INGANNEVOLI RICORDI
di Gabri Ella
Giaceva lì immobile, disteso a terra, il corpo sembrava rigido, non avevo il coraggio di toccarlo. Era morto! Così, senza un motivo, credo.
Mi guardavo intorno per capire cosa potesse essere successo, ma ero completamente frastornata. La casa era avvolta da un buio quasi assoluto, la luce fioca della luna entrava dalla minuscola finestra del bagno, ma non bastava a darmi l’orientamento. Eppure ero nella casa dove vivevo da qualche mese, avevamo scelto con cura ogni singolo mobile, ma nulla mi era familiare. E poi quel cadavere… avrei dovuto fare qualcosa, ma non sapevo cosa. Il corpo giaceva esanime con gli occhi spalancati che sembravano fissarmi.
Rumori in giardino! «Ecco, ho preso la pala!», Karl aprì la porta illuminando la stanza e mi venne incontro impugnando una pala; mi fissava stranito, sudato e terrorizzato. Fui colta da un attacco di panico. «Adesso penseranno che sia stata io! Cosa fai con quella pala?».
Camminavo avanti e indietro, cercando di capire cosa stesse succedendo. Come ci ero finita in quel casino? E perché Karl era lì? E Bakj dov’era? Perché non era con lui… Era un incubo!
Sì, pensai, tra poco mi sveglio, Francesco sarà vivo e mi porterà il solito caffè a letto e Karl e la sua pala saranno spariti da questa casa. Intanto i minuti passavano, si stava facendo l’alba ma Karl era ancora lì… e Francesco era morto! Sentii delle sirene e il terrore cupo mi assalì, il buio mi avvolse e caddi svenuta.
Mi svegliai come da un lungo sonno, la testa pesantissima, facevo fatica ad aprire gli occhi. Mi guardai attorno, sembrava la stanza di un ospedale. Dove mi trovavo? Perché non ero a casa mia? Dovevo alzarmi, vestirmi e fuggire, ma in quel preciso istante la porta si aprì ed entrarono due infermiere, chiusi gli occhi e feci finta di dormire.
Quella più vecchia fu la prima a parlare: «Ancora niente, non si sveglia. Sono ormai 72 ore che la teniamo sotto controllo. Ogni tanto fa un leggero mormorio ma nulla, forse ha degli incubi. Il dottore ha detto tassativamente che non dobbiamo svegliarla, il tutto deve avvenire in maniera naturale».
La ragazza più giovane rispose con una voce dolce e quasi sottovoce. «Beh, poverina! Dopo tutto quello che ha passato… sicuramente non vuole svegliarsi».
La vecchia parve infastidirsi notevolmente. «Dopo tutto quello che ha passato? Ma che dici? Ha fatto una strage, il marito morto avvelenato e quell’altro poveretto fatto a pezzi! Ho sentito dire che era irriconoscibile, la moglie l’ha riconosciuto dagli abiti. Perché secondo te i carabinieri la piantonano?».
«Sì, sì, era per dire, non volevo… è che ha un viso talmente angelico, mi sembra impossibile che abbia potuto commettere un’efferatezza di questa portata».
Ma di chi stavano parlando? Non mi sembrava di aver visto qualcuno nel letto accanto al mio. Possibile che ce l’avessero con me? Quindi Francesco era morto e lo avevo avvelenato io? Ma perché mai? Eravamo una coppia felice.
C’eravamo conosciuti tre anni fa a una festa, uno sguardo, lo scambio dei numeri di telefono, ore a chiacchierare e dopo qualche mese eravamo già andati a convivere. Tre anni trascorsi in assoluta armonia e condivisione. Io lo amavo, non avrei mai fatto una cosa del genere. Qualcuno però lo aveva ammazzato, questo è certo, ma chi era l’assassino e perché mi aveva risparmiata? Forse non ha fatto in tempo a uccidermi e ora mi stava cercando. Dovevo scappare e chiedere aiuto. Ma a chi?
Non appena le infermiere uscirono, mi guardai intorno alla ricerca di una via di fuga, cercai di alzarmi, ma mi girò la testa, ero debolissima. Aggrappandomi disperatamente alla sponda del letto mi misi in piedi, ma le gambe non mi sorreggevano. Come avrei fatto a scappare? Con tutte le forze possibili ci riprovai e, una volta in piedi, a piccoli passi mi avvicinai alla finestra e sbirciai fuori. Ero al secondo piano per cui quel varco come via di fuga era da scartare. Raggiunsi la porta, la socchiusi e scoprii che ero davvero piantonata, un carabiniere stazionava lì davanti, dandomi per fortuna le spalle. Chiusi la porta e in fretta e furia tornai a letto. La testa mi girava vorticosamente, i pensieri si affollavano. Se solo fossi riuscita a ricordare qualcosa… la debolezza prese il sopravvento e mi riaddormentai.
Fui svegliata da alcune voci fuori dalla porta. «No, questo non è possibile. La paziente deve assolutamente stare tranquilla, ha subito un forte stress emotivo».
Altre voci di uomini si sovrapposero, ma non ne comprendevo il significato. «Sì, capisco. Le assicuro che stiamo facendo il possibile e non appena ci sarà anche solo il minimo accenno di miglioramento sarà mia premura avvisarla. Al momento anche se la facessi entrare non potrebbe comunque parlarle, è completamente muta».
La porta si aprì e un uomo in camice si avvicinò. «Buongiorno Paola, come stiamo oggi? È assolutamente necessario che lei parli con noi, se mi capisce faccia un segno con la testa».
Lo fissai senza proferire parola. Ero sveglia, ma avevo bisogno di guarire, riacquistare le forze per fuggire. Approfittai della notte per rimettermi in forma, non appena le infermiere passavano per l’ultimo giro di controllo, mi dedicavo al mio corpo, piegamenti a tutta forza. La prima volta riuscii a farne solo uno, i dolori erano insopportabili. Poi, man mano che le notti passavano, ne feci due, cinque, dieci, trenta.
Sapevo che le infermiere lasciavano di proposito i giornali per me, avevo sentito le disposizioni del medico. «Lasciatele i giornali che parlano della strage vicino a letto, voglio che la paziente li legga e abbia una reazione, magari farà domande e uscirà da questo mutismo. Li abbiamo preparati apposta».
E in effetti quei giornali li avevo letti, ma parlavano di una storia incredibile, una vicenda agghiacciante: “Dopo aver avvelenato il marito, in data 29 Settembre, con l’aiuto dell’amico per spartirsi il premio dell’assicurazione, ha ucciso anche il complice. Gli inquirenti parlano di una scena del crimine mai vista, un corpo completamente mutilato probabilmente con un’ascia, brandelli di carne sparsi per la casa, sangue dappertutto…”.
Non ebbi il coraggio di continuare la lettura. Feci i miei 60 piegamenti con un unico pensiero: capire cosa fosse realmente successo. Ma per farlo dovevo fuggire, non potevo finire in carcere.
E finalmente arrivò il giorno della fuga.
Avevo sentito le infermiere dire che i miei parenti sarebbero venuti a trovarmi, non avevo il coraggio di affrontarli, prima dovevo capire cosa fosse successo e chi avesse ucciso Francesco. Dovevo trovare quel maledetto assassino. Aprii l’armadio, un paio di jeans, una maglia e le scarpe, c’era anche il mio zainetto nero, menomale! Non avrei potuto usare il bancomat o la carta di credito, ma trovai 1000 Euro in contanti. Di chi erano quelle banconote? Non portavo mai soldi in contanti. Poco male dato che mi sarebbero sicuramente serviti. Aprii delicatamente la finestra, ma il cigolio dei cardini arrugginiti mi fece sobbalzare e pensai che mi avrebbero scoperta. Trattenni il fiato e sentii dei passi avvicinarsi, sempre più vicini. Mi avevano già scoperta? Poi il silenzio, un silenzio assoluto. Aspettai ancora qualche secondo e poi spalancai la finestra, fuori non c’era nessuno, era il mio momento. Salii sul davanzale e iniziai la discesa verso la libertà. Mai avrei immaginato di dover fare una cosa del genere.
L’edificio doveva essere antico, forse del quattrocento, il rivestimento in bugnato e la facciata traforata mi permettevano la discesa lungo il muro. “Giuro che se esco viva da ‘sta cosa mi dedicherò al climbing”, pensai rincuorandomi del fatto che malgrado tutto non avevo perso l’ironia. Con un balzo toccai terra e iniziai a correre. Il cuore batteva talmente forte da rischiare un attacco cardiaco, mi trovavo in una via buia, le insegne di un bar rischiaravano appena la strada, un gatto uscì da un bidone della spazzatura facendomi trasalire. “Maledetto, ho sempre odiato i gatti”.
Continuai a camminare dirigendomi verso la stazione centrale di Catania. Il primo treno sarebbe partito per Roma tra 10 minuti. In una città grande e piena di turisti sarei passata inosservata e avrei potuto dedicarmi con calma a elaborare un piano.
Trovai posto in un vagone completamente vuoto, mi sedetti e cominciai a pensare, a riflettere, cercando di ricordare. Non avevo perso veramente la memoria, ricordavo il mio nome, Paola, avevo 43 anni, ero sposata e non avevo figli, i miei genitori erano vivi e avevo un fratello e una sorella, entrambi sposati, la mia migliore amica si chiamava Bakj, l’avrei chiamata appena arrivata a Roma. No, non avrei potuto farlo, mi ero scordata di Karl, il marito di Bakj, e secondo gli inquirenti avevo ucciso anche lui.
La stanchezza cominciava a farsi sentire, ma dovevo cercare di ricordare. Avevo delle immagini sfuocate che andavano e venivano, una tavola apparecchiata, i calici di vino mezzo pieni, io e Francesco seduti vicino, sorridenti, che conversavamo amabilmente, poi… una sensazione di malessere, di profondo disturbo, un disagio e uno sconforto infinito e infine un’inspiegabile rabbia smisurata, un’ira infrenabile che partiva dal profondo delle viscere e saliva violentemente in tutto il corpo. Non c’erano più immagini nella mia mente, solo vivide sensazioni.
I confusi ricordi mi procurarono tremori convulsi, iniziai a singhiozzare disperatamente. Poi mi calmai e mi riaddormentai e dopo diverse ore arrivai a Roma.
Cercai immediatamente un hotel di quelli a ore in zona Termini. Lì avrei potuto prendere una camera senza lasciare i documenti, avrei pagato in contanti e non avrebbero fatto troppe domande. Il ragazzino in quella che doveva essere una reception non si stupì più di tanto quando gli chiesi una camera adagiando sul bancone 50 Euro.
«Non ho i documenti in questo momento».
«Va bene, quanto resta?».
«Qualche giorno».
«Sono 35 Euro a notte… da pagare subito».
Pagai due notti e mi recai nella stanza nr. 22. Era l’alba, mi buttai sul letto vestita e mi addormentati di colpo.
Dormii profondamente fino alle 8 del mattino, fortunatamente nessun incubo mi tormentò. Ora dovevo studiare un piano e capire cosa fosse veramente accaduto quella sera. Mi rendevo conto che da sola non avrei potuto fare nulla, avevo bisogno di aiuto. Dovevo trovare un esperto neurologo, uno psicologo, uno psichiatra o qualcosa del genere che mi aiutasse a ricordare. Ma lo dovevo trovare nel mercato nero dei medici. Ma esiste un mercato nero del genere? Pensai di chiedere al ragazzino della reception, ma al suo posto c’era un uomo. Mi sembrava poco raccomandabile, sulla cinquantina, con un vistoso tatuaggio di una Madonna sul braccio sinistro, la barba incolta, vestito con dei pantaloni sporchi e una maglia nera tutta unta. Mi avvicinai titubante.
«Mi scusi, ho una domanda».
Lui mi guardò dall’alto in basso. «Sei nova? T’hanno detto e regole? A stanza va lasciata pulita dopo ogni cliente e soprattutto gniente droga».
Mi aveva scambiata per una prostituta e mi poteva stare anche bene. «Va bene, ma avrei un’altra domanda: dove posso trovare un medico disposto a visite, diciamo extra, a visite che non per forza debbano essere annotate nel referto… non so se mi spiego?».
L’uomo mi fissò perplesso. «C’hai er cliente che sta male? Avevo detto gniente droghe!»
«No, no», lo rassicurai. «Ho bisogno di un medico per una cosa personale, possibilmente uno che sappia far ipnosi o cose del genere».
«Senti teso’, io guai nunne vojio. Ar massimo te posso da’ er nome de Madame Sybilla, fa oracoli e ‘ste cose de magia, ma so che p’a a giusta cifra fa anche magia nera e robe così».
Cosa c’entrasse l’ipnosi con la magia nera non lo so, ma mi feci dare quel numero.
Mi serviva un notebook per effettuare delle ricerche per conto mio, non potevo fare troppe domande in giro, davo troppo nell’occhio. Entrai da Euronics e con 229 Euro comprai un piccolo Acer da 15 pollici, più una scheda prepagata per accedere a Internet. I soldi andavano via come niente. Tornai in camera e iniziai a navigare, per prima cosa cercai informazioni riguardanti me stessa… Nulla! Come mai non avevano ancora dato l’allarme? Meglio così, avrei avuto più tempo. Mi lanciai su Google: “Ipnosi in nero, psichiatra in nero…”. Cavolo, non sapevo neanche cosa cercare! Non c’era nulla che facesse al caso mio. Allora cercai “Roma Madame Sybilla” e mi si aprì un mondo. Davvero la gente credeva a tutte queste stronzate? Questa fantomatica Madame pubblicizzava anche “Ipnosi per farlo innamorare”. Va be’, non era mia intenzione far innamorare nessuno, ma sempre di ipnosi si trattava, per cui decisi di provare. Mi segnai l’indirizzo e uscii dalla camera.
La via dove si trovava Madame Sybilla era a Trastevere, in un palazzo di via della Luce, al primo piano. Giunta lì, salii lentamente le scale, l’intero edificio era immerso in un silenzio irreale e nell’androne si percepiva uno strano odore dolciastro. Arrivata al pianerottolo notai che la porta era socchiusa, per cui entrai. Fui subito avvolta da un intenso odore d’incenso misto a cannella e cinnamomo. I colori di mobili e pareti erano sul rosso, con accenni di fucsia e giallo. Specchi ovunque e rumore di piccole campanelle e in sottofondo una melodiosa musica indiana. Mi sembrava di essere in un film o in un libro di fiabe, tipo Aladino. A un tratto entrò un donnone con un vestito frusciante dai mille colori che mi guardò intensamente.
«Ti stavo aspettando».
«E no, no! Si sbaglia! Mi ha dato il suo numero…».
«Tranquilla cara, è tutto a posto, tra poco starai meglio. Vieni e siediti qua».
La seguii senza ribellarmi più di tanto, del resto avevo bisogno di chiunque potesse aiutarmi, se aspettava qualcun altro peggio per lui. Entrammo in un’altra stanza completamente nera che profumava di zafferano e altre strane spezie. La luce fioca di una lampadina illuminava appena i muri su cui erano dipinti dei mostri, carcasse di animali con teste di uomo, bestie scannate, corpi sviscerati, insetti di tutte le specie, serpenti… Mi spaventai, ma non fu tanto la paura a togliermi il respiro quanto la sensazione di profonda ripugnanza e ribrezzo.
Madame Sybilla si avvicinò. «Non temere, cara, quelli sono i mostri che albergano nelle nostre anime».
È pazza, pensai, e io sono nel posto sbagliato. Non ebbi il tempo di dire che avevo deciso di andare via che mi fece stendere su un lettino e, non so perché, l’assecondai.
«Chiudi gli occhi e respira profondamente, sarai catapultata indietro nel tempo, in un’epoca in cui eri serena e pensavi di avere davanti una vita felice. Hai 33 anni e sei a una festa».
Era vero, mi ritrovai alla festa dei 30 anni di Laura, mi annoiavo da morire, sempre le solite persone e sempre i soliti discorsi.
A un tratto si avvicinò mio cugino: «Ciao, lui è Francesco, si è trasferito da poco a Milano e si sta annoiando a morte come te. Digli qualcosa».
Il solito stronzo, mi presentava costantemente uomini nella speranza che mi volessi accasare e mettere la testa a posto. Comunque questa volta ci aveva azzeccato, il tipo mi piaceva molto e dopo 2 Negroni e una piacevole chiacchierata mi vedevo già sposata con lui. Nei giorni successivi ci vedemmo tutti i giorni, dopo il lavoro cenavamo regolarmente insieme e guardavamo qualche film. La passione esplose subito. Era coltissimo e intelligente, affascinante, uno sguardo che penetrava, sapeva parlare benissimo, anche se con cadenza dialettale, e poi tutto in lui era esagerato. Ero proprio fortunata, dopo qualche settimana mi trasferii a casa sua. Le sue attenzioni nei miei riguardi mi facevano sentire speciale e inevitabilmente mi innamoravano ogni giorno di più. Una magia che durò tre anni, poi…
Iniziai ad agitarmi, e ad avere paura…
«Al mio 3, 2, 1 ti sveglierai. Ti sveglierai lentamente e non avrai paura».
E mi svegliai…però, niente, nessun progresso, non ricordavo nulla di quella sera maledetta.
«Senta, Madame, possiamo rifarlo?», le chiesi.
«Cara, non è una cosa che si può fare di nuovo subito. Devi essere paziente e i ricordi pian piano torneranno. Ci vediamo domani alla stessa ora».
«Sì, ma quanto mi costerà?». I soldi andavano via come niente.
«Non parliamo di soldi, poi si vedrà».
Uscendo da quella casa mi resi conto di avere fame. Entrai in una delle tante trattorie di Trastevere, e ordinai una “cacio e pepe”, e una minerale. Finito di mangiare tornai in camera e accesi il notebook, volevo scoprire il più possibile su quella maledetta sera. Iniziai le ricerche.
“Strage in provincia di Catania. Evade dall’ospedale la principale sospettata dell’efferato omicidio avvenuto in Via Falcone nelle scorse settimane. Amici e parenti esterrefatti: mai avremmo immaginato che fosse in grado di fare una cosa del genere. È sempre stata una persona dolce, gentile e pronta ad aiutare il prossimo. L’amavano tutti…”.
Nulla che già non sapessi. La cosa più scioccante fu la mia foto in bella mostra, ora chiunque avrebbe potuto riconoscermi. Tornai in strada e mi misi alla ricerca di un supermercato, l’Esselunga, perfetto! Acquistai un rasoio oltre a cibi e bevande che avrei consumato in albergo evitando così di farmi vedere in giro. Ritornata in camera mi diressi nel bagno, presi il rasoio e rasai a zero la mia folta capigliatura. Ero sempre stata orgogliosa dei miei capelli, lunghi e ricci, di un bellissimo color miele… Fanculo, Sarebbero ricresciuti. Poi di nuovo incollata al notebook fin quando gli occhi si chiusero per la stanchezza.
Ancora incubi.
La festa di Laura, Francesco che si avvicina e mi parla, ma appena muove le labbra dalla sua bocca escono larve, migliaia e migliaia di vermi disgustosi!
Mi sveglio di soprassalto, sono le 6 del mattino, mancano ancora 8 ore all’appuntamento con Madame Sybilla. Resto a letto e per calmarmi provo a ricordare momenti felici. Il giorno del matrimonio, i viaggi, le feste con amici… non sono poi così tanti.
Mi decido ad alzarmi, sono le 8. Addento qualche biscotto e accendo la TV cercando notizie su di me. Nulla anche su quel fronte. In Italia succedono talmente tante cose che ormai la notizia non sarà più interessante. Finalmente si fanno le 11 e decido di andare da Madame Sybilla, non posso aspettare ancora, è l’unica mia speranza.
Arrivo in Via Luce, tutto è esattamente come il giorno prima.
Madame mi fa accomodare nello stesso lettino. «Sapevo che saresti arrivata prima».
«Senta, io devo scoprire cosa è successo qualche sera fa… mio marito è morto, è stato ucciso, e dicono che sia io l’assassina. Anche il mio migliore amico è stato ammazzato, ma io so di non aver fatto una cosa del genere, mai avrei potuto fare del male all’uomo che amavo. Per cui devo scoprire cosa è successo… Ho paura anche per la mia vita e…». Sapevo di parlare in maniera disconnessa, ma cercavo disperatamente aiuto e non volevo impazzire.
«Schhhh… cara. Tranquilla, chiudi gli occhi e rilassati. Respira profondamente! Torniamo indietro di qualche settimana, a qualche giorno prima di quella sera. Torniamo al 23 Settembre…».
Finita la lezione in palestra tornai a casa. Da qualche tempo Francesco era strano, la nostra routine non era cambiata, ma avvertivo dei piccoli cambiamenti in lui, non riuscivo a spiegarmelo, era come un sesto senso che mi suggeriva di indagare e capire. Come al solito aveva già preparato la cena, feci la doccia e dopo essermi vestita lo raggiunsi. Ci sedemmo davanti a un buon spezzatino e all’immancabile calice di vino.
«Come va? Che hai fatto oggi?», chiesi.
«Il solito».
«Beh, il solito è un po’ poco».
Sbuffò e rimase in silenzio, fui pervasa da una tristezza infinita ma non avevo voglia di discutere, tutto mi stava sfuggendo di mano e sapevo che da lui non avrei avuto alcuna spiegazione. Era fatto così, anche quando le cose non andavano bene non parlava. Non provavo rabbia, ma solo tristezza, avrei indagato l’indomani. Di certo non avrei lasciato che gli eventi mi travolgessero senza far nulla. Andammo a dormire, abbracciati come sempre. L’indomani mattina, appena uscì per andare in palestra mi misi a cercare, senza sapere cosa. Cominciai con l’armadio, dentro ogni pantalone, ogni maglia, ogni cassetto… nulla! “Mi basta un piccolo indizio”, pensai, “solo un piccolo indizio”. Passai alla cucina, aprii cassetti e sportelli… ma cosa mai potevo trovare in una cucina? Proseguii per ore in maniera frenetica… ossessiva. Io lo conoscevo bene, qualunque cosa potesse nascondere non si sarebbe trovata in un posto convenzionale.
Il cellulare squillò, era un suo messaggio: “Passo da Luca ad aiutarlo a sistemare la macchina, torno per pranzo”. Aveva sempre qualcuno da aiutare, meglio per me, avrei avuto ancora un paio d’ore. Passai al suo computer, non mi era mai capitato di controllare il suo pc, anche il cellulare per me era un tabù, mai lo avrei sbirciato. Accesi il pc senza alcun problema, la solita password. Cominciai ad aprire cartelle a caso. Non ero una pazza ossessionata, sapevo che se cercavo avrei trovato qualcosa.
E così fu!
Il file era salvato in un raccoglitore dal nome “Esplosione”, non significava niente ma l’aprii lo stesso. Conteneva diversi file, uno m’incuriosì: “confusione.jpg”, l’aprii e restai sbigottita.
Era un selfie, un normalissimo selfie che però di normale non aveva nulla. Ritraeva Francesco con una tipa. Stetti a guadare quella foto per interminabili minuti, studiando ogni singolo pixel, un primo piano, due persone sorridenti. Chiusi il file e spensi il pc.
Cominciai a camminare per la casa come in trance, non capivo “cosa” avevo visto. Guardai l’orologio, erano le 12.55, Francesco sarebbe tornato da un momento all’altro, era abitudinario e puntualissimo, al massimo alle 12.59 sarebbe rientrato per sedersi a tavola come di consueto per le 13.00 in punto, come ogni santissimo giorno da tre anni a questa parte. Corsi in camera a cercare una chiavetta usb, volevo copiare l’intera cartella per poterla studiare con calma, e dovevo farlo prima che rientrasse. Sapevo di avere una chiavetta nuova…ma dove l’avevo messa? Nei cassetti, niente! Nell’armadietto dei documenti, niente! In camera, nel primo cassetto, sepolta da fogli… eccola! Corsi nel suo studio e riaccesi il PC, il monitor segnava le 12.57, “sbrigati, sbrigati!”. Trovai la cartella e iniziai a copiare, 12.58. Mancano 10 secondi, 9, 8… “Sbrigati, accidenti!”. Sentii la chiave entrare nella toppa.
«Amo’, dove sei?».
«Sono qua in cucina, ho messo l’acqua». File copiato!
Mangiammo come ogni giorno, come se per me non fosse successo niente, come se per lui non fosse successo niente. Noi donne siamo abilissime nel nascondere le emozioni e lui…
«Al mio battito di mani ti sveglierai… 3, 2, 1.» Clap!
Piangevo. Grosse lacrime mi rigavano le guance, mi sentivo stanca, infinitamente stanca.
«Hai bisogno di riposare, torna domani».
«Se mi lasciava ancora in ipnosi avrei scoperto finalmente qualcosa».
«No, non è così che funziona, rischiamo di compromettere definitivamente la memoria. L’ipnosi non è un gioco, devi avere pazienza».
Sconfortata uscii da quella casa con più dubbi di prima. Che diavolo era successo? Chi era la tipa in fotografia? Francesco mi tradiva? La foto di per sé non rilevava nulla, poteva essere un’amica, una conoscente, una collega… l’amante.
Tornata in camera accesi subito il notebook, ma non riuscivo a concentrarmi, ero spossata, debole, il mal di testa mi impediva di pensare in maniera costruttiva. Impossibile dormire, per cui mi alzai, mi rivestii e andai in bagno a lavarmi. L’immagine davanti allo specchio era orrenda, pallida, senza capelli e con i lineamenti contratti.
Decisi di tornare da Madame Sybilla, dovevo sapere subito la verità altrimenti sarei impazzita.
«Madame, mi deve ipnotizzare subito. Devo sapere ora, non posso aspettare fino a domani».
«Cara, sei troppo debole mentalmente e fisicamente, per cui…».
«Non mi interessa, pago 200 euro subito!” e li misi lì sul tavolo.
Madame non si fece pregare oltre, coricata sul lettino nella stanza nera attendevo di scoprire la verità. «Sprofonderai in un sonno profondo e tornerai indietro nel tempo…». Niente!
«Segui il mio dito a sinistra e destra, non pensare a nulla. Sei nella tua casa, è il 23 settembre 2017». Niente, non funzionava! A differenza delle altre volte non percepivo alcun senso di abbandono.
«Cara, non può funzionare, sei troppo stanca. La tua mente è un turbinio di pensieri, vai a riposare e torna tra qualche giorno, riposata».
«No, riprovi ancora la prego», piagnucolai.
«Ti ho detto che non funziona», rispose prendendomi la mano e invitandomi risolutamente a uscire nella fredda aria della notte.
Mi ritrovai in mezzo alla strada, frastornata. Piangevo delle mie disgrazie e non sapevo come uscirne. Cercai un fazzoletto nella borsa. Mettendo le mani nel taschino trovai una mazzo di chiavi, erano le chiavi di casa! Un’idea assurda mi balenò in mente, sarei tornata a casa mia e avrei cercato la chiavetta usb. Non sarei tornata dalla maga, avrei scoperto la verità ripercorrendo le stesse ricerche delle settimane scorse, prima che scoppiasse la tragedia. Per farlo, però, dovevo tornare in Sicilia.
Tornai in camera, erano le 5 del pomeriggio, decisi che sarei partita la mattina dopo in modo da arrivare a Catania in serata, poi avrei raggiunto casa nella notte senza che nessuno mi vedesse.
Passai il pomeriggio davanti alla TV a guardare quell’insulso programma su canale 5 che tanto disprezzavo. Non sopportavo le stupide smorfie della presentatrice e tantomeno il suo voler entrare a tutti i costi nella vita dei disgraziati. Ma questa volta la disgraziata ero io! Parlavano di me, mi dipingevano come una malata neurologica. I miei conoscenti, presenti in studio, parlavano tutti bene di me, neanche fossi morta. Nessuno si capacitava della strage e come contraddirli dato che la prima ero io a non capire. Intervistavano chiunque, la simpatica ragazza del panificio, la cassiera tutte unghie del supermercato, persino il marocchino a cui lasciavo sempre l’euro per il carrello. Tutti prodighi di complimenti, “Una donna gentile e sempre disponibile. Deve per forza essere impazzita”. C’era persino un famoso psichiatra che mi diagnosticava una specie di bipolarismo. Però tutti concordavano sul fatto che ero pericolosa. Pericolosa io?
Verso mezzanotte mi abbandonai a un sonno agitato, sicuramente pieno di incubi che fortunatamente si dissolsero nel risveglio. Raccolsi le mie cose e in fretta e furia partii alla volta dell’isola.
Arrivai a Catania verso le 22, in ritardo. Fuori dalla stazione trovai il pullman che mi portava al mio paese, per fortuna c’era pochissima gente e passai inosservata. Sarei arrivata dopo mezzanotte e l’ultimo tratto l’avrei fatto a piedi, prendendo vie secondarie, a quell’ora non avrei incontrato nessuno.
La casa era delimitata dal nastro bianco e rosso messo dai carabinieri, “Zona interdetta – Vietato l’accesso – Scena del crimine”. Non c’era nessuno, bene! Il mio più grande terrore era che fosse piantonata. Evidentemente nessuno pensava che fossi così pazza da tornarmene a casa.
Entrai col cuore in gola sovrastata da un turbinio inarrestabile di emozioni. Appena varcata la soglia fui sommersa dai ricordi, ma erano indistinguibili, come avvolti dalla nebbia, voci grida confuse… Li allontanai dalla mente, dovevo restare lucida e pensare solo a trovare la chiavetta, sperando che gli inquirenti non l’avessero già trovata e portata via insieme al pc che non vedevo sulla scrivania. Entrai in camera da letto e cercai la tracolla nera, frugai freneticamente nella borsa, doveva esserci per forza. E vi era!
Mentre stavo per uscire da casa, improvvisamente sentii passi e voci. Imprecando mi nascosi in bagno e aspettai. Qualcuno entrò dentro, dai passi erano più persone, si diressero prima in salotto, poi in cucina.
«Non capisco che senso abbia controllare questa casa abbandonata ogni santa notte. Chi vuoi che venga e a fare cosa?».
«Caputo, sono gli ordini del Maresciallo e li dobbiamo eseguire».
Dopo qualche minuto uscirono sbattendo la porta. Ero rigida e impietrita, c’era mancato davvero poco…
Decisi che era meglio tornare subito a Catania, il paesello era troppo piccolo per passare inosservata, ma era impossibile farlo prima delle 4 del mattino dato che non sarebbe passato nessun pullman. Erano appena passate le 2 per cui avrei dovuto attendere qualche ora. Pazienza, mi sedetti su una panchina e aspettai. La chiavetta bruciava nella mia borsa, non potevo aspettare, presi il notebook, lo accesi e la inserii.
La cartella era ancora là, “Esplosione”. Con mano tremante l’aprii, anche “turbamento.jpg” era ancora là. Con mano incerta cliccai due volte sul file e rividi i due visi sorridenti che mi fissavano. Chi diavolo era quella donna? Chiusi la foto e passai oltre. Aprii un altro file, si trattava di un documento word con una serie di numeri e codici insignificanti, nulla aveva senso.
Passai oltre, “assicurazione.pdf.”. Cos’era? Scoprii trattarsi di un’assicurazione sulla vita di 2 milioni di euro stipulata a nome mio e di Francesco. Non ricordavo che avessimo fatto qualche assicurazione. La polizza ci assicurava anche in caso di morte violenta e suicidio. Restai imbambolata, alcune tessere cominciavano a tornare al loro posto.
Un forte mal di testa mi tolse il respiro, dovevo sforzarmi per ricordare, ma le tempie mi pulsavano e mi veniva da vomitare. Chiusi tutto, era necessario fermarmi un po’ e ripensare a tutto con mente fredda. Guardai l’orologio, l’autobus sarebbe arrivato a momenti. Per fortuna era vuoto, l’autista mi guardò con sospetto ma non disse nulla.
Ero irriconoscibile.
Arrivai alla stazione di Catania all’alba, dritta nel bagno fatiscente, sporco e puzzolente. Puzzava di piscio ma non era frequentato. Non potevo restare in stazione, troppe telecamere, troppi militari, avrebbero potuto fermarmi, chiedermi i documenti e fottermi. Dovevo cercare un posto tranquillo dove nascondermi. Mi venne un’idea, accesi il notebook e su subito.it cercai una casa vacanza.
In tutti questi anni io e Francesco avevamo sempre trovato la casa delle vacanze su quel sito, era settembre sarebbe costata pochissimo e poi i proprietari non chiedevano mai i documenti, solo i contanti in anticipo. Ne trovai una, tre giorni a 100 euro, perfetto! Avviai Skype e chiamai, mi rispose un uomo.
«Salve, ho letto il suo annuncio. Mio marito e io saremmo interessati a prenotare la sua casa da oggi per 3 notti».
«Sì, certo, la casa è libera da subito, ha visto le foto? È vicina al mare e…».
«Sì, sì, ho visto per noi è perfetta. Senta io verrei con il treno che parte tra qualche ora, mio marito dovrebbe raggiungermi stasera o domani». Meglio fargli credere che eravamo una coppia in cerca di qualche giorno romantico in riva al mare, piuttosto che una donna sola e disperata.
«Benissimo, se per lei va bene ci vediamo per mezzogiorno davanti alla casa: Via delle Rose 13».
«Va bene, a più tardi”».
Chiusi la chiamata euforica e mi recai a fare il biglietto per Acireale. Sarei comunque restata in zona.
La stazione pullulava di gente, pendolari stressati, studenti sorridenti, turisti spaesati, tutti si aggiravano avvolti da un vocio costante e fastidioso. Dovevo stare molto attenta, ferma al binario 2 attendevo il treno.
«Che ce l’hai una sigaretta?». Sobbalzai, poi con aria indifferente ne detti una al barbone e ne accesi una per me. La nicotina mi arrivò dritta al cervello, mi sentii girare la testa e un senso di nausea mi fece traballare, ma era buona e dopo un po’ mi sentii appagata.
Il treno arrivò e questa volta mi dovetti sedere in un vagone affollato. La signora accanto a me aveva in braccio una bimba, antipatica, smorfiosa e insopportabile che non stava zitta un attimo.
«Ci conosciamo?», mi chiese la mamma.
«Mi sembra difficile, non sono di qua».
«Eppure mi pare di averla vista o di conoscerla».
Il cuore mi batteva all’impazzata, ero convinta che tra poco si sarebbe messa a urlare. “È lei! È l’assassina!”
«Devo scendere alla prossima fermata, buona giornata», farfugliai e a passo spedito cambiai vagone.
Restai in piedi continuando a guardare avanti e indietro aspettando che da un momento all’altro il controllore venisse ad arrestarmi.
Dopo 15 interminabili minuti arrivammo alla stazione di Acireale, scesi correndo, sentivo del trambusto dietro di me o forse lo immaginavo soltanto, ma io correvo senza voltarmi indietro.
Arrivai in Via delle Rose 13, mancava ancora mezz’ora, ma l’uomo era già là.
«Salve, anche lei in anticipo. Ho pensato di venire prima a fare arieggiare, venga, venga che le mostro la casa».
Facemmo il giro turistico, ma non mi interessava, volevo solo che prendesse i soldi e andasse via.
«Non ha bagagli?».
«Porta tutto mio marito, lui deve ancora lavorare e io volevo godermi mezza giornata di mare».
Gli diedi i soldi e, dopo qualche altro inutile convenevole, finalmente andò via.
Misi subito a caricare il notebook, ero totalmente a pezzi, poi andai in giardino e decisi di riposarmi un’oretta, ero sveglia da quasi 24 ore…
E così eccomi qui, è notte fonda…
Mi sento prendere per una gamba e trascinare con forza, una forza orribile. Urlo, cerco di liberarmi, ma è più forte di me. Mi trascina sempre più verso di sé, una forza sovrumana che mi sovrasta. Lo accoltello! Sangue, sangue dappertutto, la lama che penetra nelle carni, la estraggo e con potente soddisfazione colpisco ancora.
Mi sveglio di soprassalto. Ancora un incubo, sono in un bagno di sudore. Decido di farmi una doccia veloce per poi riprendere le mie ricerche. Questa volta decido di procedere con calma scartando i due file già visti: esplosione e assicurazione. È chiaro che l’assicurazione c’entra qualcosa, riapro il file con i codici, ma non ci capisco niente, numeri, centinaia di numeri senza senso…
Passano le ore e sono ancora a un punto fermo. Decido di sedermi un po’ in terrazza e godere della splendida vista, accanto al lettino da sole c’è un tavolo con le parole crociate e la penna, decido di farne qualcuno, sono sempre stata appassionata. Mentre sono lì a decifrare uno dei tanti rebus, capisco tutto! Quei numeri sono un rebus! Un rebus da risolvere. Corro in cucina davanti al notebook, riapro il file e inizio a sostituire ai numeri le lettere. 1 = A, 2 = B, ecc. Semplice! Quando completo l’opera, leggo esterrefatta la frase formatasi:
“Mio dolce amore, è giunta l’ora. Questa notte si compirà il mio e il tuo destino. Ti prometto che lei avrà una morte dolce e indolore. Mi è sempre stata vicina, come la migliore delle mogli, ma è arrivato il momento di chiudere questa parte della mia vita e aprirne una nuova, insieme”.
Rapita da un vortice di odio e stupore apro il quarto file: “lista di veleni che provocano la morte immediata”. Resto impietrita e chiudo immediatamente tutto. Un dolore lancinante mi attraversa il corpo, mi voleva uccidere, lui voleva uccidere me, invece io mi sono salvata ed è morto lui! Sì, è così che è andata, maledetto! Finalmente capisco tutto, quel traditore aveva escogitato un piano per ammazzarmi e Karl doveva seppellirmi. Poi si sarebbero divisi la somma dell’assicurazione. Francesco si era innamorato di un’altra donna, ma io avevo scoperto le dolci sensazioni che provava e addirittura quanto gli venisse difficile lasciare quella moglie così dolce e affettuosa che tanto lo aveva amato e che, anche nei momenti più difficili, gli era stata sempre vicino, devota e fedele. Diabolicamente aveva stipulato un’assicurazione a nostro nome, ma io, non so ancora come, sconvolsi i suoi piani.
Non c’è dubbio, è andata sicuramente così. Piango, mi dispero, urlo, giro come una pazza per tutte le stanze, piango e urlo ancora. Forse per la disperazione di essere stata tradita, o per la fine tragica del mio amore, o ancora per la consapevolezza che non era necessario fuggire, forse…
Accidenti, non ricordo nulla, ma so che è andata così. Mi sarò dovuta difendere, è stata legittima difesa, vostro onore! Il quadro è chiaro, ora devo recarmi dai carabinieri e raccontare tutto. Ma prima devo ricordarmi la dinamica della tragedia.
Inizio a cercare su Google tutto ciò che riguarda la perdita di memoria, amnesia dissociativa causata da un forte trauma, i medici consigliano la terapia d’urto, tornare nei luoghi fonte dello stress e dello shock. E va bene, tanto ci volevo tornare in quella casa.
Esco immediatamente, il mio paese dista appena 20 Km, la fermata dell’autobus è proprio davanti all’ingresso, adesso non ho paura. Se mi fermano potrò raccontare la verità, mi sono solo difesa da colui che aveva architettato un piano per uccidermi, nella pennetta ci sono le prove inoppugnabili. Lo potete vedere tutti, Francesco ha approfittato del mio amore per uccidermi, bastardo, lurido cane!
Varco la soglia di casa, non vedo bene, sento un formicolio per tutto il corpo, una nebbia misteriosa mi avvolge completamente e mi sento mancare….
29 Settembre ore 20.00
«Amore la cena è pronta! Vado un attimo in bagno e torno».
Avevo apparecchiato con cura la tavola, tutto nei toni blu, il nostro colore preferito, i piatti erano pronti, costata e insalata, il suo piatto prediletto e anche il vino era già versato, un Barolo che mi era costato ben 80 euro. Feci finta di andare in bagno ma restai davanti all’uscio della cucina a osservare. Francesco mise le mani in tasca, si avvicinò al mio bicchiere e vi versò qualcosa. Aspettai ancora qualche secondo, poi rientrai in cucina. Prima di sedermi lo guardai con sguardo innocente.
«Amo’, ho dimenticato il pane in macchina, andresti a prenderlo?».
Lui mi guardò perplesso, ma non poté fare altro che prendere le chiavi e recarsi in macchina. Appena uscì, scambiai i bicchieri. Nel mio misi il curaro, un potente veleno che provoca morte apparente.
«Ecco, possiamo mangiare adesso?”, chiese rientrando e sedendosi a tavola.
«Certamente», risposi bevendo un sorso di vino. Lui mi fissò ma non bevve.
Il veleno fece effetto immediato. «Non mi sento bene».
«Cos’hai amore? Vuoi dell’acqua?».
Mi contorsi per gli spasimi e infine caddi a terra. Francesco si avvicinò per assicurarsi che fossi veramente esanime. “È morta”, pensò. Poi afferrò il telefono. «Puoi venire».
Trascinò il mio corpo a ridosso della parete e attese in silenzio. Quando il campanello suonò andò ad aprire.
«Ci hai messo un po’ di tempo».
Karl entrò e mi vide stesa a terra. «Un po’, mi dispiace».
«Ora vedi di muoverti se vuoi il denaro».
«Sei sicuro che sia la cosa migliore da fare? Non possiamo lasciarla lì? Penseranno che abbia avuto un infarto».
«Ma sei scemo? Caricala in macchina e falla sparire subito, eravamo d’accordo così, attieniti al piano. Io denuncerò la scomparsa tra un paio d’ore».
«Va bene, vado a prendere la pala in giardino».
Cominciai a svegliarmi, il veleno iniziava a mitigare il suo effetto, ed emisi piccoli mugolii. Francesco si girò di scatto incredulo, sbigottito. Rimase a fissarmi al di là del tavolo per diversi secondi, poi con un ghigno prese il suo bicchiere di vino e lo bevve tutto d’un sorso per darsi coraggio e terminare l’opera con le sue mani. Con un sorriso maligno e un coltello in mano si avvicinò per trafiggermi. Io gridai ma subito il suo corpo inerme mi crollò sopra, morto… per davvero.
Me lo scrollai di dosso e con la coda dell’occhio vidi Karl entrare. «Ecco, ho preso la pala!».
Nel vedere la scena rimase esterrefatto e incredulo, ma, superato lo shock, si scagliò contro di me brandendo la pala con una furia incredibile. Malgrado ancora intorpidita, riuscii a schivare il colpo e a strisciare in avanti cercando di raggiungere il coltello che si trovava a pochi metri.
«Dove credi di andare, brutta stronza!».
Mi sentii afferrare la gamba e una gragnola di pugni si abbatté su di me. Con tutta la forza che mi era rimasta gli infilai le dita negli occhi. Lui urlò di dolore e mi liberò dalla stretta permettendomi di riuscire a impugnare il coltello. Nel momento in cui mi afferrò saldamente per braccio, mi girai di scatto e affondai la lama nell’addome. Senza dargli tempo di riprendersi, gli montai sopra e continuai a colpire ancora e ancora e ancora… Poi il suono delle sirene in lontananza…
Mi sveglio completamente fuori di me.
Era un sogno o finalmente sono tornati i ricordi di quella sera maledetta? È andata in questo modo? No, sento che non è così… Non so spiegarmi questi ricordi, provo delle strane sensazioni, mi sforzo e cerco di ricordare ancora. Manca qualcosa!
Mi sovviene solo ora che la cartella conteneva anche altri file. Apro il notebook e comincio ad aprire un file dopo l’altro, un biglietto per le Antille a nome di una sconosciuta: Serena Mangiagalli. Chi cazzo è questa Serena? Altro file, apertura conto corrente sempre a nome di Serena Mangiagalli. Non capisco, deve essere il nome dell’amante. Mi sembra di impazzire, i ricordi si affacciano in maniera contorta e offuscata.
Vado in cucina, magari la vista della stanza del delitto dissiperà questo blocco psicologico che mi tormenta.
Entro, la stanza è perfettamente ordinata, si vede solo la sagoma di un corpo disegnata con il gessetto dagli investigatori, però non c’è alcuna traccia di sangue, nessuna indicazione che possa evidenziare un qualche omicidio violento. Dov’è finito il sangue di Karl? Mi accomodo al posto dove sedevo quella sera e, all’improvviso, come un fulmine a ciel sereno… sbam! Flashback!
«Amore la cena è pronta! Ho dimenticato il pane in macchina, andresti a prenderlo?».
Devo sbrigarmi, prendo il veleno dalla tasca dei jeans e lo verso nel suo bicchiere. Francesco torna, mi dà un bacio e si siede.
«Brindiamo», gli dico.
«A cosa?».
«A noi due e alla nostra splendida vita insieme!».
Lo guardo con occhi dolci e diabolici mentre beve il vino.
«Sei stato uno splendido marito, ti ho amato davvero! Peccato debba finire così presto».
Mi guarda con sguardo interrogativo e si accascia a terra, inerme. Vado in camera prendo la chiavetta e la inserisco nella sua tasca, contiene i seguenti file: la lettera d’amore codificata, la foto di Francesco con la tipa che avevamo conosciuto mesi fa in un agriturismo… la stipula dell’assicurazione.
8 Ottobre – Tg5
Si scopre di più sul delitto di Catania, la donna, soprannominata “la moglie perfetta” e di cui si sono perse le tracce, non sembra essere nuova a questi episodi. Gli inquirenti parlano addirittura di un serial killer, non sarebbe infatti la sua prima vittima.
In un primo momento si pensava che il marito avesse tutte le intenzioni di ucciderla per vivere la storia d’amore con l’amante e che avesse bevuto per sbaglio il vino, nel quale egli stesso aveva versato il veleno, ma dalle ricerche condotte finora non emergerebbe alcuna relazione tra il marito e la ragazza della foto. Pare sia stata una messa in scena architettata dalla moglie.
Sembra inoltre che l’assassina soffra di forti disturbi dissociativi, tanto che i medici la tenevano in cura prima che riuscisse a sfuggire. La donna è altamente pericolosa, vive e rivive delle situazioni modificando e cambiando i ricordi, cambia persino la realtà attuale, attribuendole valori e percezioni sui generis, singolari, irreali, improponibili, probabilmente ha subito forti traumi in passato.
La fotografia della fuggitiva è stata diffusa per tutta la nazione e la polizia raccomanda di fare molta attenzione: è una donna altamente pericolosa.
Pericolosa io? Spengo la tv, prendo il telo mare e scendo verso il bar.
«Signora Serena, buon pomeriggio, il solito?».
«Sì, un Negroni, grazie».
Sono in un bar sulla spiaggia, a 10.000 Km da Catania, accanto a me un uomo coltissimo, affascinante, superiore, ha uno sguardo che penetra e sa parlare benissimo.
Si chiama Karl e lo amo da impazzire.
Qui spero di ritrovare la pace e finalmente ricordare cosa veramente accadde quella sera.
Scoprirò anche se i miei sospetti su Karl sono veritieri. Ho il dubbio atroce che mi tradisca, devo assolutamente scoprire chi è quella donna con la quale è ritratto, abbracciato in una foto che ho scoperto sul suo cellulare. Un primo piano, due persone sorridenti.
Farò le mie indagini, ma non oggi, nel pomeriggio abbiamo appuntamento con l’assicuratore per una… polizza sulla vita.
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