David non vedeva l’ora di ritornare a casa quel giorno. Aveva ottenuto la borsa di studio e voleva comunicarlo alla famiglia: avrebbe potuto andare al college senza far pesare le spese sulle spalle dei suoi genitori. Appena l’autobus si fermò, scese e iniziò a correre come un pazzo. Svoltò a destra, poi a sinistra e via diritto verso la casetta bianca con le persiane celesti. Il cuore gli rimbalzava nel petto, il fiato era corto e la milza cominciava a chiedere pietà, ma nulla l’avrebbe fermato. Era felice e voleva arrivare a destinazione il prima possibile. Entrò come una furia dalla porta, lasciò scivolare lo zaino a terra e si fiondò nel salotto con il sorriso e le parole pronte ad uscire, ma quando arrivò lì una scena raccapricciante lo devastò completamente. Il suo sorriso si spense e la gioia che avrebbe voluto esprimere urlando gli fu strozzata in gola dallo spavento. Sua madre era accucciata a terra e stringeva a se il piccolo Henry. Erano morti. Attorno a loro c’era un’immensa pozza di sangue, i loro occhi erano spalancati e pieni di paura. Nel petto avevano un buco, come se qualcuno avesse infilato la mano e strappato loro il cuore. David rimase inorridito. Si voltò per risparmiare ai suoi occhi quello strazio, ma vide qualcos’altro che avrebbe preferito non vedere. Riverso sulla poltrona giaceva suo padre, con la stessa espressione che aveva visto in sua madre e suo fratello e la stessa ferita al petto. Gli occhi incominciarono a riempirsi di lacrime e sconforto e perplessità iniziarono a farsi largo dentro di lui. Si chiedeva cosa diamine fosse capitato durante la sua assenza. Chi aveva potuto commettere un’atrocità simile. Era immobile e impietrito quando dallo stanzino accanto alla cucina sentì cigolare la porta che da mesi suo padre avrebbe dovuto sistemare. Una voce fioca e spaventata fece il suo nome. La riconobbe all’istante, era di sua nonna e si fiondò su di lei.
«Nonna… mio dio ma che ti succede? Che è successo?», le chiese in preda al panico. La povera donna sanguinava da un occhio. David cercò di tamponare la ferita con la maglietta e aiutò sua nonna a rialzarsi, ma era impossibile per l’anziana restare in piedi: aveva entrambe le gambe rotte.
«Devi ascoltarmi, non ho molto da vivere», gli disse respirando a fatica mentre David la guardava spaventato.
«Nonna, ti salverò, non lasciarmi anche tu», le disse stringendola forte a sé piangendo.
«Non fare così, non devi lasciarti andare… ora devi essere forte ragazzo mio… devi..», prese fiato con fatica, «devi andartene… stanno tornando… scappa», disse con grande sforzo. La vita la stava lasciando, ma prima doveva assicurarsi che suo nipote si sarebbe salvato. Almeno lui.
«Ma nonna che stai dicendo? Non capisco… chi sta tornando e per l’amor del cielo che è successo?», le chiese David spaventato più che mai e senza cessare di piangere.
«Non ho tempo di spiegarti… scappa… vattene subito».
«Ma nonna.».
«Niente ma», lo interruppe sua nonna ormai allo stremo delle forze, «vattene… adesso!», urlò lei e con quell’ultimo sforzo chiuse l’occhio ancora buono e si lasciò andare.
«Nonna… nonna svegliati!», le gridò David scuotendola con forza, ma lei non diede segni di vita. Il ragazzo urlò disperato e si accasciò su di lei. Che cos’era mai successo? Chi sarebbe tornato?
Quelle domande rimasero a ronzare nella sua testa per alcuni minuti, finché senti il cancelletto del giardino fuori aprirsi. Andò a sbirciare dalla finestrella rotonda che c’era all’ingresso. Due tipi alti almeno due metri stavano avanzando verso la porta. Uno era pelato con una benda all’occhio sinistro e l’altro aveva una cicatrice sotto l’occhio destro. Non li conosceva, ma il suo istinto gli disse che non erano lì con le migliori intenzioni. Si diresse verso la cucina per scappare dalla porta che dava sul giardino interno, ma quando l’aprì davanti a lui si parò un uomo alto all’incirca un metro e ottanta con i capelli a caschetto biondi e un cappello da gangster nero. Stava sorridendo compiaciuto.
«Ma bene, eccoti qui David», disse con voce profonda e allungò la mano verso di lui, ma prima che potesse afferrare il suo braccio il ragazzo chiuse la porta e scappò al piano di sopra. Diamine, quelli volevano farlo fuori, ne era sicuro, forse erano loro che avevano ucciso la sua famiglia. Avrebbe voluto andare di sotto e affrontarli, ma il suo istinto gli diceva di scappare e nella sua mente ripensò alle parole che sua nonna le aveva ripetuto fino alla nausea: “Fidati del tuo istinto. Ascolta cosa ti dice perché non sbaglia mai“. Così fece, pensò a un modo per scappare o per lo meno nascondersi. Ma dove andare? Quei tipi avrebbero controllato ogni stanza, gli serviva un posto sicuro che gli avrebbe permesso solo di prendere tempo e pensare a come filarsela. Andò in camera dei suoi e vide la cordicina sul soffitto, la tirò giù con forza e si aprì la botola che dava sulla soffitta, fece scendere la scala e salì richiudendosi la botola dietro. Si nascose in un angolo, immobile, e si chiese quanto ci avrebbero messo a capire dov’era. Intanto sentì che i tre individui stavano mettendo sotto sopra la casa. Doveva pensare a una via di fuga e in fretta, perché erano già al piano di sopra. Si ricordò che da lì poteva saltare sul tetto della casa di fianco, era vicino e il salto non era un’impresa estrema. Senza esitare aprì la finestrella e andò sul tetto, fece un bel respiro e saltò dall’altra parte, atterrando con uno schianto. Si rialzò con un dolore lancinante allo stomaco e al ginocchio, ma non aveva tempo di lamentarsi per il dolore. Fece un altro bel respiro e si calò sul tettuccio del garage, e da dove scese nascondendosi fra i cespugli. I tipi arrivarono in soffitta e in pochi secondi capirono che era uscito. Si fiondarono di sotto, infuriati, imprecando. Ora David doveva scappare. Incominciò a correre come un pazzo, senza mai voltarsi. Giù fino in fondo al viale e poi a destra, uscendo dal quartiere e buttandosi nel centro. Lì avrebbe trovato qualcuno disposto ad aiutarlo, magari anche la polizia se fosse stato fortunato. Correva a perdifiato, sentiva che le forze iniziavano a mancare, ma non poteva e non voleva fermarsi finché non si sarebbe sentito davvero al sicuro. Ad un tratto urtò contro qualcuno e cadde a terra con un tonfo.
«Ahi», urlò.
«Devi stare attento, ragazzino», gli disse un uomo sulla quarantina. Era molto alto e i suoi capelli neri cominciavano a ingrigirsi. Indossava giacca e cravatta.
«Mi… mi scusi», disse David rialzandosi goffamente.
«Ti sei fatto male?», gli chiese l’uomo aiutandolo.
«Sto bene», rispose David, e poi pensò che forse lui avrebbe potuto aiutarlo, se gli avesse riferito cosa era successo.
«Sei davvero sicuro di stare bene? Hai la faccia sconvolta», aggiunse l’uomo. Era il momento perfetto per raccontare.
«Mi è successa una cosa rientrando a casa… una cosa atroce», sussurrò timidamente.
«Fammi indovinare… sei arrivato a casa, hai trovato i tuoi familiari morti e tu stai scappando da tre ceffi che vogliono farti fuori, giusto?», gli chiese sorridendo. David rimase di stucco. Come poteva saperlo?
«Dalla tua faccia immagino che sia andata così… David Carter», concluse lo sconosciuto sicuro di sé. Lo stupore di David si fece più evidente e lo assalì uno stato di paura. Come poteva conoscere il suo nome? Chi era? Una risposta si fece avanti nella sua testa. È uno di loro. Avrebbe voluto scappare, ma era atterrito, non aveva più fiato e rimase lì davanti allo sconosciuto come fosse stato una statua di marmo. Alle sue spalle udì dei passi. I tre individui l’avevano raggiunto e a differenza sua non sembravano affatto stremati dalla corsa. Lo sconosciuto che aveva parlato poco fa con David li fulminò con gli occhi.
«Sapevo che non sareste riusciti a portare a termine la missione. Siete degli incapaci», sbottò rabbioso. I tre tipi ringhiarono come se fossero stati dei cani e poi afferrarono David, trascinandolo nel fitto del parco, lì dove la vegetazione cresceva indisturbata e dove solo chi aveva qualcosa da nascondere si addentrava. David provò a liberarsi, ma più si dimenava e più questi lo stringevano forte. Arrivarono alle sponde del fiume, spinsero il ragazzo a terra e lui si sentì già morto. Avrebbe presto raggiunto i suoi genitori e quel pensiero quasi lo rincuorò.
«Sapete che non dobbiamo lasciare testimoni quando andiamo a caccia», incalzò lo sconosciuto con il quale David si era scontrato poco prima. Per tutto il tragitto non aveva smesso un solo istante di rimproverare i tre.
«A caccia?», azzardò David. Se doveva morire, almeno voleva sapere per mano di chi o cosa. L’uomo si volto e sorrise, malignamente, si avvicinò al ragazzo e si chinò su di lui.
«Ora ti mostrerò “cosa” siamo», disse compiaciuto. I suoi occhi marroni iniziarono a cambiare colore, diventando sempre più neri, profondi. Il suo intero corpo si trasformò. La sua statura crebbe di almeno un metro, il suo petto si gonfiò di muscoli e le unghie delle sue dita divennero lunghe e nere. David rimase impietrito e si pentì amaramente di aver fatto una domanda simile.
«Siamo demoni ragazzo. Demoni che si nutrono di cuori umani», disse l’uomo. La sua voce ora era più profonda. David si sentì irrimediabilmente spacciato. Non aveva di sicuro possibilità prima, figuriamoci adesso. Mai nella sua vita aveva creduto all’esistenza di demoni o altre creature fantastiche, ma ora ne aveva la chiara prova davanti ai suoi occhi.
«Se dovete uccidermi, fatelo velocemente e poi prendetevi quel che volete», disse raccogliendo quel po’ di coraggio che ancora gli rimaneva. I quattro demoni sorrisero.
«Ti prenderemo il cuore mentre sei ancora vivo. Ancora pulsante è più delizioso» disse uno di loro. Le ultime briciole di coraggio sparirono dal suo animo. Avrebbe visto la sua morte ben chiara davanti agli occhi e in quel momento ripensò allo sguardo terrorizzato che aveva visto nei volti dei suoi familiari. Ora li capiva ed era sicuro che anche lui aveva la loro stessa espressione. David non aveva mai pensato alla morte. Era troppo giovane e troppo ottimista per farlo, ma in quel momento quello era il suo unico pensiero. La sua ora era giunta, la sua morte. Mai avrebbe pensato che sarebbe morto per mano di demoni, ma almeno avrebbe raggiunto la sua famiglia. Non sarebbe rimasto da solo a piangere il giorno in cui era stato privato degli affetti più cari. Era pronto a morire. Il demone si avvicinò a lui e con un rapido movimento infilò la sua mano ossuta dentro al petto di David. Il ragazzo sentì una fitta dolorosa che si espanse in poco tempo in tutto il suo corpo e poi il cuore gli venne strappato via. Chiuse gli occhi, mentre i demoni risero soddisfatti. Il suo corpo cadde a terra con un tonfo e tutto finì. Il demone che si era scontrato con David iniziò a mangiare il cuore caldo mentre il sangue gli colava giù fino al collo. Quando prese le sembianze umane si ripulì e si allontanò insieme agli altri. Aveva fame di altri cuori.
Ilaria Militello