “inumano”. Non c’era nulla di vitale in lui.
Fu così che lo lasciai andare, ma da quel giorno Samuele Pistis divenne un’ossessione. Volevo sapere tutto di lui e decifrare i suoi deliri. Il mio intuito poliziesco mi gridava che in quell’uomo assurdo si nascondeva un segreto osceno. Cosa voleva dire asserendo che “una parte di lui era morta il giorno dell’incidente”? E, se quanto dettomi dal parroco fosse stato vero, come era mai possibile che dopo un sinistro del genere non avesse subito danni? Per rispondere ai quesiti, mi recai all’ospedale di Este e rintracciai il dottore del pronto soccorso che aveva proceduto alla visita medica. Appena gli riferii il motivo della mia presenza, il giovane medico impallidì e mi condusse trafelato nel suo studio.
«Lo sapevo! Sapevo che questa storia sarebbe uscita fuori», esordì sudando freddo. «Io non volevo insabbiare nulla, ma i dirigenti dell’Ospedale mi hanno costretto. Maresciallo, mi comprenda, se non avessi obbedito non mi avrebbero rinnovato il contratto. E poi, diciamo la verità, chi mi avrebbe creduto?»
Tranquillizzai il dottore garantendogli riservatezza e lo invitai a dirmi tutto dall’inizio, possibilmente con calma.
«Deceduto, Maresciallo! Quel corpo era giunto cadavere al pronto soccorso, glielo giuro! Nessun battito cardiaco, nessuna attività respiratoria, né cerebrale. Ma prima che potessi dichiararne il decesso, ecco che quello apre gli occhi, si alza dalla barella e se ne va!»
«Non sono un esperto, ma mi pare non sia il primo caso di morte apparente, o sbaglio?»
«Sì, ma non è questo che mi ha terrorizzato quel giorno, bensì il risultato della radiografia! Impressionante!»
«Cosa emerse?»
«Io glielo dico, Maresciallo, ma sappia che hanno distrutto la pellicola fotografica dall’esito… irrazionale».
«Irrazionale? Si spieghi meglio!»
«Il paziente aveva il torace sfondato, nessuna costola era rimasta intatta dopo l’impatto, e già di per sé questo era incompatibile con il suo stato di salute. Uno in quelle condizioni non avrebbe neanche potuto girare la testa, figuriamoci se poteva alzarsi e camminare. Ma quello che rivelò la radiografia alla testa fu un incubo…»
«C’erano anche lesioni al cervello?»
«Magari fosse! Non c’era alcun cervello, Maresciallo! Una scatola cranica vuota! E non è vero che l’apparecchiatura ebbe un malfunzionamento, come asserirono loro. Era tutto vero, glielo giuro!»
Cosa volete che vi dica? Ero un poliziotto, abituato a ragionare razionalmente sulla base di prove concrete e inoppugnabili, e la versione del dottore non aveva nulla di razionale. Eppure, una voce dentro di me diceva che era tutto vero. E così capii quale fosse veramente l’impressione che ebbi quando interrogai Samuele Pistis quella mattina nel mio ufficio. Anche se finora non avevo avuto il coraggio di ammetterlo neanche a me stesso, capii che Pistis era morto! Quell’uomo si muoveva e parlava, è vero, ma nulla in lui viveva. Insomma, avevo discusso con un cadavere sulla sacralità della vita. Più tentavo di allontanare questi pensieri folli e più loro si insinuavano nelle voragini della mia corteccia cerebrale, imponendomi di proseguire la ricerca.
A quel punto dovevo assolutamente capire in cosa mi ero imbattuto. “Per capire chi sono e cosa sono, vada alle origini”, aveva detto Pistis quel giorno. Cosa intendeva? Forse le origini erano nella sua nascita, un evento nefasto, un neonato che i genitori avrebbero fatto bene a sopprimere immediatamente… Contattai allora telefonicamente l’Ospedale di Rovigo, dove Samuele era venuto alla luce 33 anni fa.
«Maresciallo, mi dispiace non poter soddisfare le sue richieste», si scusò il primario dell’ostetricia, «ma per questioni di privacy, senza un’ordinanza del tribunale non posso riferirle nulla sulla nascita dei gemelli Pistis.»
Gemelli? Samuele aveva un fratello gemello! Ecco cosa intendeva quando parlava di “dualità”! E dove stava ora suo fratello? Perché nessuno lo aveva mai visto? Aveva abbandonato la famiglia per trasferirsi chissà dove, oppure si nascondeva nella casa in campagna insieme a Samuele? Forse era un criminale che l’obbligava a rubare per lui. Ma se anche così fosse, come si giustificava lo stato di morte deambulante in cui versava Samuele? Probabilmente si era sostituito a lui in ospedale, occultandone il cadavere. Ma pur avvalorando tale ipotesi, come spiegare l’esistenza di un corpo senza cervello?
Più scavavo e più i miei pensieri perdevano forma e sostanza, liquefacendosi in un abisso di follia, una spirale perversa che oramai mi aveva privato del sonno e della razionalità.
E dato che non potevo dormire, passai giorni e notti in appostamento sotto l’abitazione dei Pistis. Nascosto tra la fitta vegetazione, annotai meticolosamente tutti i suoi movimenti. Samuele usciva di casa solo all’imbrunire, per poi tornare all’alba dopo aver trafugato qualcosa da mangiare. Dalla finestra lo intravvedevo ingozzarsi per poi crollare su un divano, dove rimaneva in stato catatonico per tutto il giorno. Man mano le sue sortite notturne si ridussero sempre di più. Oramai non usciva di casa, non si cibava da giorni, e il suo corpo deperiva a vista d’occhio sino a divenire scheletrico. A quel punto decisi di intervenire!
La porta di ingresso era socchiusa e così mi introdussi silenziosamente nell’abitazione avvolta nella penombra. Fui subito stordito da un fetore insopportabile, un olezzo così forte da sembrare denso e solido, quasi a creare un muro di sbarramento impenetrabile. I miasmi della decomposizione si amalgamavano oscenamente con l’odore dolciastro del dopobarba. Accesi la torcia e scrutai negli angoli sporchi e impolverati di quella catapecchia, fino a inquadrare il corpo putrescente di Samuele abbandonato inerme sul divano. La pelle era ricoperta da bolle viscose piene di pus, e al posto degli occhi liquefattisi, c’erano due cavità vuote grondanti nere secrezioni.
«Ben arrivato, Maresciallo, la aspettavo», disse con voce impastata quel corpo putrefatto rizzandosi lentamente. Io ero frastornato, incapace di comprendere quello squarcio di inferno che mi si parava davanti.
«Non guardi questo corpo oramai inutile, guardi me», disse Samuele indicando con il dito scheletrico verso l’angolo destro della stanza scura. Puntai la torcia in quella direzione e illuminai una massa gelatinosa, grande quanto un masso, di colore biancastro e solcata da venature rosse, adagiata mollemente su una poltrona.
«Non si meravigli, Maresciallo, sono io l’essere con il quale lei parlò quella mattina in ufficio. Il corpo che aveva dinanzi e del quale ora sto usando la voce, è quello di mio fratello.»
«Io… io non capisco», balbettai non sapendo se guardare la poltiglia sulla poltrona o il corpo decomposto sul divano.
«Lei avrà sicuramente sentito parlare dei gemelli siamesi. Lo so, quando ci si riferisce a questi fenomeni mostruosi, si è soliti parlare di “freaks”. Ma siamo comunque essere umani, seppur colpiti da gravi malformazioni. Anzi, a volte siamo esseri dalle caratteristiche straordinarie, e noi due ne siamo la prova. Nell’antichità la nascita dei gemelli congiunti veniva collegata a un intervento del diavolo, ma in realtà l’evento dipende dalla divisione tardiva dell’embrione, anche se ancora oggi le cause del ritardo non sono scientificamente accertate. La nascita di gemelli siamesi è un’eventualità molto rara, circa una ogni 120.000 nascite, e nei tre quarti dei casi porta a morti premature a causa delle malformazioni degli organi interni.
Forse avrà sentito parlare del caso di Edward Mordake vissuto durante il diciannovesimo secolo. Si dice che fosse un erede delle più nobili famiglie vittoriane, dall’aspetto affascinante e solare, intellettualmente colto e musicista. Peccato che anche lui avesse un gemello siamese: un’altra faccia dietro la testa! Sembra che quella faccia potesse ridere e piangere, ma non mangiare o parlare. Morì suicida a 22 anni. E che dire di quella ragazza del Minnesota da tutti conosciuta come “la ragazza con due teste”. Lo sa che è ancora viva? In realtà si tratta di una coppia di gemelle, Abigail e Brittany Hensel, che pur condividendo molti organi hanno due teste e due cuori separati. Negli anni le ragazze hanno imparato a convivere. Pensi che qualche anno fa hanno preso perfino la patente. E gliene potrei citare tanti altri. Alcuni casi restano oggi un mistero, altri suscitano allegria, altri ancora sono considerati scioccanti. Ecco, il nostro caso rientra in quest’ultima categoria. Penso proprio che “scioccante” sia stata l’impressione che demmo quando venimmo alla luce. Mio fratello era un corpo senza cervello, io, invece, ero un cervello senza corpo. Un cervello gigante, come può notare. Inizialmente pensarono che si trattasse di un unico individuo la cui massa cerebrale si era sviluppata al di fuori del corpo. Ma vede questa protuberanza sulla destra della massa flaccida che compone la mia essenza? Ebbene, quello è un orecchio. E sappia che nella parte sottostante in cui poggio… c’è un piccolo piedino. Impressionante, vero? Beh, questo convinse i medici che anche quell’enorme massa cerebrale fosse un essere “umano”. Come le dissi quella mattina, i miei cattolici genitori accettarono il volere del loro Dio bizzarro e accolsero anche me nella loro famiglia, togliendoci immediatamente dalle curiosità morbose di dottori e scienziati.»
«Non capisco», dissi incredulo, «se questo corpo… il corpo di suo fratello, è sprovvisto di cervello, come fa a muoversi e parlare?»
«Se lo chiesero anche i medici. E l’unica risposta plausibile è la… telepatia. Sì, la telepatia, detta anche trasmissione del pensiero, che, come penso lei sappia, è la capacità di comunicare con la mente. Seppur la comunità scientifica fino a quel momento non riteneva provata la sua esistenza, con noi dovette ricredersi. Ero io che muovevo mio fratello, parlavo con la sua bocca e vedevo con i suoi occhi.»
«Tutto ciò è assurdo! Che tipo di vita è mai questa?», chiesi scrutando sbalordito quell’informe agglomerato.
«Oh, alla fine ci si abitua a tutto. Anzi, posso dire che la nostra vita in simbiosi è trascorsa serenamente. E poi, se vogliamo dirla tutta, la vita di questo involucro decerebrato non è tanto diversa da quella dei tanti idioti che popolano il pianeta, masse di persone che agiscono seguendo il volere di potenti élite. Poi… poi ci fu quel maledetto incidente. Il corpo di mio fratello morì in quell’impatto tremendo. Io continuavo a muoverlo, a nutrirlo, ma non potevo fermarne la decomposizione. Dopo un po’ il dopobarba non bastò più a nascondere il fetore, e la putrescenza invase completamente le sue membra. E ora sono veramente solo. I suoi occhi liquefatti mi hanno già reso cieco e tra breve non riuscirò più neanche a parlare. Sarò solo una viscida poltiglia orripilante immersa nel nulla.»
Finalmente era tutto chiaro, per quanto la mia razionalità si ostinasse a rimanere incredula dinanzi a quelle sconcertanti spiegazioni, avevo risolto il misterioso caso di Samuele, anzi dei gemelli Pistis. Però ora non potevo abbandonare quella “cosa” alla sua sconfinata disperazione. Dovevo aiutarla in qualche modo.
«Ma gli scienziati troveranno una soluzione», dissi, «ci sarà sicuramente un modo che le consentirà di continuare a interagire con gli uomini.»
«E chi le dice che io aspiri a farlo? Non voglio diventare un fenomeno da baraccone. Agli occhi di tutti sarei solo un mostro, nessuno mi considererà mai un suo pari. Si figuri che neanche i miei genitori mi hanno mai dato un nome. E poi lo sa che il legame tra i gemelli è indissolubile, se sparisce lui devo morire anche io. D’altronde è la stessa cosa accaduta ai nostri genitori, morto mio padre, mia madre l’ha seguito immediatamente.»
«Mi stai forse dicendo che…»
«Sì, Maresciallo, anche i nostri genitori erano gemelli e noi siamo il frutto di un incesto. E ora se ne vada subito perché purificherò la nostra immonda esistenza.»
Indugiai nel chiedermi cosa intendesse e così vidi troppo tardi il corpo acefalo del fratello che, terminato di innaffiare la stanza con della benzina, accese un fiammifero. Fu un lampo accecante e le fiamme ci avvolsero nel loro abbraccio incandescente. Sarei morto carbonizzato in quel tugurio se il corpo di Samuele, divenuto una torcia umana, non mi avesse trascinato fuori appena in tempo, per poi scarnificarsi del tutto e disperdersi in quel braciere demoniaco.
Il resto è storia nota: i vigili del fuoco, le ambulanze, le mie dichiarazioni ritenute inattendibili e scientificamente incompatibili, il ricovero in ospedale psichiatrico e infine il congedo immediato per perdita dei requisiti psichici. E d’altronde chi avrebbe mai potuto credermi se le prove del mio racconto erano divenute purtroppo polvere fumante? Sicuramente anche voi che avete letto questo racconto, che potrei definire letteralmente “fuori di testa”, non mi crederete, ma non importa. Sono convinto che i gemelli Pistis mi abbiano fornito volontariamente gli indizi necessari per far luce sulla loro triste storia. Volevano che almeno io sapessi. Non so bene spiegarvi il perché, ma ritengo che non volessero finire nell’oblio totale, avevano la necessità di mostrare a qualcuno la loro vita prima che la morte li portasse via, lasciare una traccia del loro vissuto. Perché fintanto che si vive nel ricordo di qualcuno, non si è del tutto spariti. E, come potete immaginare, quei fratelli simbiotici vivranno in me finché avrò vita…
Nicola Furia