DEEP BLACK
di Caterina Schiraldi
Capitolo V
Il velo della memoria di Jo finalmente si squarciò e lui rivisse la lotta, le ferite ed il sapore del sangue. Il dolore dello scontro e quello della trasformazione.
Urlò, esalò tutta l’aria che aveva nei polmoni e si accasciò al suolo. Devastato.
I gatti attorno a lui ammutolirono e Napoleone corse a sostenerlo ma lui lo scansò bruscamente con una mano.
Non voleva essere toccato. Era troppo sconvolto, si sentiva fragile come il vetro e temeva di rompersi al minimo contatto.
Ecco chi era. Anzi, ecco cos’era!
L’incubo oscuro e misterioso dei suoi ventinove anni veniva adesso rivelato. Ma quanto era dura la realtà.
Lui era un essere mostruoso, un abominio della natura. Non più umano del suo amico gatto né dei mostri mitologici che aveva studiato sui libri scolastici.
Lui era… “un mutaforma”.
Un essere in parte uomo e in parte animale. La sua non poteva essere che una vita vissuta a metà, a cavallo tra due mondi, senza appartenere a nessuno di essi.
Jo era una pantera!
Una bestia, una fiera selvaggia, un pericolo per sé e per gli altri.
E la donna davanti a lui, sfregiata a sangue dallo scontro che avevano appena sostenuto, era sua sorella Amahl. La sua gemella. Una pantera anche lei. Ed era il suo nemico numero uno. Prova ne era stata la lotta all’ultimo sangue che avevano appena terminato e che lo aveva quasi ucciso.
Si era scontrato con la carne della sua carne, col sangue del suo sangue, senza esclusione di colpi. Senza rimorsi o remore di alcun genere.
Ma in fondo gli animali non hanno coscienza. Solo puro e irrefrenabile istinto.
L’istinto di uccidere e di sopravvivere erano stati più forti di ogni altra cosa. Le sue zanne avevano dilaniato la carne di sua sorella ricevendone altrettante ferite. Le sue zampe possenti avevano artigliato, ghermito e affondato colpi nell’avversario di fronte a lui. Il sapore della lotta gli era corso nelle vene incendiandogli i sensi. Il suo cervello umano aveva smesso di funzionare, per lasciare il posto all’istinto predatorio della fiera nel momento in cui la trasformazione aveva avuto inizio.
Ecco perché si sentiva devastato. Trasformarsi era doloroso. Lo aveva dimenticato, come il resto.
Le ossa si scomponevano e assumevano nuove forme per trasformarsi nello scheletro del possente felino e la lotta sanguinosa aveva fatto il resto. Si domandò come potesse essere sopravvissuto allo scontro.
Alzò lo sguardo verso Amahl, ma nei suoi occhi lesse solo un odio feroce e la scintilla della sfida ancora indomita che lo incendiava.
Rabbrividì e ricordò come tutto ebbe origine.
Nati dagli stessi genitori, nella stessa notte di ventinove anni prima. I gemelli rappresentavano la progenie del re dei gatti. Re Malik Almnar. Che era stato a sua volta una pantera. La stirpe reale a cui apparteneva Jo, gli Alfuhud, le pantere, regnava da decenni sul popolo dei felini loro cugini, i gatti ed il primogenito di ogni sovrano ne ereditava titolo e comando.
Questo per Jo e Amahl aveva complicato le cose, loro erano gemelli, nati nello stesso giorno e la legge del regno stabiliva che, in caso di parto gemellare le soluzioni fossero solo due.
O uno dei due gemelli, giunto in età adulta, avrebbe dovuto uccidere l’altro, oppure la gemella di sesso diverso doveva rinunciare al trono a favore del fratello di sesso maschile ed essere esiliata a vita dal regno, per non farvi mai più ritorno e morire in solitudine.
Ma Jo e Amahl, cresciuti insieme fin da bambini ed ignari di tutto ciò, avevano dapprincipio vissuto la loro infanzia come due fratelli molto affezionati e legati. Jo, anzi, era sempre stato molto protettivo con la sorella e lei lo idolatrava come se fosse stato una divinità. Avevano condiviso tutto. Giochi, amici, esperienze. I loro cuori e le loro menti erano state uniti come solo quelle di due gemelli possono esserlo. Una connessione quasi sovrannaturale. L’uno anticipava i pensieri dell’altro e completavano le frasi a vicenda.
Scorrazzavano in giro rincorrendosi, giocando e compiendo marachelle di ogni tipo. Sia in forma umana che animale. Erano particolarmente benvoluti anche per questo loro legame così forte e apparentemente indissolubile. Amati da genitori benevoli e viziati dai conoscenti. Ma…
Quando i due fratelli erano giunti all’età adulta compiendo i quattordici anni, il tempo di trovare una soluzione giunse e Jo venne messo al corrente da Napoleone, fido consigliere del padre da sempre e da lui incaricato di informare il giovane, di come stessero realmente le cose.
Per lui fu un terribile shock.
Il mondo che fino ad allora aveva creduto un posto felice e sereno si capovolse e l’idea di dover uccidere o vedere esiliata l’amatissima sorella mandò in frantumi il cuore del giovane.
Troppo scosso dalla notizia era fuggito dalla dimora di famiglia, travolgendo il povero Napoleone mentre correva sotto uno sferzante acquazzone a rotta di collo.
Aveva voluto solo allontanarsi per lenire il dolore e la sofferenza ma lo sguardo e gli occhi di sua sorella avevano continuato a perseguitarlo così come li aveva visti quella mattina. Fiduciosi e colmi d’amore per il suo fratellino. Totalmente ignara del destino a cui sarebbe andata incontro. Morte o esilio. E per mano sua, solo sua.
Accecato dal dolore, dal rimorso e dalla furia contro il proprio destino e contro i suoi stessi genitori, da cui si sentiva tradito per non aver mai trovato il coraggio di dirgli prima la verità, non aveva guardato dove metteva i piedi ed era scivolato rovinosamente nel fango, cadendo in un fiume gonfio di acque tumultuose.
I flutti, con la loro potenza, lo avevano trascinato lontano, mandandolo più volte a fondo.
Jo aveva inghiottito litri d’acqua mentre tentava di lottare contro la potenza della corrente ma non era mai stato un ottimo nuotatore. Notoriamente i gatti non amano l’acqua e lui, in quanto felino sovrano del suo popolo, non faceva eccezione.
Era stato travolto dalla prorompenza del corso d’acqua gonfio di pioggia ed era sprofondato perdendo aria e conoscenza.
Non aveva idea di come si fosse salvato.
Il trauma lo aveva quasi ucciso e gli aveva cancellato ogni ricordo della sua vita precedente, lasciandogli solo l’odio per corsi e bacini d’acqua.
Sapeva solo che si era risvegliato nell’orfanotrofio per giovani senza famiglia da cui i suoi genitori adottivi l’avevano portato via per renderlo loro figlio. Oltre a ciò ricordava che, al suo risveglio, affianco a lui c’era sempre stato solo Napoleone che, da quel momento, aveva conosciuto solo nella sua forma felina.
Tornò faticosamente al presente, riemergendo dai ricordi dolorosi. Attorno a lui, il popolo felino era in subbuglio.
Jo non sapeva cosa fosse successo durante quei quindici anni della sua assenza ma, dall’atteggiamento reverente che i gatti tenevano verso sua sorella, sembrava che loro avessero scelto il proprio leader. E non si trattava di lui.
Per quanto riguardava Amahl, invece…
Il suo sguardo colmo d’odio e di sfida la diceva lunga su quanto fossero cambiati i suoi sentimenti verso il fratello.
Si erano quasi uccisi durante il loro scontro. E la cosa peggiore per Jo era che l’istinto di attaccare e dilaniare in lui era stato più forte di qualunque altro sentimento avesse mai provato verso la sua ex compagna di giochi. La sua sorellina si era trasformata in una donna bellissima e letale. Un nemico da eliminare o da cui essere eliminati.
Un nodo doloroso gli strinse la gola.
“Amahl…”, provò a chiamarla ma, non appena ebbe sussurrato quel nome, l’esercito di gatti soffiò arrabbiato ed un ruggito pauroso sgorgò dalle labbra di sua sorella mentre i suoi canini si allungavano trasformandosi in zanne.
“Non… osare… chiamarmi così!”, gli gridò contro, mentre il suo urlo si trasformava nel ruggito di una pantera e lei si accovacciava a terra in posizione di attacco, “tu… non… ne sei…degno!” terminò e l’ultimo barlume di umanità lasciò dunque il posto alla fiera nera e possente.
Ma in quel frangente, quando lo stomaco di Jo era pronto a rivoltarsi, segnalando il suo istinto di trasformarsi anche lui insieme a quell’animale di difendersi e attaccare, Napoleone si frappose di nuovo tra loro, allargando le braccia dinanzi a Jo in posizione difensiva.
“Non è questo il momento”, ingiunse con voce, tonante riferendosi ai gatti che li attorniavano soffianti, “vostra altezza permettetemi di risolvere prima una cosa…”, implorò invece, con tono sottomesso, rivolgendosi ad Amahl. La guardò dritto negli occhi, ma senza spavalderia, non come un suddito ma come farebbe un padre amorevole verso un figlio riottoso. Quasi implorante.
La nera pantera ringhiò un’altra volta ma, incredibilmente, dinanzi alla riverente richiesta del vecchio, arretrò ritirando gli artigli e con pochi ed agili balzi si allontanò nel fitto della vegetazione. Lasciandosi dietro uno Jo basito e confuso ed il popolo di gatti, prima aggressivi e pronti alla battaglia, in stato di sbandamento e confusione. Non appena essa scomparve, infatti, anche loro batterono in ritirata scappando di qua e di là nel verde degli alberi e abbandonando lo spiazzo alla sola presenza di Jo e Napoleone.
Il giovane scosse la testa confuso e prese a massaggiarsi le braccia sanguinanti e indolenzite.
“Vieni con me, Jo”, lo invitò a seguirlo Napoleone, porgendogli una mano per aiutarlo a camminare.
Lui lo guardò un attimo nelle iridi di color verde giada, domandandosi come avesse fatto per quindici anni a dimenticare tutto, poi barcollando malfermo sulle gambe lo seguì in silenzio.
Aveva milioni di domande in testa, ma nessuna raggiunse le sue labbra. Il suo animo era troppo esausto per gli eventi e la massa di ricordi piovutigli addosso tutti insieme, per avere la forza di avere altre risposte.
Non in quel momento, almeno… ma il tempo della verità era ormai giunto.
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