DEEP BLACK
di Caterina Schiraldi
Capitolo I
Il traffico scorreva come al solito ininterrotto e rumoroso, trentatré piani al di sotto.
Le macchine dai diversi colori erano bloccate giusto in direzione della finestra del piano dirigenziale del grattacielo, da cui un uomo osservava distrattamente l’ennesimo, assordante, ingorgo della mattinata. Erano solo le undici del mattino e già era il quinto blocco stradale a cui assisteva.
Jo sbuffò annoiato e voltò le spalle alla frenetica e caotica vita cittadina per tornare a sedersi alla propria scrivania.
Accavallò le gambe e poggiò la testa contro la soffice imbottitura della sedia, mentre con la mano destra cominciò a tamburellare nervosamente sul ripiano lucido. Fece scorrere lo sguardo sugli incartamenti davanti a lui.
“C’è un bel po’ di lavoro da smaltire qui…” pensò mentre cominciava a sfogliare la pratica aperta. Le informazioni raccolte nel fascicolo cominciarono a scorrergli davanti mentre la sua mente, allenata e sempre attiva, già iniziava a enucleare una possibile soluzione. Era molto bravo nel suo lavoro.
Jo sapeva che essere diventato socio di un grande studio legale a soli ventinove anni voleva dire, visto che non aveva ricevuto aiuti esterni di alcun genere, che era veramente in gamba. Ma lui era sempre stato consapevole di questo ed il suo lavoro gli piaceva enormemente.
L’adrenalina scorreva nelle vene ogni qualvolta era vicino alla soluzione di un caso “disperato”; era la soddisfazione di arringare un caso con la certezza di avere la giuria che pendeva dalle proprie labbra, l’orgoglio di risolvere enigmi che gente più anziana e più esperta di lui non era in grado di sbrogliare. Tutto questo contribuiva a renderlo soddisfatto di ciò che faceva. Ma…
Dalla porta arrivò il discreto bussare dell’assistente che interruppe i suoi pensieri malinconici.
<<Entra pure Grace>> disse con voce annoiata.
La giovane assistente infilò la sua testa rossa nella porta con un sorriso smagliante.
<<C’è una chiamata sulla seconda linea per lei, signor Austen>>, cinguettò lanciando uno sguardo sognante al suo capo.
<<Ah grazie Grace. Scusa ero impegnato e non mi sono reso conto della spia che lampeggiava…>>, si scusò lanciando un’occhiata al telefono che però non emanava il caratteristico segnale rosso della chiamata trasferita.
<<Ah no, signor Austen. Non le ho ancora passato la chiamata, ho pensato di venire ad annunciarglielo di persona prima…>>, cominciò a spiegare la giovane con voce trepidante e lo sguardo acceso. Ma non appena vide l’espressione severa e corrucciata del suo superiore si interruppe arrossendo vistosamente, <<vado subito a trasferire la chiamata, signore>> aggiunse precipitosamente, tirandosi via rapidamente dal vano della porta per tornare al proprio ufficio.
Jo pensò che tutto quel cercare di far colpo su di lui da parte della nuova assistente era snervante e che probabilmente lo avrebbe portato a cercare quanto prima una sostituta. I comportamenti svenevoli e civettuoli che assumevano le donne nei suoi confronti da quando era diventato ragazzo lo infastidivano. Non era interessato alle donne. Non gli interessavano i rapporti stabili. Per lui il gentil sesso aveva sempre e solo rappresentato un necessario sfogo fisico da soddisfare periodicamente. Perciò tutte quelle moine ed i tentativi per attrarre la sua attenzione gli davano decisamente sui nervi. Quando era alla ricerca di una compagna che gli scaldasse il letto voleva essere lui a scegliersela, a cacciare la sua preda, ad ammaliarla e a farla sua. Non gli piaceva essere rincorso, non c’era il brivido della conquista.
Un’immagine gli affiorò rapidamente alla mente, fuggevole e nitida allo stesso tempo, come gli compariva davanti da anni. Una bambina, dagli occhi verdi e dallo sguardo intenso. L’unico essere femminile che lo ossessionava e interessava da sempre. Una presenza costante ma sfuggevole dei suoi sogni notturni.
“Chi sei?” si domandò portandosi una mano sugli occhi. Ma nessuna risposta giunse a quel quesito. Un enigma che Jo si portava dietro da tutta la vita. Chi era la bambina dei suoi sogni? Perché sentiva di avere con lei un legame speciale ed indissolubile?
Per l’ennesima volta quella mattina Jo sbuffò, scuotendo la testa per scacciare l’immagine della bimba. Dio come era frustrante doversene stare tante ore seduto dietro a una scrivania. L’irrequietezza ed il desiderio di avventure all’aria aperta che lo avevano sempre contraddistinto ritornarono ad aggredirlo più forti che mai e Jo si ritrovò a pensare con smania crescente al viaggio in Egitto che avrebbe intrapreso l’indomani. Non vedeva l’ora di fuggire dalla prigione di cemento del suo ufficio e di lanciarsi nell’ennesima impresa spericolata e avventurosa che l’attendeva nel week end. Amava ciò che faceva ma detestava starsene rinchiuso ed imprigionato tante ore tra quattro mura. Il suo spirito avventuroso e dinamico reclamava uno sfogo alle proprie energie inespresse.
Sollevò il ricevitore quando vide finalmente il segnale del passaggio della chiamata lampeggiare sul telefono.
<<Ciao Jo…>> disse una calorosa voce femminile dall’altro lato della linea.
<<Ciao mamma, che succede?>>, domandò Jo irrequieto. Sua madre non lo chiamava mai a lavoro, se non in casi d’urgenza. Perciò doveva essere successo qualcosa.
<<Napoleone non si trova da nessuna parte ed ho pensato…>>
<<Arrivo subito!>> esclamò con enfasi, interrompendo la frase della madre prima ancora che lei la concludesse. Chiuse rapidamente la conversazione telefonica e, afferrata al volo la giacca, abbandonò di corsa l’ufficio.
<<Jo accidenti a te!>> protestò suo padre vedendolo rientrare a tarda ora a casa, l’abito di Armani completamente ricoperto di macchie e spiegazzato e Napoleone stretto tra le sue braccia, placido e coccoloso. <<Ma è mai possibile che fai sempre così? Ci hai tenuti in pensiero tutto il giorno! Non puoi stare in giro tutto il giorno senza dare notizie, abbandonando così su due piedi l’ufficio ed il tuo lavoro, solo per…>> si interruppe il signor Austen a uno sguardo penetrante del figlio e, scuotendo la testa rassegnato, lo fece entrare in casa.
<<Jo! Lo hai trovato!>> esclamò entusiasta la madre entrando in salotto, tentando di prendere Napoleone dalle braccia del figlio, ma questo protestò e si dimenò, rendendo palese il suo intento di restare dov’era.
<<Lascia stare mamma, lui rimane qui con me. Vuole stare qui>> intervenne Jo dirigendosi a passo rapido verso il divano tentando di calmare Napoleone per farlo tornare quieto.
I genitori si scambiarono uno sguardo tra l’esasperato ed il rassegnato, rimanendo ad osservare i due sul divano che si guardavano negli occhi. Il signor Austen passò un braccio sulle spalle della moglie e con un mezzo sorriso indicò i due soggetti sul divano. <<Mi sembra quasi di aver adottato due fratelli anziché uno anni fa… >> affermò indicandoli con un cenno alla moglie, <<anche perché la loro somiglianza e impressionante…>> aggiunse con una punta di irrequietezza nella voce, mentre il sorriso gli si spegneva lentamente.
<<Sì, decisamente!>> confermò la moglie osservandoli anche lei, <<peccato che uno sia un uomo e l’altro…>> non terminò la frase. Due teste scure, nere e lucenti, si volsero a guardarla contemporaneamente, due paia di occhi color giada, due sguardi intensi ed indagatori.
<<Un gatto…>> terminò per lei il marito.
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