Vivere nuovamente
Il solito pomeriggio di maggio, con un cielo limpido, un leggero vento che non guasta mai e la solita luce di un sole che si appresta a salutare il mondo per poi ritornare.
La qualsiasi sera di maggio che si avvicina e porta con sé un tocco di malinconia o forse mica tanto malinconia, una sensazione diversa, più stimolante.
L’abituale mio letto che ha praticamente accompagnato la mia vita.
Ormai il sole non c’era più, però, come un dolce che viene portato via, ma lascia dietro di sé il suo profumo inconfondibile, così l’enorme sfera di fuoco lasciava comunque la sua luce, anche se ancora per poco.
La noia stava prendendo il sopravvento e, a dir la verità, cominciava ad urtarmi; avrei voluto uscire ma non sapevo con chi o per lo meno non sapevo con chi fosse il caso, e rimasi a rimuginare tra le coperte fresche, ben distese da mia madre e da me barbaramente scomposte.
Avevo una fame tremenda, mia madre se ne accorse, sorrise e mi chiese:
- Cosa vuoi mangiare stasera?
- Beh, ho abbastanza fame
- Sì me ne sono accorta
- Vorrei due uova fritte
- È rimasta della salsa
- Mhm, uova con la salsa!?
Con una prontezza sorprendente, uscì dal cassettone sottostante alla cucina una padella, versò la salsa rimasta a pranzo, poi prese dal frigo un sacchetto dal quale estrasse due uova fresche e le aprì sulla salsa: un odore buonissimo si diffuse per tutta la cucina ed io ne rimasi estasiato.
Mentre aspettavo, presi il cellulare ed entrai nel mio account di Facebook, accorgendomi che Gioia mi aveva contattato, quindi le mandai un sms chiedendole che progetti avesse per la serata. Una passeggiata fuori paese, con una ragazza, non poteva che farmi bene.
Non ricevetti risposta e provai a chiamarla. Ma non rispose.
Non ci feci molto caso e ritornai in cucina ad ammirare quella maga di mia madre mentre riusciva ad occuparsi di più faccende simultaneamente mentre io, cucinando anche solo un uovo fritto, non potevo permettermi di prendere una bevanda dal frigo perché avrei mandato tutto a puttane. Essere uomini in questo ambito, a volte, ha il suo peso.
Squillò il cellulare: era Gioia.
- Gioia… cercai di rispondere il più dolcemente possibile
- Ciao, con chi parlo?
- Sono sempre Alex, hai intenzione di salvarlo prima o poi il mio numero? – dissi scherzando
- Ehi Alex! Scusami, hai ragione!
- Che fai stasera?
- Non ho progetti veramente
- Se faccio una passeggiata nei tuoi dintorni, ti trovo?
- Certo che mi trovi, quanto tempo ti serve?
- Una buona mezz’ora. Devo mangiare, prepararmi e fare strada
- Allora fra un’oretta mi faccio trovare davanti al bar Sera
- Perfetto, un’ora e sono da te
La mia noia tremenda si era tramutata in una premura eccitante, così mi precipitai a tavola, divorai le tre uova che mia madre aveva preparato, le gustai e, dopo essere passato dal bagno per lavarmi, chiusi la porta alle mie spalle e mi diressi verso l’auto.
Una strana ma concreta forma di emozione sembrò riempirmi.
Entrai in auto, misi in moto e accesi lo stereo: la musica era spudoratamente commerciale ma cercai di prenderne il meglio.
Portando avanti il sedile, guardai gli specchietti e mi accorsi del solito particolare che riaccese la mia angoscia: la mia immagine, solo un po’ più chiara.
- Non è più nero… ma adesso sembra di color grigio
Un altro sms di Gioia mi riportò alla situazione e decisi di lasciar perdere, almeno per una sera, il mio problema esistenziale.
Mentre percorrevo lao strada, mi domandavo come sarebbe stato rivederla dopo tanti anni, se fosse ancora la Gioia che ricordavo, o più bella, o chissà, magari peggio: avevo solo un’idea fotografica di lei grazie al suo profilo di Facebook ma niente di più.
Procedevo lentamente sulla strada verso Trivoli, il paese in cui mi aspettava Gioia, ad una media di novanta chilometri orari, senza fretta ma con una certa frenesia.
Dopo pochi minuti, arrivato all’entrata del paese, scorsi una chiamata in arrivo:
- Alex! A che punto sei?
- Ehi Gioia, sono all’entrata del paese, due minuti e sono da te. Dove mi aspetti?
- Sempre al bar Sera
- Ah hai ragione. Comunque, due minuti e arrivo
Qualche via da attraversare, un breve rettilineo ed ecco il bar Sera, con la sua grande piazza, visibile già ad un centinaio di metri.
Cominciai a scrutare l’ambiente, cercando presenze femminili, ispezionai tutta la piazzola ma nulla.
Vidi una splendida ragazza e per un attimo, in modo imperdonabile, sperai di poter portare lei in macchina, ma quando appoggiò le sue labbra su quelle di un orso, mi passò la voglia e “ma che cazzo ci fai tu con quello lì?”
Nel frattempo, il sospetto irrazionale che Gioia mi avesse dato buca, mi assalì, ma a dimostrazione del fatto che fosse tutta una mia paranoia, la vidi arrivare:
media altezza, sorriso unico, abbigliamento casual e quei suoi tratti quasi orientali.
Mi riconobbe e si avvicinò all’auto, aprì lo sportello e si adagiò delicatamente sul sedile, dal quale, qualche istante prima, avevo rimosso chiavi e quant’altro avrebbe potuto schiacciare con il sedere. Chiuso lo sportello, mi guardò e sorrise:
- Non sei cambiato per niente
- Tu invece sei cambiata molto, in positivo ovviamente
- Ahahah grazie come va? non ci vediamo da una vita!
- Eh sì, hai ragione, comunque va tutto alla grande, e tu?
- Non mi lamento
- Wow! Ma senti, dove devo andare? La padrona di casa sei tu. Portami in un posto tranquillo
- Svolta per di là
Imboccai la traversa suggeritami e scomparimmo dal centro abitato.
Mentre ci avvicinavamo alla destinazione, che non conoscevo ancora, l’argomento cadde sulla musica.
Vi arrivammo. Era uno spiazzo invaso da natura incolta, un lampione giallo e qualche casa attorno.
Quando spensi l’auto, una voglia tremenda di sigaretta mi prese:
- Ti disturba se fumo?
- No figurati, è la tua auto!
- Pura cortesia
Non le diedi il tempo di cambiare idea che avevo già messo il tabacco sulla cartina e, dopo il solito lavoro di adattamento della forma, inserii il filtro e la chiusi: il solito capolavoro, l’accesi ed era fatta.
Mentre fumavo, Gioia cominciò a parlarmi del suo ex, della sua delusione, della sua concezione di vita riferita al Carpe Diem oraziano ed in un certo senso si trattava di un discorso in comune ma, ritornare indietro quando stai riuscendo ad andare avanti, dà sempre un po’ fastidio ed ascoltai la sua versione delle cose, devo ammetterlo, con irritazione.
Fin quando, mentre il discorso mi stava sfuggendo di mano, una frase mi colpì:
- Forse potrebbero essere cellule tumorali…
- Scusa? – chiesi allibito
- Sì… c’è la possibilità che io possa avere un tumore. Devo fare degli accertamenti. Però non ci penso, se deve succedere… succederà
Rimasi senza parole, ma non riuscivo a capire niente, forse per lo sgomento o per l’ammirazione…
La sua coerenza con il Cogliere l’attimo era stata in quella frase esageratamente lineare e questo era da ammirare: per lei non bisognava compromettere nemmeno un pezzo di vita.
Però, insomma, credo che nei confronti della vita stessa sia irrispettoso parlare con troppa leggerezza di un qualcosa che potrebbe distruggerla.
O forse, parliamoci chiaro, la invidiavo… perché io non sarei riuscito a farlo.
- Sta’ tranquilla, tutto si risolverà – fu l’unica frase che riuscii a pronunciare, per di più con poca sincerità perché non sapevo se si sarebbe effettivamente risolta anche se, ovviamente, ci speravo.
Dopo aver preso quell’argomento, Gioia non sembrò affatto scossa. Pensavo che qualche anno prima, dopo aver ricevuto un sms dalla mia ex in cui mi diceva chiaramente di volermi lasciare, mi sentivo distrutto, come se la mia vita fosse finita…
Dal suo modo di parlare, faceva trasparire un’indole “letteraria” che non mi era indifferente perché raramente riuscivo ad affrontare un discorso completo riguardo l’arte, la musica, i temi esistenziali e invece lei sembrava stare di pari passo con le mie considerazioni.
Ovviamente quando il discorso andava sempre più a fondo, la sua infantilità veniva fuori ed io prendevo quello stop previsto e compreso, con un sorriso, un modo per dire: dai, adesso non correre troppo.
Da ciò capivo e riflettevo su quanto fossi attento a crearmi una posizione di vantaggio psicologico, soprattutto rispetto ad una ragazza più giovane.
Mi resi conto che era il momento di dare una svolta alla serata, perché si correva il rischio di spegnerci come candele, quando tutta la cera sta ormai per sciogliersi. Così influenzati dall’ultima fase del discorso, le proposi fare una passeggiata per prendere un po’ d’aria, e trovai la scusa per “girare” un’altra sigaretta, scosso dalla notizia prima ricevuta.
Quando la vidi scendere dall’auto mi venne un forte istinto di abbracciarla ma mi trattenni, non tanto dal dirglielo, ma almeno dal farlo:
- Devo dirti una cosa, però non voglio che tu fraintenda queste mie parole – le dissi io, con fare molto serio
- Dimmi pure
- Quando sei uscita dall’auto mi è venuta una tremenda voglia di abbracciarti
- Stavo per dirti la stessa cosa
Così l’afferrai per i fianchi e le diedi un forte abbraccio di cui mi stupii, non credendo di provare tutto questo affetto per lei, poi però capii tutto e perfettamente: cominciavo ad avere bisogno di un affetto che non avevo più da tempo e quella mancanza mi aveva portato a cercarlo nella prima persona che si fosse esposta anche minimamente nei miei confronti e Gioia lo aveva fatto. Cazzo se l’aveva fatto!
Inoltre l’idea che un tumore potesse insediarsi in quel corpo, in quella persona che conoscevo da anni, mi rendeva particolarmente vulnerabile.
Dopo quell’abbraccio iniziò a guardarmi negli occhi ed io iniziai a capire che l’abbraccio non sarebbe stato che l’inizio di qualcosa di più grande.
Riflettei a voce alta, cercando, in fondo, di indirizzare Gioia verso un qualcosa che sarebbe piaciuto ad entrambi.
- A volte bisognerebbe agire senza pensare troppo perché la maggior parte delle volte, a causa dei complessi che ci facciamo, rischiamo di non vivere determinate situazioni
- Eh già, molto spesso è così
- Pensiamo troppo – dissi con un sorriso tremendamente malizioso
- Quindi mi stai dicendo che non devo pensare? – disse, mettendo sul piatto anche la sua, di malizia
- Ehm… – risposi con tono dubbioso, interrogativo e quasi divertito
Si avvicinò alle mie labbra e mi baciò, si allontanò un attimo, mi guardò fisso negli occhi e si riappropriò della mia bocca, pretendendo molto più di un semplice “sfiorare”.
Quel bacio non era stato premeditato, semplicemente era accaduto e nessuno dei due si era tirato indietro.
A dir la verità, tentennavo inizialmente dal concedere una confidenza che rischiava di rivelarsi ambigua, per paura che, come era già avvenuto in passato, Gioia si riaffezionasse a me, tuttavia quell’occasione stava rivelandosi per entrambi come un momento da vivere senza pensare troppo a cosa sarebbe potuto accadere in futuro. Carpe Diem: era qualcosa che sapevo, ma che avevo dimenticato.
Gioia me lo aveva insegnato nuovamente.
Si appoggiò sulla mia spalla mentre finivo di fumare la mia sigaretta e mentre guardavo la luna, quell’immensa bolla di un arancione straordinariamente acceso.
- Guarda quanto è bella – commentai
- Le preferisco il sole, perché lo associo alla felicità, all’inizio di un nuovo giorno mentre la luna è la fine, la malinconia
- Quanti anni hai adesso Gioia?
- Quasi diciannove perché?
- “Diciannove… perfetto. Ancora sei in una fase in cui l’unica cosa che vuoi dalla vita è la gioia, il sorriso, ma quando crescerai, ti renderai conto che per completarti avrai bisogno di entrambe le facce della medaglia: quella che sorride e quella che non lo fa, quella che invece fa riflettere”
- Sì, forse, ma ti ripeto, preferisco il sole
Nonostante ci fosse stato quel bacio, l’idea della sua assenza non mi preoccupava minimamente.
In poche parole, sentivo che era una persona di cui non sarei mai riuscito ad innamorarmi.
Se l’amore è amore, si vede, altrimenti è solo una scopata o un bacio che sia.
Incredibile quanto sia complesso il cervello umano e quanto possa dimostrarsi incoerente e disordinato: in quel momento, la situazione aveva creato un’atmosfera che mi faceva comportare in un modo che non mi sarei mai aspettato, ma che riconoscevo non essere pienamente mio, piuttosto come forzato da qualcosa.
In quel preciso istante capii che non sarei più andato a Trivoli e che non avrei rivisto Gioia per chissà quanto tempo.
Quando dalla radio, l’ultimo accordo di chitarra si spense nel suo riverbero, accesi l’auto e la accompagnai sotto casa sua, che si trovava in un vicolo dietro il Bar Sera.
Quando arrivammo, mi mostrò qual era la sua abitazione e pian piano mi avvicinai per lasciarla il più vicino possibile alla porta di casa, tirai il freno a mano, tolsi la marcia e la aspettai mentre cercava le chiavi in borsa:
- Beh, allora grazie della serata – esordii
- Grazie a te, sono stata veramente bene, spero succeda altre volte… e mi baciò delicatamente sulle labbra, trovandomi suo complice
Scese dall’auto e quando stava per chiudere la portiera, a voce bassa, quasi impercettibile, sussurrai:
Cara, Gioia, non succederà più.
Quando ci si abitua ad avere troppo, si diventa puntigliosi ed è questo che poi porta a non avere niente.
Lei si avviò verso casa dopo aver chiuso lo sportello ed io, dopo averle sorriso un’ultima volta dal vetro, partii, avviandomi verso la strada per il ritorno.
Stranamente quella sera stavo pensando troppo poco ed il che era assolutamente anomalo, considerando che io appoggiavo la mia vita sulle considerazioni, sui pensieri e le riflessioni.
Durante il viaggio di rientro, cantai ad alto voce un album intero del “Cremonini” che si stava rivelando per me incredibilmente utile: testi che prendevo come esempio perché li rivedevo in me, brevi ed apparentemente insignificanti parole che invece io notavo, esaltavo e me ne innamoravo.
Incredibilmente raffinato, questo autore non è mai banale anche quando si esibisce in un genere che non è strettamente suo.
Un artista completo, capace di dare un tocco di classe ad una tipica canzone d’amore, un tocco di sarcasmo in un brano prettamente misogino ed il timbro di voce che entra nella storia quando ha a che fare con uno dei suoi capolavori.
Accompagnato dalle sue note e dai suoi testi, arrivai sano e salvo e dopo aver parcheggiato l’auto, mi diressi verso casa a piedi, mentre un filo di vento soffiava.
La giornata si era rivelata incredibilmente imprevedibile, altalenante fra momenti in cui la noia si stava trasformando in nervosismo e momenti di pura smania, eccitazione per qualcosa che stava per accadere. Più di altri, questo giorno incarnava il periodo che stavo passando che, “guarda il caso”, mi stava cambiando.
Chiusi l’auto con un click del telecomando, ma quella volta dimenticai di chiudere lo specchietto che mentre mi allontanavo mi ritraeva, solo per un attimo, più chiaro che mai.
di Fabio Privitera
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