L’alba dell’airone rosso
C’è un tempo per tutto… per piangere e sorridere, amare e soffrire, restare in apnea e respirare. E soprattutto per morire e rinascere.
Lei lo sapeva, o meglio… lo imparò sulla propria pelle. Non era più una ragazzina, non era certamente vecchia. Era piuttosto nel mezzo del cammin della sua vita e, fedele alla storia della letteratura che tanto amava, si ritrovò nella selva oscura. Fino a quel momento tutto filava liscio, lineare e programmato, senza urti né sussulti, nessun turbamento. Una rassicurante noia. Poi, la scossa. Il terremoto e il crollo di ogni certezza. E quando ti ritrovi sotto le macerie, l’unica cosa che speri è che quel filo di aria che s’insinua tra i calcinacci possa bastare a tenerti in vita, almeno finché qualcuno non verrà a salvarti. E quel qualcuno, o “qualcosa”, sarebbe arrivato. Lei lo aveva sempre saputo.
Aveva puntato tutto sul cavallo sbagliato e perse il suo bene più prezioso, se stessa.
Once upon a time…
Anna&Marco, tuttattaccato. Una sola entità.
Si erano conosciuti che erano soltanto due ragazzini. Anna, una studentessa di periferia, brillante e piena di progetti; Marco, il solito bulletto senza futuro, ribelle e incostante. La coppia perfetta, il classico stereotipo da fiction o romanzetto rosa. Diversi in tutto, incapaci di star lontani. Malgrado i caratteri completamente divergenti, una forza centripeta inarrestabile li riportava sempre l’uno dall’altra. Quei due erano innamorati davvero. Fu Anna ad insegnare a Marco come si amasse. Con il dialogo, la sincerità, anche quella più crudele, con il rispetto per la libertà altrui e la capacità di stare anche un passo indietro all’altro, per non prevaricarlo e non ostacolarlo mai. Il bene, per Anna, era qualcosa di impalpabile e sacro, un soffio divino che rende forte ed emana una potenza infinita. Niente può sciogliere un legame che sa di eterno. Così credeva… Nulla è imperituro, ma lei questo ancora non lo aveva imparato. Marco si lasciò guidare da quella ragazza bella, idealista e gentile, non aveva mai incontrato nessuna come lei, nessuna che avesse voglia di andare oltre la sua apparenza complicata e sopra le righe. Era cresciuto per strada, un gran furbo, un opportunista insensibile e disincantato. Quel sentimento lo colse impreparato, non era pronto ad accogliere Anna nella sua vita ma non ebbe scelta. Lei decise che sarebbe stato suo e così avvenne. La rompiscatole aveva una grande determinazione, le sfide era abituata a vincerle e l’avrebbe spuntata anche quella volta. Forse fu proprio la sua sfrontata tenacia a conquistarlo. Era un ometto poco più che ventenne, un ibrido ancora, quando la vide per la prima volta col suo sorriso da fiaba. Non poté evitare di cadere vittima dei suoi incantesimi. Diventarono un gran bel duo. La principessa si rivelò una guerriera manga, disposta a tutto pur di difenderlo, soprattutto da se stesso. Marco era ansioso, insicuro, diffidente, il suo primo nemico, e trovò nella piccola donna dai grandi occhi scuri uno scudo dalle difficoltà e un porto sicuro dove rifugiarsi. Lei era tutto, un sole che portò luce e calore nella sua vita anonima, tingendola di tinte vivide, quasi elettriche. Crebbero insieme e insieme impararono a combattere, cadere e rialzarsi, soli, loro due erano il mondo, senza avere bisogno di nient’altro che del loro legame, che entrambi credevano indissolubile. Litigavano per tutto, ridevano di niente. Si sentivano onnipotenti. Lui sembrava un eroe omerico devoto alla sua dea che sempre vegliava su di lui.
Poi, qualcosa cambiò. All’improvviso, senza una ragione…
Erano trascorsi tanti anni, come se fossero secoli. Marco era diventato un uomo, ma non era poi così diverso da quel ragazzetto biondo conosciuto per caso, un pomeriggio di aprile… labile, mutevole, egoista. La sua vera natura era tornata fuori, prepotentemente. Dimenticò ogni cosa, dimenticò il Bene. Mise la guerriera in ginocchio con meschini raggiri e vili menzogne, e infine la annientò, senza pietà alcuna. La dea che aveva celebrato e venerato non contava più nulla. Le voltò le spalle, come Enea voltò le spalle alla sua Didone, calpestandone il cuore.
Anna smise d’esser bella, i suoi occhi avevano smarrito quel guizzo di vita che li rendeva meravigliosi, erano cupi come la notte più buia. Aveva rinunciato a tutto per lui, aveva sacrificato se stessa e i suoi desideri. Li aveva nascosti così bene da non sapere più dove cercarli, posto che fossero mai veramente esistiti. Si scoprì fragile e impaurita. Il mondo, senza di lui, nemmeno lo conosceva. Si sentì stupida, indifesa, incapace. Gli aveva dato tutto senza ricevere nulla in cambio. Una rabbia cieca la divorava giorno e notte, togliendole il sonno, quel verme strisciante le aveva succhiato ogni energia, la vita le sembrò inutile e vuota, quasi non le interessava più. Non riusciva a capire e non comprese mai. Tormentata da domande, che non avrebbero mai trovato risposte degne di colmare la desolazione che teneva dentro, pianse per la fine di una storia d’amore che era tutta la sua vita.
Toccò il fondo e attraversò con disperato coraggio quel sentiero deserto e buio chiamato solitudine. Fu un viaggio lungo, lento. Sembrava interminabile. Il dolore per quell’abbandono e il senso di smarrimento furono la prova più dura per Anna, che nella sua giovane vita, di battaglie, ne aveva già superate tante. Lo aveva fatto insieme al suo Marco, questa volta avrebbe dovuto farcela da sola.
Immobile per un tempo infinito in quel tunnel, senza aria, una fogna, imparò ad ascoltare il ritmo del suo respiro e ritrovò il senso del suo esistere. Per anni aveva ignorato la propria anima, non poteva più farlo, doveva ripartire e lo avrebbe fatto da se stessa. Si fece strada con le unghie, trasformò la rabbia in forza e ritornò in superficie. Lassù vi era la luce.
Capì che doveva liberarsi della collera e perdonò Marco, solo così avrebbe potuto fare pace con il mondo. In fondo, la vera colpevole era soltanto lei. Aveva creduto che quel ragazzo fosse molto di più, ma era solo un piccolo asteroide che l’aveva colpita per sbaglio. Lei era infiniti spazi, infiniti mondi. Il tradimento di quell’essere fu un dono.
Affacciata ad un precipizio, trovò il coraggio di voltarsi e vide dietro di sé le porte della Vita. No, non si sarebbe arresa, avrebbe combattuto e tornò guerriera, ritornò sé stessa. Smise di soffrire, una dea sempiterna non piange per i capricci di una misera creatura mortale, non si lascia incatenare al suolo. Lei poteva altro, lei doveva provarci. E Anna volò, lassù, nell’Iperuranio, verso un futuro che era già presente, ma i suoi occhi, allora, erano ancora incapaci di vederlo. Si sarebbe presa tutto, senza timori. Si sentì felice per la prima volta in tutta la sua vita, era una gioia nuova, diversa. Era la consapevolezza di valere. Come un’aquila reale si elevò fiera e superba in alto, nessuno avrebbe mai più potuto abbatterla.
Tanto cuore nella testa di Anna, tanta generosità. Non sarebbe cambiata, quella donna era incapace di provare rancore. Era speciale, era pura. Si sentì finalmente pronta a mettersi alla prova da sola, a donarsi nuovamente, con lo stesso entusiasmo e una zelante fiducia, non nel prossimo, che l’avrebbe tradita e delusa sempre, ma in se stessa, il suo unico idolo. Avrebbe amato ancora, sempre di più, sublime, rinnovando la propria fierezza, la propria intima selvatichezza, infrangendo i limiti della mediocrità che la circondavano, quasi tenendola prigioniera. Perché amare anche solo un po’ in meno, non sarebbe stato abbastanza per lei. Sentiva la sua potenza crescere, sentiva librarsi ancora più in alto. Era un airone rosso al di sopra dell’inverno ormai passato.
Quell’alba dei primi di luglio il sole splendeva, insieme a lei, magnifico e potente. Era il genetliaco di un nuovo giorno.
C’era una volta, e c’è ancora…
Ilaria Di Leva
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