Racconti brevi

IL GIORNO CHE UCCISI FABIO VOLO

di Michele Borgogni

 

Il giorno che decisi di uccidere Fabio Volo era un lunedì. Me lo ricordo bene: la sveglia troppo presto, la corsa fino in stazione, il treno in ritardo, la sosta in edicola e poi il viaggio, interminabile, una lenta agonia di silenzi assonnati e di paesaggi sempre uguali che scorrevano fuori dal finestrino. Oltre al solito quotidiano avevo comprato il Corriere della Sera, avevo letto con rabbia le pagine politiche, dato uno sguardo veloce alla cronaca ed infine mi ero messo a sfogliare “la Lettura”, l’inserto culturale del più noto quotidiano italiano. Tra recensioni di romanzi, spettacoli teatrali, segnalazioni di ebook, interessanti speciali su grandi scrittori del presente e del passato, notai una firma nota. Fabio Volo.

 

Fabio Volo.

 

Impossibile.

 

Due ore di noia possono anche portare alla pazzia chi come me è abituato ad essere sempre in movimento. Forse avevo letto male, forse era un omonimo. Fabio Volo? Quello che partendo dalle Iene era finito a scrivere romanzi adolescenziali con frase indegne di finire sui Baci Perugina? Fabio Volo? Facevo fatica a definirlo uno scrittore, poteva essere stato “ingaggiato” a firmare articoli sull’inserto cultura del Corriere? Impossibile. Doveva essere un omonimo. Eppure…

 

Prendo lo smartphone e guardo su internet. Già twitter è in rivolta. Il commento più gentile paragona l’esordio di Volo ad altre notizie provenienti dal resto del mondo. “Tornado in USA, killer spara in una sede di un giornale a Parigi. Da noi Fabio Volo esordisce sulle pagine culturali del Corriere”

 

“Uno dei romanzieri più famosi d’Italia…”

 

Romanziere? Se basta aver scritto un libro per essere definiti romanzieri, ok… Sempre che li abbia scritti davvero lui, i suoi romanzi, e non qualche ghost writer, visto che basta sentirlo parlare per dubitare che sappia esprimersi in un italiano corretto. Non c’erano altri scrittori disponibili? Fabio Volo doveva rimanere su Cioè o su Vanity Fair o su riviste con quel target, l’inserto della cultura era sacro… Fabio Volo NON è cultura!

 

Il primo pensiero fu di gettare via tutto dal treno in corsa. La vista del controllore che chiedeva i biglietti, due file di sedili davanti a me, mi persuase a non farlo, ma la rabbia montava, montava, e nella mia mente passavano idee sempre più nere. Gente come me, giovani aspiranti scrittori o giornalisti, non dovrebbe vedere certe cose. Ci fanno male. Ci fanno pensare quanto è inutile studiare, darsi da fare per migliorare, farsi il culo scrivendo e riscrivendo e partecipando a corsi e concorsi. Ormai per scrivere bisogna essere personaggi televisivi, o del mondo della musica, o comunque dei santoni acclamati gggiovani, o quantomeno vecchi e saggi.

 

Dovevo fare qualcosa, dovevo cambiare le cose.

 

Dovevo uccidere Fabio Volo.

 

Feci una risata malvagia. La vecchietta davanti a me si impaurì, alla successiva fermata fece finta di scendere dal treno e cambiò scompartimento. Anche gli altri passeggeri del treno ora mi tenevano d’occhio, più perplessi che preoccupati, ma non li notavo nemmeno. La decisione era presa. Era l’unica cosa giusta da fare, l’unico modo per sensibilizzare il popolo sui guasti dell’oppressione della cultura e dell’egemonia stronzotelevisiva. Sarei diventato un terrorista!

 

 

Cercai di organizzarmi meglio che potevo: scaricai da internet il manuale del perfetto anarchico e le istruzioni su come preparare una bomba. Mi accorsi ben presto che le mie scarsissime cognizioni di chimica mi avrebbero impedito di percorrere quella strada, quindi ripiegai su un rapimento. L’ideale sarebbe stato costituire una piccola cellula di persone come me, convinte dei propri ideali e dell’ineluttabilità di una scelta violenta. Ma a chi potevo chiedere? Di chi mi potevo fidare?

 

Non dei miei genitori, mia mamma era una fan di Paolo Limiti…

Non della mia ragazza, anche perché al momento non avevo una ragazza…

Non dei miei amici, che mi prendevano in giro perché adoravo i volumi dello sconosciutissimo poeta Tobia Benfoti, e a pensarci bene una di loro una volta mi aveva detto che aveva letto “Esco a fare due passi” e le era piaciuto pure un sacco!

 

Un giorno conobbi su internet un tale che diceva cose molto intelligenti nel suo blog e con il quale avevo intrattenuto una fitta corrispondenza epistolare (email) per quasi un anno, ma ora il flusso si era quasi interrotto perché sua mamma l’aveva minacciato di morte se non si fosse laureato entro l’anno, e comunque anche lui si era fidanzato e avevo la sensazione che la sua ragazza (più che discreta) fosse un po’ fighetta. Potevo sentire lui…

 

Ma no, dovevo fare tutto da solo, era molto più sicuro. Chiunque altro avrebbe potuto tradirmi, o denunciarmi.

 

Raccolsi quante più informazioni potevo. Il vero nome di Fabio Volo era Fabio Bonetti. Chissà perché in tv avevano deciso che “Volo” fosse un cognome migliore.  Era nato a Calcinate in provincia di Bergamo e i suoi studi si erano fermati alla scuola media. SCUOLA MEDIA! Ero sempre più sicuro, la mia decisione di ucciderlo era giusta. Aveva iniziato come aiuto panettiere nel forno del padre ed avrebbe dovuto fermarsi lì, era un lavoro più che dignitoso MA NO, aveva dovuto diventare deejay, icona televisiva, scrittore, ora pure giornalista del Corriere! A quanto pare spesso passava dei lunghi periodi di relax tra un romanzo e l’altro in una sua grande villa in campagna, isolata da tutto e da tutti (ma fornita di ogni comfort). E al momento non era in tv, non aveva romanzi da presentare. I suoi unici impegni erano un paio d’ore di radio a settimana e gli articoli per il Corriere, quindi…

 

Presi un periodo di pausa e prenotai per una settimana una stanza d’albergo nel paese più vicino. Dovevo osservare bene le sue abitudini prima di agire. Fabio Volo era lì. Mandava qualche suo uomo in paese a fare la spesa. Non viveva solo, ma neanche aveva la sua famiglia appresso. Mi accorsi che non sapevo neppure se fosse sposato o meno, se avesse figli… nella mia fantasia era un inveterato donnaiolo con almeno sette o otto amanti diciottenni che si alternavano due alla volta a fargli visita nella sua magione, ma sarebbe stato davvero così? Io speravo di trovarlo solo, anche se a pensarci bene la morte sarebbe stata una giusta punizione pure per le zoccolette del vate di Calcinate.

 

Iniziavo a pensare a me come il Giustiziere. Forse mi serviva un costume da supereroe?

 

Dovevo agire in silenzio, Niente armi da fuoco, quindi, anche perché:

  • non sapevo usarle;
  • non ne possedevo;
  • non avevo la minima idea di dove comprarne una senza porto d’armi.

 

E poi sarei stato troppo rintracciabile. La prova del guanto di paraffina, le tracce di polvere da sparo, quella roba lì… nei gialli trovavano sempre il colpevole in questo modo. E confesso che ero diventato anche io un fan di C.S.I. Miami, che figata di telefilm.

 

L’ideale era un coltello bene affilato. Anonimo, silenzioso, letale.

 

 

Spiai la villa per più ore al giorno. Si era quasi all’inizio dell’inverno, ma le temperature erano ancora primaverili. Il tepore della campagna era molto piacevole, qualche volta mi appisolai appoggiato a un albero, rilassato dalle scene bucoliche che potevo vedere tutto intorno a me. Il terreno intorno alla villa di Volo era anch’esso sfruttato per l’agricoltura. Vigne, soprattutto, c’era da aspettarselo. Ovviamente non era più stagione di vendemmia, ma c’era la stessa gente al lavoro nei campi, di quando in quando. Qualcuno mi vide e mi salutò con la mano. Io risposi arrossendo, e maledicendo me stesso per la mia imprudenza.

 

Ma quello che conta è che scoprii tutte le abitudini della casa. Fabio usciva poco. Perlopiù trascorreva qualche ora nel portico, facendo le parole crociate o scribacchiando in un taccuino. Lo vedevo, ingrandito grazie al binocolo che mi ero comprato prima di partire, e la mia rabbia che a volte era sembrata attenuarsi tornava a montare, forte e accecante. Stava scrivendo per il Corriere, lo sapevo. Stava rubando il lavoro a un giovane giornalista migliore di lui, anche in quel preciso istante. Dovevo agire subito!

 

Ma mi trattenevo. Ancora per poco, mi dicevo, ancora pochi giorni. Dovevo capire qual era il momento migliore per attaccare, quando avrei trovato meno guardie intorno a lui e quale fosse l’entrata migliore.

 

Intorno alla villa il terreno era spoglio. Se volevo evitare di essere visto dovevo attendere che facesse buio. Per fortuna era quello il momento migliore anche per un altro motivo: molti dei suoi uomini, il venerdì dopo le 21, andavano a giocare a bowling in paese. Me lo confermò anche il gestore della sala, non saltavano mai una settimana. E con Fabio restavano solo poche persone. Tre o quattro guardie del corpo, al massimo, e tutte fuori dalle sue stanze. La donna delle pulizie a quell’ora non c’era più da un pezzo. Forse avrei dovuto fare attenzione ed evitare il giardiniere e la cameriera, che vivevano lì. La cameriera era giovane e molto carina, magari era lei l’amante di Fabio Volo. Sicuramente non avevo visto entrare nessun’altra ragazza, anche se non si poteva mai dire. Magari potevo far fuori anche lei.

 

 

Giunse il giorno.

 

Provai ad indossare una maschera da Zorro, ma ero francamente ridicolo e mi dava pure fastidio, così rinunciai al costume. Scrissi una lunga lettera di rivendicazione dell’omicidio, aiutandomi col normografo per far sì che la mia calligrafia non fosse riconoscibile, e spiegando per filo e per segno i motivi del gesto, minacciando di compiere altri omicidi se non si fosse restituito il privilegio della cultura a chi se lo meritava veramente. Ed uscii dall’albergo.

 

Parcheggiai la macchina, come al solito, a qualche chilometro di distanza, ben nascosta. Era più sicuro fare l’ultimo tratto a piedi. Infilai i guanti per non lasciare impronte digitali dappertutto e cominciai a muovermi nei campi, verso la villa di Fabio Volo.

 

Mi nascosi dietro un cespuglio. Una finestra del pianoterra restava quasi sempre aperta, quella sarebbe stato il mio obiettivo, sperando che non si fossero decisi a chiuderla proprio stasera. La ronda di guardia stava passando in quel momento, non appena avessero girato l’angolo avrei avuto almeno dieci minuti di tempo per entrare in casa e fare quello che dovevo fare.

 

Girarono l’angolo.

 

Corsi a perdifiato, cercando allo stesso tempo di non fare il minimo rumore. Arrivai alla finestra: era socchiusa, bastò una lieve spinta per entrare. Mi ritrovai in un ambiente ampio e quasi completamente buio, con vecchi mobili ricoperti da teli impolverati. Due porte. Scelsi quella di destra senza un vero motivo. Sapevo che la stanza di Fabio era al piano di sopra, ora dovevo cercare le scale. Aprii la porta… non cigolò.

 

Un corridoio. Porte a destra e a sinistra, tutte chiuse. E una in fondo. Sentivo che quella era la mia. Improvvisamente un rumore proveniente da una delle porte chiuse mi fece sobbalzare. Sembrava un uomo, uno che russava. Dovevo fare piano…

 

Aprii la porta con la massima cautela, un millimetro alla volta. Forse cigolò leggermente, ma magari fu solo una mia impressione. Uno stanzone riccamente ammobiliato, e delle scale che salivano! Ce l’avevo fatta? Voci, risate provenienti dalla mia sinistra… dovevo fare in fretta!

 

Salii per le scale quasi di corsa, non vidi nessuno e nessuno mi vide. Pochi passi, e dietro una grande porta bianca sentii dei rumori… una televisione accesa. E qualcuno che grugniva… forse era lui! Questo era il momento più delicato.

 

 

Aprii la porta, ebbi paura, il cuore mi sarebbe esploso in gola. Le mie mani inguantate tremavano, strinsi forte il coltello affilato che portavo al fodero. Silenzio, silenzio. Un passo avanti.

 

La scena che vidi era quella che sognavo. Un uomo orribile, molto più vecchio di quanto apparisse in tv, ingrassato, mollemente adagiato su una poltrona, che russava sommessamente. Si era addormentato guardando lo schermo. Anzi, guardando un dvd. Sembravano vecchie puntate di Casa Vianello. Mi avvicinai, ed estrassi il coltello dal fodero. Fabio Volo non si accorse di niente, non si mosse neppure quando arrivai alle sue spalle, gli tappai la bocca con la mano e fulmineo gli tagliai la gola da orecchio a orecchio. Il sangue iniziò a colare sul suo grembo e a inzuppare la poltrona. Una scena macabra, disgustosa. Ma io non avevo neppure una macchia sui miei vestiti, e non si era sentito il minimo rumore. I miei guanti erano intatti, non potevo aver lasciato nessuna impronta digitale.

 

Il delitto perfetto.

 

Squillò un telefonino.

 

Quasi venni preso dal panico, poi mi controllai. Dovevo far stare zitto quel coso, altrimenti mi avrebbero scoperto. Lo vidi che lampeggiava sopra la tv. “Linus”. D’impulso risposi.

 

  • Risponde la segreteria telefonica di Fabio Volo. Il vate di Calcinate al momento non può rispondere perché è morto, ma se credete nella reincarnazione e volete comunque lasciargli un messaggio per la prossima vita fatelo dopo il segnale acustico. BIP.
  • Oh Fabio ciao sono Linus, bella questa nuova segreteria, sei matto come un cavallo. Ma ti sei addormentato ancora davanti alla tv? Comunque volevo solo ricordarti di quel progetto di beneficenza, abbiamo coinvolto anche Vasco che ci tiene tanto, va bene? Ciao richiamami, e dormi di meno.

 

Quasi urlai dall’esultanza. Tirai fuori dal taschino la lettera e l’appoggiai aperta sulla scrivania a destra della poltrona, stando bene attento a non calpestare la pozzanghera di sangue che andava creandosi sul pavimento. Con la coda dell’occhio vidi un taccuino e una pila di quaderni molto corposi, ed ebbi una terribile visione: volumi e volumi di pensieri “inediti” di Fabio Volo pubblicati postumi che diventavano bestseller e venivano citati continuamente in tv. Dovevo impedirlo! Presi tutto quanto, nessuno doveva leggerli, ora toccavano agli intellettuali l’onore e l’onere di scrivere!

 

Uscii dalla stanza. Nessun rumore. Nessuno si era accorto di niente. Tornai sui miei passi, fino al corridoio, alla stanza con i vecchi mobili, alla finestra, e poi fuori fino alla macchina e via in albergo. Fu fin troppo facile.

 

 

Due giorni dopo, ero a casa. I telegiornali non parlavano d’altro che dell’omicidio di Fabio Volo, e di questo terribile “Fronte Armato per il ritorno alla Cultura” che minacciava di fare nuove vittime. Io ridevo, e pensavo già alla mossa successiva. Se le cose non fossero cambiate avrei fatto fuori prima Klaus Davi, poi Crepet e dopo… forse proprio Vasco Rossi. Nessuno mi poteva fermare. Il Giustiziere avrebbe vinto, ne ero certo.

 

Mi ricordai del taccuino e del quaderno trafugati. Dovevo distruggerli. Bruciarli. Erano una prova troppo schiacciante nei miei confronti, se qualcuno li avesse trovati. Li tirai fuori dalla borsa e andai verso il camino. Strappai la prima pagina e la gettai nel fuoco.

 

Nella seconda pagina, un titolo: “Sonetti Furiosi”. Incuriosito, sfogliai senza strappare.

 

Poesie.

Poesie belle!

Denotavano una cultura sopraffina, un gusto non comune, una personalità che…

E poi lo stile non mi risultava nuovo.

 

Un lampo.

 

Tobia Benfoti era l’anagramma di Fabio Bonetti! Come avevo fatto a non accorgermene prima? Quelle poesie erano da pubblicare nella nuova raccolta di Tobia Benfoti, ne riconoscevo lo stile, era uno pseudonimo!

 

Fu un disastro. Come potevo essere sicuro di qualsiasi cosa, se perfino Fabio Volo si rivelava intimamente un sensibile e talentuoso poeta? Magari Francesco Totti conosceva a memoria Shakespeare, o Flavia Vento dipingeva deliziosi paesaggi in stile impressionista. O forse stavo esagerando.

 

Comunque sia, Tobia Benfoti non c’era più. Fabio Volo era morto. E la mia anima, le mie convinzioni, l’avevano seguito nella tomba.

 

Piansi.

 

Che fine ingloriosa, per il giustiziere.

 


 

Due anni dopo, uscì il mio primo volume di poesie. Ebbe un successo immediato e clamoroso, e fui pure invitato ospite a Porta a Porta e da Fabio Fazio. Si intitolava “Sonetti Furiosi”.

 

Klaus Davi purtroppo è ancora vivo, e così Crepet, Totti, Flavia Vento e Vasco Rossi, ma quello che conta è che nessuno abbia mai scoperto il colpevole.

 

In fondo, Tobia Benfoti lo conoscevo soltanto io…
 


 


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