– .. devo solo capire cose devo fare con te.
Il mostro mi sovrastava, e io trovai il coraggio di alzare lo sguardo per guardarlo davvero per la prima volta. Era umano, ma in lui c’era anche qualcosa di animalesco, di primordiale. Non era solo per la corporatura massiccia, per la grossa testa squadrata o per il pelo sul petto nudo e sulle braccia, no, c’era qualcosa di più. Era come se emanasse un odore di selvatico che non era possibile percepire con le narici, ma solo con un senso ormai dimenticato. Alzò una mano grossa come una racchetta da tennis e la avvicinò verso di me. Chiusi gli occhi pensando che mi avrebbe colpito, ma si limitò a spostarmi i capelli dalla fronte.
– Guardami negli occhi, ragazzino. Impara a farlo. Se sarai ancora vivo dopo questa giornata, riuscire a mantenere gli occhi aperti, anche quando il colpo sta per arrivare, potrà tornarti utile. Quantomeno per evitarne uno successivo. – Nonostante l’aspetto ferino la sua parlata era perfetta, senza neanche l’accento marcato degli abitanti del paese. – Hai paura, ragazzino? Ti chiami Patroclo, vero?
Riuscii solo a fare cenno di sì con la testa.
– Pensi che sia malvagio, non è vero ragazzino? Pensi che tutto questo stia succedendo perché sono pazzo, non ho una morale, perché non ho Dio, forse. Cazzate. Mi sto solo riprendendo ciò che è mio. Ciò che vi eravate dimenticati fosse mio. È stata la vostra mancanza ad offendermi, a risvegliarmi, e quello che non sapete è che ancora qualcuno ricorda. Qualcuno di vecchio, ma anche qualcuno di giovane, che potreste anche pensare non mi abbia mai conosciuto. – Si avvicinò ad Amina e le accarezzò una guancia. Fu come se l’estasi fosse apparsa nel suo sguardo. – Qualcuno ricorda. Ma tra poco sarete tutti costretti a ricordare. Perché il bosco ha ancora fame.
Fece due passi indietro. Guardò me, guardò Amina, aprì le braccia come a comunicarci qualcosa. Non ci muovemmo. La pioggia sembrò aumentare d’intensità, ma lui non ci badava. Non sentiva l’acqua e il vento freddo sulla pelle nuda, ci fissava coi suoi occhi neri come la pece.
– Disse semplicemente.
– Cosa? Lui… – cercò di intervenire Amina. Io ero sorpreso, paralizzato, ormai più che paura era come se assistessi a qualcosa di talmente alieno da farmi pensare che non stesse accadendo davvero davanti ai miei occhi.
– Lui è già caduto una volta, e si è rialzato. Forse è più forte di quanto pensi, o forse è solo fortunato. Ma il bosco ha ancora fame. Forse ha fame di te.
– No! No! Lui è venuto a cercarmi… a cercarti! Io ti servo… io ho scelto di ricordare…
– Ricordi? Bene. Ricorda quello che so fare, e ricorda ciò che guida le mie parole e le mie azioni.
Un fulmine cadde vicinissimo. Il tuono che ne seguì ci fece sobbalzare. La pioggia aumentò ancora di intensità, ormai non si vedeva a più di cinque metri. Feci un passo indietro e toccai con il tallone l’orlo del precipizio. Mancava così poco… dovevo tornare avanti. Era così difficile muovere un solo passo, ma ce la feci. Mi mossi verso Amina. Un solo passo, e alzai un braccio tremante verso di lei.
– Guardalo, l’agnello sacrificale! – Il mostro rise con voce tonante. – Vuole lottare! E tu sei pronta a lottare? O hai paura di lui? Paura di un agnellino ferito…
– No! – Riuscii finalmente a parlare prima che Amina potesse rispondere.
– Cosa?
– No! Io non… non voglio lottare contro di te Amina… Io… non posso.
– Allora sembra proprio che sarai tu a morire.
– Amina ti prego… lottiamo contro di lui. Siamo in due, lui è solo. Aiutami. O scappiamo, tu da una parte e io dall’altra. Non potrà inseguirci entrambi, uno dei due riuscirà a tornare in paese e potremo dire a tutti che…
– Non solo l’agnellino vuole lottare, vuole anche diventare lupo! Forse persino lui comincia a ricordare, anche se non se ne rende conto. Provate a scappare, se volete. Tu lo sai, Amina, che non avrò neanche bisogno di rincorrervi. Alla fine il bosco prende sempre ciò che vuole… – Amina corse verso di me e provò ad afferrarmi, urlando piena di rabbia. La evitai a malapena, scivolando a terra vicinissimo al mostro. – Ecco, sapevo che non mi avresti delusa. Lottate, finalmente!
Cercai di gattonare via, malgrado il dolore al braccio. Sentii un calcio sul mio costato. Il piede nudo di Amina mi tolse il respiro. Mi accasciai a terra su un fianco, cercando di riprendere fiato.
– Sei tu il sacrificio di cui ha bisogno! – Provò a prendermi per un piede e a trascinarmi verso il dirupo. Scivolavo nel fango, non riuscivo a trovare niente a cui aggrapparmi per fare resistenza, così mi divincolai meglio che potevo. Amina rimase con la mia scarpa in mano, mi guardò e me la lanciò, mancandomi il viso di pochi centimetri.
Mi si gettò addosso, urlandomi improperi e bestemmie irripetibili. Mi colpì con pugni, schiaffi, graffi, come una gatta che sente il suo territorio in pericolo. Cercai di difendermi un po’ alla cieca, proteggendo il viso. Dovevo reagire. Sentii qualcosa di solido accanto a me, allungai l’unica mano buona e strinsi. Era la mia scarpa. Sferrai il colpo e la presi sulla mascella. Lei barcollò, e cadde lateralmente. Riuscii a levarmela da sopra. Mi rialzai, ma lei fece lo stesso.
– Stupido segaiolo bastardo! – Mi urlò. Del sangue le colava dalla bocca, il resto del suo corpo era coperto di fango, fin sopra i capelli. Io non dovevo offrire uno spettacolo migliore.
Si gettò di nuovo verso di me, e ancora la evitai per pochi millimetri. Stavolta non caddi, ma ero davvero troppo vicino al vuoto. Sarebbe bastata una piccola spinta e… Forse la mia unica speranza era attirarla verso di me e provare a sfruttare il suo slancio per farla cadere. Ma era troppo rischioso, anche se il pian fosse riuscito se solo mi avesse sfiorato avrebbe potuto trascinarmi giù con sè. Cercai di passare io all’attacco.
– Ecco, così si fa! Siete due lupi, adesso! – Urlò l’uomo mentre correvo verso Amina, provando a colpirla con una carica. Stavo ringhiando, senza quasi rendermene conto.
– Lui non è un lupo!
Amina riuscì ad evitarmi piuttosto facilmente. Ero troppo debole, stanco e ferito. Anche in un giorno normale lei forse sarebbe stata più forte di me. In quel contesto, semplicemente non c’era paragone. Mi prese per il braccio ferito e lo tirò. Urlai di dolore. In qualche modo riuscii a farle lasciare la presa, ma caddi a sedere.
– Aiuto! Aiutatemi! – Urlai disperatamente, anche se consapevole che nessuno mi avrebbe udito.
– I lupi non chiedono aiuto! – Gridò Amina, e mi colpì con un calcio sulla spalla.
– Ferma! No… aiu… – Sferrò un altro calcio, e istintivamente cercai di proteggermi con il braccio dolorante. Sentii il crack di qualcosa che si rompeva, e gridai più forte di quanto non avessi mai fatto in vita mia.
Qualcosa passò sopra la mia testa ringhiando. Amina fece un passo indietro, sorpresa dall’attacco inaspettato. Era Ercole, il mio cane. Mi aveva ritrovato, e ora attaccava cercando di difendermi. Non era certo un grosso cane feroce, ma in quel momento si era trasformato in una piccola furia pelosa. Si era lanciato su Amina e ora cercava di mordergli le caviglie. Lei si muoveva indietro cercando di evitarlo, sferrò un calcio e lo colpì. Il suo cai mi fece male quasi quanto il braccio rotto. Ercole cadde ansimando. Alzò lo sguardo cercando il mio, come a dirmi “scusa padrone, ci ho provato“. Amina si pulì il viso da sangue, fango e pioggia, e tornò a rivolgersi di nuovo verso di me.
Qualcosa emerse dal dirupo.
– Tu vieni con me!
Sporco, lacero, sanguinante, Giacomo si era arrampicato fino a dove eravamo, aveva afferrato Amina alle spalle e la stava trascinando indietro.
– Scusami Patroclo. Scusami. – Mi sussurrò, e in qualche modo la sua voce arrivò a me. Fece un passo indietro e si lasciò cadere, trascinando Amina con sè nel dirupo.
Un urlo di dolore, poi scese il silenzio più assoluto.
La pioggia si interruppe, il vento si calmò. Ercole rialzò la testa, riuscendo faticosamente a rimettersi in piedi.
Il mostro rise.
– Bene, a quanto pare il bosco ha avuto il suo sacrificio. E a quanto pare esiste ancora qualcosa in grado di sorprendermi. Sei stato fortunato, ragazzino, o forse nel tuo destino c’è qualcosa di più importante. Ma i nostri sentieri torneranno ad intrecciarsi in futuro, ne sono convinto. Non ti dimenticherai di me.
Si incamminò verso il bosco e sparì. Mi rialzai in piedi, e Ercole mi zoppicò vicino. Dal paese mi dividevano pochi chilometri, ma non sarebbero bastati per capire cosa era successo o anche solo per capire cosa avrei detto alla mia famiglia, a quelle di Giacomo ed Amina, alla Polizia.
Feci il primo passo, cercando di superare il dolore. Poi un altro passo, senza voltarmi verso il crepaccio, senza neanche andare a controllare cosa c’era di sotto.
Tornò anche il sole.
Non mi sono dimenticato di lui.
FINE
Michele Borgogni
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