Racconti brevi

TORNERA’…

di Michele Borgogni

 

Dopo un anno di attesa, il luglio tornò finalmente a far visita all’Italia, senza mancare di farsi sentire anche nel nostro piccolo quartiere, praticamente un paese nel quale tutti conoscevano tutti.

Fu un luglio caldissimo. “Il più caldo del secolo”, dicevano i vecchi e la tv, e qualcosa di vero doveva pur esserci visto che a dirlo erano fonti così autorevoli. A me, se devo dire la verità, sembrava caldo esattamente come quello prima. E forse, azzardavo, anche come quello prima ancora, anche se questo significava sforzare la memoria ai limiti massimi delle possibilità di un ragazzino.

Nessuno mi ascoltava, ma non era importante. I vecchi raramente ascoltano, preferivano parlare, e a me non dispiaceva stare a sentirli. A piccole dosi, ovviamente. Così le mie giornate passavano sempre uguali ma felici, tra partite di pallone e pedalate in bicicletta, ma quando si faceva sera andavo vicino alle panchine, sotto gli alberi del parco, e mentre gli anziani parlottavano tra loro io mi sedevo per terra, e ascoltavo.

 

La pensione che non basta mai, i politici tutti uguali, i soliti pettegolezzi di quartiere, le vecchie storie, i vecchi ricordi, i vecchi amici… qualcuno morto o malato, e pensare che era così giovane… Di solito il menù era questo. Ovviamente, poi, tutti avevano qualcosa da dire sul tempo. E in quei primi giorni di luglio l’argomento principe non poteva che essere quello.

 

Come al solito tutti si lamentavano: “di caldo si muore”, diceva Abele l’ex fruttivendolo in pensione; “avete sentito di quella signora anziana che non usciva mai, che abitava al quinto piano? Si è sentita male, l’hanno salvata appena in tempo. Ed è stato il caldo a ridurla così”. “È colpa dell’inquinamento”, ribatteva Teresa la pia, sempre in prima fila ad ogni messa, la nuova superstrada ha portato questo fracasso, e il puzzo delle macchine, e ora qui non si sta più bene come una volta. “E alle piante non ci pensate?”, continuava Antonio, che per tutta la vita era stato contadino. “Senza pioggia gli agricoltori come faranno? E il fiume così basso non si era mai visto, parola mia che abito qui da settanta anni filati”. Roba così insomma. Chi si lamentava di più tra tutti quanti era però Nonna Ada.

 

Nonna Ada non era mia nonna. A dire il vero non era la nonna di nessuno, non aveva figli né nipoti, ma tutti la chiamavano così, perché era vecchia, grassa e placida, sempre gentile e sorridente. E adorava noi bambini, tanto che quasi ogni giorno ci regalava dei buonissimi dolci fatti in casa, molto meglio di quelli delle nonne vere.

 

Nonna Ada era grassa, pensavo. Anzi enorme… per un bambino magrolino come me. Ogni pomeriggio però apriva la porta del suo appartamento al primo piano, scendeva le scale e andava a sedersi fuori, nel parco o sotto casa, a chiacchierare e a guardare il cielo. Era un mistero come potesse portarsi dietro quella mole ogni giorno… e non aveva mai preso l’ascensore! Un po’ di scale le facevano bene, diceva, e visto il suo sorriso doveva essere proprio così.

 

Anche quel luglio Nonna Ada continuava a sorridere, e a scendere le scale ogni giorno. Ma si lamentava del caldo, in continuazione, e soprattutto sudava. Beveva litri d’acqua, e un secondo dopo quell’acqua diveniva sudore, sulla sua fronte, sulla sua pelle, sui suoi vestiti. Lei si tamponava con un fazzoletto, ma anche quello diventava subito fradicio, e continuava a sudare, a bere… e a lamentarsi. Sempre sorridendo, però. Per prenderla in giro, qualcuno di noi proponeva di strizzarla, per riempire di nuovo il fiume che era secco. Lei ci guardava per un attimo indispettita, ma un subito dopo tornava a sorridere, e spesso tirava fuori da chissà dove un altro dolcetto, per quei cattivi ragazzacci che la facevano tanto dannare.

 

Io stavo bene con lei, e anche lei si era molto affezionata a me. Così ogni pomeriggio, tornando dalle mie avventure, andavo a cercarla e la salutavo. Lei mi vedeva sempre allegro e pimpante sulla mia bicicletta, mi sorrideva e si lamentava.

 

“Ah, benedetto ragazzo, ma come fai con questo caldo? Io sudo, sudo in continuazione, non ce la faccio più! Speriamo che l’inverno arrivi presto. E speriamo che ci arrivi anche io, se Dio vuole”.

 

Arriverà, arriverà! – le gridavo. Lei mi salutava, e io continuavo nel mio giro.

 

 

 

Arrivò l’inverno, e subito fu gennaio. “Il gennaio più freddo del secolo”, dicevano i vecchi e la tv. Molto freddo davvero… come quasi sempre a gennaio, del resto. Nevicò, il mio quartiere divenne bianco e silenzioso, e la gente smise di uscire di casa per chiacchierare, ma continuò ad incontrarsi nei corridoi, o nei negozi, e continuò a lamentarsi del brutto tempo e del grande freddo senza precedenti.

 

Si lamentava anche Nonna Ada. Dio aveva voluto che arrivasse all’inverno, e che continuasse a sorridere, a regalarci dolci, a non prendere l’ascensore. A lagnarsi, anche.

 

Un giorno la incontrai. Ero con un mio compagno di classe che abitava sopra casa sua, stavamo scendendo le scale; fuori c’era tanta neve, la scuola era chiusa e abbasso gli amici ci aspettavano per giocare. Lei stava rincasando tutta infreddolita, con la busta della spesa.

 

  • Ah, benedetto ragazzo – mi disse – ma come fai ad andar fuori a giocare con questo freddo? Beata gioventù, ma non hai nemmeno la sciarpa…
  • L’estate tornerà. Nonna Ada. – le risposi – Tornerà, vedrai!

 

Lei mi sorrise, mi saluto con la mano ed entrò in casa. L’estate sarebbe riapparsa, ma io per il momento ero intenzionato a godermi l’inverno. La neve mi aspettava!
 


 


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