Vi racconto una breve storia. È il mio compleanno. Mio figlio quindicenne torna da scuola e mi dice “Non ho compiti. Andiamo al cinema che adori tanto, anche se non abbiamo trovato film abbastanza interessanti da vedere?”. Specifico, per chiarezza, che noi decidiamo anni prima (quando parte la produzione) che film vedere, e compriamo i biglietti sempre in prevendita, almeno un mese prima.
Ed io, dopo vari tentativi a vuoto, opto per King Arthur.
Mai scelta fu più fortunata.
In poche parole, io e mio figlio siamo usciti dal cinema innamorati cotti del film. Ancora più soddisfatti proprio perché ci aspettavamo poco e invece abbiamo ricevuto tantissimo da esso.
Guy Richie, che ho “incontrato” per la prima volta in questo film, crea un film dove non ti puoi permettere di distrarti un secondo, pena il non sapere più se sei in uno dei progetti mentali del protagonista o in una scena che realmente sta accadendo. Senza contare che non capiresti più neanche in quale “tempo” della vita del protagonista stai guardando.
E stare attenti non è per niente difficile, perché tutto in questo film è fatto per tenerti lì, incollato a lui.
L’ambientazione, incredibilmente affascinante, con un misto di tocco moderno che non stona per niente, anzi ti fa sentire più “a casa”.
I costumi, studiati nel dettaglio per rendere anche visivamente il carattere dei protagonisti. Sempre chiaro, ma mai bianco, Hunnam e sempre scuro Lowe, con un mondo grigio intorno a loro, anche nelle persone, creato proprio da quest’ultimo.
Hunnam, usato in tutta la sua bellezza, incontestabile, ma specialmente con una recitazione sempre sopra le righe, nei suoi momenti buoni come in quelli meno buoni. Cosa fatta apposta per rendere centrale anche il suo percorso nel film e senza distrazioni. Così come quei capelli gellati ce lo rendono vicino nel tempo, resi così naturali in lui, che ci accorgiamo che è una grande incongruenza in un mondo dell’Alto Medioevo solo a bocce ferme, e a quel punto non ci interessa neanche più, perché lo adoriamo proprio così com’è.
Lowe, cattivo, così cattivo come di più non si può, anche quando dice di amare qualcuno, dimostra sempre chiaramente di amare solo una cosa, il potere. Anzi, come dice lui stesso, la paura che stimola negli altri il suo potere oscuro. E non ci permette di avere, come di moda adesso, neanche un momento di empatia per lui. Lo odi e basta. Lui è il cattivo e Hunnam è il buono. Punto. Come nelle favole, Richie mette subito in chiaro le cose senza mezzo termini e giochi psicologici, tipo “poverino, gli hanno sempre preferito il fratello”.
I primi Cavalieri della Tavola Rotonda, che definire originali e anacronistici è come dire che l’Oceano è una piccola pozza d’acqua. Senti quei nomi così familiari e che abbini da anni a dei Cavalieri medioevali senza macchia e paura e ti trovi ad avere a che fare con gli amici popolani e lealissimi di Arthur. E sarà proprio questa amicizia che li porterà a diventare ciò che la storia ci ha riportato da sempre.
Gli effetti speciali, incredibilmente vividi ed intelligentemente usati. Mai troppo e sempre al momento giusto. C’è una specie di strega polipo che ti lascia a bocca aperta come un bambino. Così come lo fanno gli enormi elefanti di inizio film. E credetemi intendo proprio enormi in senso smisurato.
La colonna sonora molto rock, pur restando nel Medioevo per atmosfere. Come ci è riuscito l’autore delle musiche è ancora un mistero per me. E non stona neanche di una virgola con quello che stai vedendo in quel momento. Anzi, come ogni colonna sonora degna di questo nome, lo amplifica e migliora.
Ma soprattutto il modo in cui gestisce il montaggio. Geniale è dire poco. Partendo dalla “sigla” che ci fa vedere come Arthur cresce, una volta abbandonato per la morte dei genitori. In maniera netta, veloce, chiara e precisa, il regista ci dice in pochi minuti perché l’Arthur adulto che ci troviamo di fronte non è quello della leggenda prima della sua ascesa. Perché non vuole essere Re. Perché odia le responsabilità, se non quelle delle persone che ama, e queste ultime sono proprio poche e “originali”, a dir poco.
Ma ci dice anche che ama le persone per quelle che sono, non per quello che fanno o per come si presentano al mondo. E che quello che ha, se lo è guadagnato duramente e a caro prezzo.
Ci fa saltare continuamente nel tempo e nello spazio mentale del protagonista. Parte dal racconto di ciò che lui pensa succederà, e ci porta a vedere quello che veramente succede, tutto nella stessa scena e con una fluidità che ti sorprende per tutto il film. Non sai mai se vedi la realtà del film o un pensiero di Hunnam. È un metodo veramente affascinante di far procedere una trama. Invece che in maniera lineare e coerente come siamo abituati di solito.
Certo, ci vuole un regista che lo sappia fare bene. Sennò ne nascerebbe una confusione incredibile. E lui, credetemi, maneggia questo metodo in maniera eccelsa. Oltre a usare una minima ma necessaria dose di humor che non guasta, nelle scene più emotivamente pesanti per lo spettatore.
Tutto questo fa sì che quando avviene l’incontro di Hunnam con la famosa Excalibur e lo scontro con suo zio Lowe, entrambe le scene sono di una potenza devastante e ti lasciano lì a chiederti “Ma come diavolo ho mai potuto pensare che sarebbe stato un tipico film sulla leggenda di Re Artù? Un film che si poteva vedere tranquillamente in tv dopo qualche mese?”.
Guy Richie è stato per me, come dicevo sopra, una scoperta meravigliosa che amplierò di sicuro. Hunnam, che già avevo conosciuto nella splendida “Sons of Anarchy”, sta crescendo a vista d’occhio come attore e aggiungiamoci pure la sua bellezza sorprendente, che non guasta per niente. In fondo, anche gli occhi vogliono la loro parte. Lowe, che non amo per niente come attore, qui risulta incredibilmente incisivo e inquietante.
In poche parole “King Arthur” è un film da non perdere assolutamente. E da non sottovalutare come impegno richiesto nella visione, alla faccia del blockbuster “leggero”.
Antonella Cella
(jackson1966)