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– Lui? Chi è lui? Giacomo… cosa è successo?
– Lo sai chi è, lui. Mi dispiace, ma ormai è indispensabile.

Arretravo lentamente. Ad ogni passo indietro che facevo lui ne faceva uno avanti verso di me. Il mio tallone incocciò qualcosa, forse un sasso o un ramo, e caddi a terra. Per fortuna l’istinto mi fece proteggere con il braccio sano. Urtai il sedere, ma non sentii nessun dolore; ero troppo spaventato per queste piccolezze. Guardai accanto a me: un sasso. Lo afferrai e glielo lanciai, mirando al viso. Non accennò neanche a ripararsi: lo colpii sulla fronte, e Giacomo cominciò a sanguinare leggermente. Da terra non ero riuscito a trovare la forza necessaria a fermarlo. Fece una smorfia. Ero solo riuscito ad infastidirlo.

– Questo è stato molto stupido. – Mi disse. – Sarebbe più facile se ora ti alzassi e venissi con me.
– Dove vuoi portarmi? Lasciami tornare a casa… torniamo insieme, non dirò nulla!
– Voglio portarti da lui. Ormai l’avrai capito, no? Non ti succederà niente che…

Mi alzai di scatto e provai a sorprenderlo placcandolo, ma lui si spostò di lato e lo mancai. Caddi a terra, questa volta sbattendo il braccio ferito. Quello era un dolore che non potevo non sentire. Urlai, la vista mi si annebbiò e temetti di svenire, ma scrollai la testa per reagire. Guardai indietro, era sopra di me.

– È inutile Patroclo, seguimi con le buone o sarò costretto a farti male. Non voglio farti male.
– E allora lasciami andare…
– No.

Raccolsi le mie ultime forze, mi rialzai e corsi via all’impazzata, senza meta. Sfioravo alberi e cespugli senza neanche guardare dove mettevo i piedi, era un miracolo che non inciampassi di nuovo e cadessi rovinosamente. Il mio unico pensiero era correre.

– Patroclo, non conosci il bosco. – Sentii Giacomo urlare dietro di me. – Fermati, non sai comunque dove scappare. Anche se non ti inseguissi, finirai solo per perderti.

Mi voltai all’indietro, non vedevo nessuno e la voce di Giacomo sembrava allontanarsi. Il cuore mi batteva rapidissimo, mulinavo le gambe talmente veloce che quasi non le sentivo più, respiravo così forte che i polmoni sembravano bruciare. Ma non potevo fermarmi. Sempre avanti, e ancora, e ancora. Ma quanto potevo continuare di quel passo? Vidi una grande quercia oltre la quale il bosco sembrava diradarsi. Se fossi stato fortunato avrei incontrato dei campi, un sentiero, magari una casa. Decisi che quella luce era la mia meta, la mia salvezza, ignorai i segnali del mio corpo e se possibile aumentai ancora la mia andatura.

– Patroclo, non ti succederà niente.

La voce di Giacomo era ancora più lontana. Arrivai alla quercia e non rallentai. Sempre avanti. Sentii mancarmi il terreno sotto i piedi.

Caddi in acqua.

Non era certo definibile un laghetto, era poco più di una pozzanghera verde e limacciosa; in autunno, probabilmente, le piogge innalzavano il livello dell’acqua che riempiva completamente la buca fino alla quercia dietro di me. In qualche modo mi tirai su: ero completamente ricoperto di fango dalla testa ai piedi. La caduta mi aveva fatto perdere lo slancio dell’adrenalina, e ora era rimasta solo la paura. Mi sentivo completamente svuotato delle mie forze, continuai ad avanzare lentamente, per inerzia, strascicando le gambe finché non fui fuori dalla pozzanghera. Pochi metri dopo il bosco ricominciava, infinito. Avrei voluto solo stendermi lì, nel fango secco, e attendere che Giacomo mi raggiungesse. Guardai indietro, aspettandomi di vederlo appoggiato al tronco della quercia, a ridere prendendosi gioco di me, a dirmi che ero patetico. Ma lui non c’era. C’era un enorme cinghiale bianco.

– No, no, no, NO!

Mi girai ancora e corsi via, o almeno ci provai. Arrancavo, zoppicavo, mettevo un piede di fronte all’altro. Avanzavo lentissimamente, sicuro che non sarei riuscito ad arrivare da nessuna parte. Ma non sentivo passi dietro di me. Non sentivo gli zoccoli del cinghiale correre nella mia direzione, non sentivo lo strepitio dei corvi sopra di me, non sentivo neppure le urla di Giacomo che mi diceva che fuggire era inutile. C’erano solo i battiti del mio cuore, il mio respiro sempre più pesante, il rumore dei miei passi. Forse non mi stavano più inseguendo? In qualche modo recuperai la speranza. Avanti, avanti, sempre avanti senza pensare al dolore che provavo ormai in tutto il corpo, alla sete, a perché stava succedendo tutto questo. Non mi chiesi mai perché, mi limitai ad accettare il tutto come vero ed inevitabile, almeno quel giorno. Un passo dopo l’altro, e poi un altro e un altro ancora, con il braccio buono a spostare rami, incurante dei graffi sulla pelle.

Finché incrociai un sentiero.

Sembrava un vero sentiero, non una pista per animali a malapena riconoscibile, ma uno di quelli dove le persone transitavano più o meno regolarmente. Non era dissestato, stretto, invaso dalla vegetazione. Era abbastanza largo perché ci potesse passare un’automobile, ma non c’erano segni di gomme, quindi non poteva essere un percorso utilizzato dai fuoristrada dei cacciatori: doveva portare in un luogo frequentato tipo una casa, o un orto. Forse ero vicino a una vera strada. Guardai a destra ed a sinistra, ma non riuscii a vedere segnali che mi portassero a pensare che una direzione era meglio dell’altra. Se fossi stato sicuro di aver sempre proceduto diritto forse avrei potuto farmi un’idea di dove ero, ma prima la caduta, poi la fuga e la confusione mi avevano fatto perdere il senso dell’orientamento. Potevo anche aver girato in tondo fino a un minuto prima, per quanto ne sapevo. Guardai il mio braccio buono, il destro. Tanto valeva andare in quella direzione.

– Ok Patroclo… un ultimo sforzo. Ce la puoi fare… Ce la posso fare… Ancora pochi metri e troverai una casa… un telefono… qualcuno che ti può aiutare… sarà stato solo un brutto incubo dal quale è ora di svegliarsi…

Sussurravo a me stesso per farmi coraggio, tra un respiro e l’altro. Pregai davvero che mancassero solo pochi metri, poche curve, perché sentivo di non farcela più. Ma anche solo l’idea di svenire in un sentiero invece che tra gli alberi era in qualche modo confortante. Qualcuno avrebbe potuto passare di lì presto e raccogliermi prima che fosse troppo tardi. O anche se fossi morto di fatica, qualcuno avrebbe trovato il mio cadavere e l’avrebbe riportato alla mia famiglia. La mia sorte non sarebbe stata un mistero, la polizia non avrebbe cercato inutilmente per chissà quanto tempo e almeno tutti si sarebbero messi l’animo in pace.

– Solo fino a quella curva… potrai riportarti più avanti… ti offriranno un bicchiere d’acqua… o di succo di frutta… troverai delle persone che penseranno a tutto… si prenderanno cura di te…

Il sentiero si allargò davvero. Forse qualcuno ascoltava le mie preghiere. Quella che mi trovai di fronte non era certo definibile una casa, ma era sicuramente più solida e ben costruita del casotto dei cacciatori che avevamo trovato con Giacomo. Era una capanna completamente di legno, sembrava avere mura solide e un tetto dal quale neanche la pioggia battente sarebbe riuscita ad entrare. La porta in legno era chiusa, la finestra sbarrata con delle assi, ma era utilizzata. Davanti c’erano i resti di un fuoco recente e altra legna da ardere pronta per essere usata. Appesi a un ramo poco più dietro c’erano alcuni vestiti. Una maglietta, dei pantaloncini corti, dei calzini. Pregai che ci fosse qualcuno, ma anche se così non fosse stato avrei potuto nascondermi lì dentro fino al loro arrivo. Zoppicai verso la porta e bussai disperatamente.

– Aiuto! Aiuto! C’è qualcuno? Aiutatemi!

Nessuna voce rispose, ma sentii dei movimenti all’interno. Feci un passo indietro ed attesi, pieno di speranza. La porta si aprì.

– Tu sei… Patroclo? Non mi aspettavo di vederti qui. Non da solo. – Mi disse Amina, sorridendo.

 

CONTINUA…

 

Michele Borgogni


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