RECENSIONE THE WALKING DEAD S08E03
Ed eccoci alla terza puntata dell’ottava stagione di “The Walking Dead”.
Gimple sta continuando a mettere le basi per portarci dove quest’anno ha deciso di condurre la sua serie.
E onestamente, a differenza della maggior parte dei fans, non credo che sia la guerra con Negan lo scopo della stagione. Non so dirvi perché esattamente, ma sta conducendo il “gioco” in modo diverso quest’anno rispetto agli altri anni.
Per esempio, non aveva mai messo vicine due puntate scritte da Negrete e Powell insieme, autori molto psicologici che giocano molto sulla mentalità dei personaggi principali ed i loro dubbi.
Così come Nicotero non aveva mai diretto una puntata così psicologica.
Il risultato è un mix interessante di sensi di colpa, più o meno marcati, tra ciò che va fatto in guerra ma che il tuo essere rifiuta in toto di dover fare ed azioni rapide ed incisive, tipiche di questo regista. Con Zombie che lasciano a bocca aperta per i particolari che Nicotero cura attentamente.
Come dice bene Morgan ad un certo punto “Non ho ragione. Ma questo non significa che stia sbagliando”. In questa frase c’è tutto ciò che questa puntata vuole dirci.
E Rick, che come sempre rappresenta noi esseri umani “medi” nella serie, si ritrova faccia a faccia con Morales, che gli dice che il vero mostro è lui e non Negan. Colui che lo ha salvato dal lasciarsi morire quando ha perso la sua famiglia.
E la cosa incredibile è che effettivamente non tutto ciò che dice è falso. Rick sa essere un “mostro”, se decide che serve alla sua gente. E lo abbiamo visto molte volte in passato diventarlo, senza se e senza ma.
Alla fine chi ha distrutto nel sonno un avamposto dei Saviours convinto di uccidere Negan, il nuovo avversario per il territorio, è stato lui, convincendo il suo gruppo che chi attacca per primo vince.
Questo è ciò che amo in assoluto di Rick, che non è certo il mio personaggio preferito della serie, ma che è umano come nessuno in essa.
Chi provvede a sistemare la questione è colui che invece ha deciso che per Negan and company ci può essere solo la morte, per arrivare alla sua vendetta ed alla pace per la sua gente: Daryl.
E lo dico apertamente, finalmente Daryl è uscito da quel periodo di crisi che lo ha contraddistinto in questi ultimi due anni. Non è certo il Daryl fratello di Merle in tutto e per tutto che abbiamo conosciuto nella prima stagione della serie, ma quando decide di andare in guerra ci va e basta, pur rimanendo il fedele braccio destro di Rick e al servizio della sua gente. E il suo modo di fare, bisogna ammetterlo, è l’unico che porta alla vittoria contro persone come Negan ed i suoi.
Riuscirà Rick a seguirlo fino in fondo per questa strada? In questa puntata ha mostrato cedimenti preoccupanti, per un capo così importante come lui.
Anche Morgan, che apparentemente aveva superato il suo periodo “pace e dialogo con tutti” senza fatica, si ritrova a dover fare i conti con sé stesso. Cos’è lui? Il soldato che uccide i nemici in nome della sua gente senza pietà, o il pacifista che ha duramente conquistato quella pace che aveva trovato?
In questo momento si trova sul ciglio di un burrone, come quando Rick lo aveva trovato dopo la morte del figlio. E magari stavolta si “salveranno a vicenda”, trovando tra loro un equilibrio che li renda sicuri di sé stessi e i veri capi che servono alla loro gente.
Vedremo anche che decisione prenderà Maggie. Salverà i prigionieri portati da Jesus? Si fiderà veramente di Gregory o vuole tenerselo vicino così da sapere esattamente cosa farà quella vipera in seno al gruppo?
Jesus rappresenta in questo momento la parte umana migliore di noi, ma è utile in guerra questa parte? Io la penso come Morgan e Daryl, ad essere onesta. Prima pensiamo a vincere ad ogni costo, e poi vedremo di sistemare le cose, se possibile. Ma l’imperativo per farlo è restare vivi e vegeti e gli uomini di Negan sono pericolosi anche quando non lo sembrano. Perché pensano solo a sé stessi e a quale parte conviene loro di più. Non puoi vedere onore in persone come loro. Ed ecco che Morgan “non ha ragione, ma non sbaglia”.
Ed ora anche Re Ezekiel, sotto lo sguardo materno ed indulgente di Carol che lo ha seguito finora, è entrato in contatto con la vera guerra. Non quella fittizia che credeva di poter controllare a suo uso e consumo. Ma quella sporca e sanguinosa e dolorosa. E anche lui dovrà fare i conti con sé stesso, se sopravvive all’agguato finale, ovvio.
Una menzione alla splendida scena finale di Aaron ed Eric. Quanto difficile deve essere stato per Aaron lasciar andare via Eric come Zombie? E quanto difficile sarebbe stato non farlo?
In una scena c’è tutta la crudeltà della guerra in “The Walking Dead”, oltre a morire qui la fine che si può fare è peggiore. Diventi coloro che hanno distrutto tutto ciò che amavi, non “sei più tu”, come dice bene Padre Gabriel ad Aaron di Eric.
Gli Zombie tornano ad essere “noi”, le persone che amavi, che stimavi e si torna a dover fare i conti con la scelta più difficile: li lascio così o li finisco definitivamente?
“Avete notato – ci dice Gimple – che alla fine di ogni battaglia c’è un unico vincitore? Coloro che hanno portato alla fine del mondo si ingrossano ancora e nei vivi rimane il dolore ed il senso di colpa o, peggio, la certezza di dover porre fine definitivamente alla vita di coloro che amano”.
Ecco perché non penso che la guerra con Negan sia il fine di Gimple questa stagione, ma un mezzo. E come sempre sarà un’altra volta un’immersione nella psiche umana nei suoi momenti peggiori e migliori. Là dove “The Walking Dead” eccelle da otto anni.
Un’ultima menzione va agli splendidi Zombie di Nicotero ed al suo modo di usarli perfettamente nelle scene d’azione convulse. Insieme a Jennyfer Lynch, dimostra sempre di essere il regista migliore di questa serie.
Antonella Cella
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