Racconti brevi

LE CATACOMBE

 

Era il due di novembre, il giorno della commemorazione dei morti. Il “ponte” ci aveva consentito di essere liberi dalla scuola, quel sabato, perciò ci aggiravamo per la città annoiati ed in cerca di svago. Salvo era invece particolarmente su di giri, forse perché ancora un po’ brillo per aver bevuto eccessivamente alla festa della sera prima. Lui, già sedicenne, a differenza nostra, era l’unico autorizzato dalla legge ad acquistare gli alcolici. Ma era stato abbastanza magnanimo da condividerli con noi “ragazzini”. Lui era fatto così, uno giusto.

Salvo, il più figo del liceo, l’anima delle feste, con i suoi occhi verdi ed il sorriso perfetto, il sogno di ogni ragazza del Vittorio Emanuele II, in sintesi: molto amato.

Ma era il mio ragazzo.

Affascinante, carismatico, un vulcano di energie, aveva due anni più di me. Ero così grata di essere la sua ragazza, totalmente infatuata di lui, che se mi avesse chiesto di buttarmi in un pozzo con una pietra legata ai piedi, anzi al collo, semplicemente lo avrei fatto. Che cretina.

E non ero la sola ad essere affascinata dal suo carisma. Davide e Maria altrettanto, se non di più. E tutti e quattro combinavamo spesso guai in giro. Salvo il leader, io la sua donna e Davide e Maria i suoi accoliti.

<<Hey, riccioli d’oro, che ne pensi di dare una smossa a questa giornata così noiosa?>>, mi chiese avvicinando il suo viso al mio, accarezzandomi i capelli biondi. Adoravo quando mi chiamava riccioli d’oro. I miei perfetti boccoli biondi mi avevano procurato questo appellativo sin dalla prima volta che aveva posato lo sguardo su di me e da allora aveva continuato a chiamarmi così. E a me piaceva.

<<Cosa intendi fare?>>, gli chiesi subito, entusiasta per qualunque proposta mi avesse fatto ed altrettanto pronta a seguirlo ovunque.

<<Davide, Mary, facciamo qualche bella foto col morto?>> propose mandando in estasi i due fidanzatini che adoravano fare foto particolari da postare sui social network.

<<Dove andiamo?>>, chiese infatti il ragazzo, saltando immediatamente su nonostante la sua mole notevole.

<<Alle catacombe>>, rispose Salvo strizzandomi l’occhio, <<facciamo risvegliare i morti>> gridò saltando giù dalla panchina su cui era seduto e cominciando ad avviarsi per la strada.

Lo seguimmo come cagnolini adoranti, entusiasti e sprovveduti. Una nuova avventura ci aspettava.

Ci recammo al cimitero di catacombe della Chiesa dei monaci Cappuccini, che si trovano nel quartiere Cuba di Palermo. I sotterranei contengono circa ottomila salme, molte delle quali esposte. La più famosa delle quali è quella della piccola Rosalia Lombardo. La più “giovane” e meglio conservata delle mummie presenti nel cimitero.

Pagammo il biglietto e scendemmo le scale dei sotterranei.

<<Ci siamo già beccati un’occhiataccia>>, sghignazzò Davide riferendosi al monaco che ci aveva venduto i biglietti.

<<Per forza. Tu e Mary facevate un gran casino con quello smartphone e tu sei troppo nuda>>, rispose Salvo con noncuranza, riferendosi al mio abbigliamento, <<lasciatelo guardare, tra poco avrà ben altro di cui preoccuparsi… >>, ridacchiò sibillino.

<<Non sono troppo nuda, ho le calze coprenti>>, protestai guardandomi e mettendo il broncio.

<<Quegli shorts sono indecenti per una ragazzina di quattordici anni, ma a me piaci anche per questo>> disse Salvo, attirandomi a sé per baciarmi con avidità, mentre metteva una mano sul sedere e l’altra sul seno. Io ero in estasi e dimenticai subito il suo commento. Mary e Davide, intanto, ridacchiavano, indicando un cartello appeso in cima alle scale.

<<Dice di avere rispetto per i morti perché un giorno saremo come loro>>, ci riferì Mary ad alta voce, <<tu sicuramente sei ben lontano dalla forma fisica dei morti>>, scherzò rivolgendosi alle forme generose del suo fidanzato.

<<Senti chi parla. Quelle tettone enormi ci metteranno una vita a rinsecchirsi>>

<<Per tua fortuna>>, sghignazzò lei.

<<Insomma, un po’ di rispetto. Abbassate la voce, almeno>>, ci rimproverò un’anziana turista indignata, lanciando un’occhiata disgustata in direzione mia e di Salvo, che eravamo ancora abbarbicati l’uno all’altra. Io mi sottrassi alla sua stretta arrossendo e stavo quasi per scusarmi quando Salvo mi trascinò via, giù per le scale.

<<Deve scopare di più signora>>, gridò rivolgendosi alla donna mentre correva trascinandomi con lui, <<è rigida come una mazza da scopa>>, Mary e Davide ci seguirono ridendo sguaiatamente.

Ero mortificata, ma tacqui come facevo sempre. Non mi sarei mai azzardata a contraddirlo.

Percorremmo i corridoi infastidendo i pochi turisti presenti che si allontanavano da noi sconvolti, mentre noi parlavamo urlando, ridevamo e correvamo in giro a far foto alle varie salme. A più riprese la voce di un monaco, proveniente dagli altoparlanti, ci invitò a mantenere un atteggiamento rispettoso verso i morti e verso la morte stessa. Lo ignorammo.

<<Sucaaaaaaaa>>, gridava Salvo ogni volta, mostrando il dito medio alle telecamere. Davide e Mary non la smettevano di fare foto e ad un certo punto cominciarono a farsi selfie con le mummie, subito seguiti da un invasatissimo Salvo, entusiasta dell’idea.

Io rimanevo più defilata, partecipando alle foto solo se trascinata con la forza. Il posto mi incuteva un certo timore e trovavo irrispettoso farsi beffe dei morti sepolti laggiù. Sentivo una certa inquietudine percorrermi le braccia ed avevo l’impressione di commettere qualcosa di sacrilego con quegli atteggiamenti.

Gli sguardi di riprovazione degli altri avventori ed i moniti del monaco all’interfono facevano più presa su di me che sugli altri. La mia cattolicissima famiglia, infatti, aveva inculcato in me delle idee che nemmeno l’adorazione per Salvo riusciva a scalfire del tutto. Per quanto io mi professassi diversa da loro e totalmente atea.

Con questa modalità così rumorosa, giungemmo, infine, dinanzi alla piccola bara in cui era deposta Rosalia Lombardo. Davide, Mary e Salvo le scattarono decine di foto e risero del suo aspetto da “bambola assassina”, così la definì Davide, ululando per le risate insieme agli altri. Dopo poco, però, loro spostarono la propria attenzione sulle altre mummie, passando oltre la piccola Rosalia e lasciandomi indietro.

Quando si allontanarono io mi girai verso la bambina. Il mio stato d’animo era totalmente diverso. Rosalia mi sembrava davvero una bambola. Una delicatissima bambolina dai riccioli biondi. Qualcosa del suo aspetto mi commosse. Pensai all’amore che aveva ispirato quella sepoltura, al dolore di un padre trafitto della perdita della propria piccolina. Ed una lacrima silenziosa scese a rigarmi le guance. Inaspettatamente mi ritrovai a farmi il segno della croce e, pur senza pronunciare una sola parola, recitai nella mente una preghiera per l’anima della bambina, come mi aveva insegnato a fare la nonna da piccola.

Mi rifeci il segno della croce e sospirai. Mentre mi giravo per apprestarmi a raggiungere gli altri, un soffio di vento gelido mi sollevò qualche ricciolo biondo. Mi fermai di botto.

La pelle d’oca mi ricoprì immediatamente le braccia. Avevo sentito chiaramente qualcosa di freddo, forse glaciale, sfiorarmi il collo. Il panico mi mozzò il fiato.

<<Riccioli d’oro, datti una mossa>> gridò Salvo, afferrandomi all’improvviso per le braccia.

Lanciai un urlo di terrore che rimbombò per tutte le gallerie.

Salvo scoppiò a ridere per la mia reazione.

<<Te la sei fatta addosso dalla paura, non posso crederci>>, ululava fra le lacrime. Io rimasi rigida ad osservarlo, innervosita. In quel mentre Davide e Mary ci raggiunsero correndo.

<<Ragazzi, sta scendendo il monaco a cercarci. Qualcuno è andato a chiamarlo>>, ci avvisarono, avvicinandosi trafelati.

<<E tu lascialo venire, che ci frega, non ho paura di lui>>, non si scompose Salvo, tornando a guardarmi.

<<C’è qui qualcuno, invece, che se la fa sotto per la paura dei fantasmi>>, affermò ridendo di me ed incrociando le braccia mentre mi fissava. Gli altri due scoppiarono a ridere sguaiatamente.

<<Non ho paura dei fantasmi è solo che…>>, balbettai a bassa voce.

<<Davvero?>>, Salvo mi fissava con un sopracciglio alzato, <<allora voglio che superi una prova di coraggio>>, a queste parole gli altri due cominciarono a gridare a voce ancora più alta e a ripetere “prova, prova, prova” in coro, battendo al contempo le mani. Io non fiatai ma fissai Salvo con le labbra tremanti.

<<Forse ho scelto la ragazza sbagliata>>, disse lui con uno sguardo freddo, <<forse oltre al bel culo sei solo una pappamolle e a me non piacciono… le pappamolle>>.

Cominciai a tremare per l’umiliazione ed il terrore che mi lasciasse. Ero ferita dalle sue parole ma ancora di più sprofondai in un panico improvviso, credendo all’idea che desse seguito alla sua minaccia.

<<Non sono una pappamolle>>, dissi stringendo i pugni per impedire che le mani mi tremassero.

<<Provalo, riccioli d’oro, oppure non sarai più la mia ragazza>>, insistette Salvo.

“Prova, prova, prova”, continuavano a gridare gli altri due.

<<Che devo fare?>>, mi arresi con voce tremante.

Salvo rise e corse a baciarmi con trasporto, <<così ti voglio, riccioli d’oro>>. Davide e Mary esplosero in grida di giubilo.

Mi portarono in un corridoio diverso e mi fecero superare un cordoncino che limitava l’accesso ad una stanza. Il cartello sul muro indicava che si trattava del “gocciolatoio”, il locale in cui venivano poste le salme ad essiccarsi prima di essere imbalsamate. Salvo mi trascinò dentro per il braccio e mi fece sedere sulle panche di pietra all’interno di esso.

<<Ora voglio che ti sbottoni la camicetta e fai veder le tue belle tette>>, m’ingiunse con una luce aggressiva nello sguardo.

<<Che cosa? Sei impazzito? E se arrivasse qualcuno, se…>>

<<Finiscila di piagnucolare o finisce qui!>>, mi zittì ferocemente.

Davide e Mary, intanto, avevano trafugato un teschio tra quelli esposti e lo avevano portato nella stanzetta.

<<Dai, ragazzina, fatti una bella foto col teschio e dagli un bacio appassionato, ti voglio sexy e provocante col nostro amico pelato>>.

Ero impietrita dal disgusto e dal terrore mentre Davide e Mary, invece, erano come invasati, e continuavano a condividere ogni affermazione di Salvo e ad incitarmi con le loro urla.

<<Salvo ma io non posso, mi fa schifo…>> protestai, con gli occhi pieni di lacrime.

<<E a me fai schifo tu se non lo fai>>, mi aggredì, aprendomi la camicetta con la forza e facendo saltare i bottoncini che la chiudevano, <<fallo, o giuro su Dio che ti lascio qui da sola, subito>> mi intimò, dandomi il colpo di grazia.

Non potevo perdere Salvo, lui era la mia luce, l’unico motivo per cui la mattina mi svegliavo e mi vestivo per andare a scuola. Non potevo deluderlo, non potevo farmi lasciare. E così, feci ciò che mi chiedeva.

Mi misi in posizione provocante, allargai le gambe, poggiai il teschio sul seno ed avvicinai le labbra. Puzzava di morte. Resistendo alla nausea guardai Salvo, per vedere se era soddisfatto e quando colsi una luce di interesse nei suoi occhi, dimenticai quell’odore, la paura e gli scrupoli.

Il sorriso soddisfatto che mi rivolse mi diede coraggio e a quel punto cominciai una specie di servizio fotografico col morto, mentre Davide e Mary mi scattavano le foto, in pose sempre più ardite.

Salvo osservava e ghignava. Il suo interesse era per me un potente afrodisiaco ed uno sprone e da quel momento tutti e quattro fummo dissacranti, sprezzanti ed incuranti del rispetto che avremmo dovuto avere per la memoria di coloro che erano stati sepolti laggiù.

Ci facemmo beffe della morte stessa.

Quella sera fummo portati tutti al commissariato di polizia. Ci avevano arrestati ed i nostri genitori erano stati multati in attesa di un processo nei nostri confronti.

Da quel momento, per due giorni, dopo la festa per la commemorazione dei morti, fui rimproverata dal commissario, dai poliziotti che ci avevano fermati, dal magistrato, dalla psicologa, dai miei genitori, dai professori messi al corrente dell’accaduto, dal preside e persino dal prete.

La lunga sequenza di definizioni che ci rifilarono “irresponsabili, incorreggibili, maleducati, deviati, senza speranza, irrecuperabili, corrotti, perversi e peccatori” non riuscì, però, a colpire il mio spirito più di quanto stesse già facendo, da sola, la mia coscienza.

Lontana da Salvo e dalla sua influenza ero lentamente tornata alla realtà e, mentre tutti si affannavano a punirmi e rimproverarmi, credendo che a me non importasse nulla di ciò che dicevano, io mi autoflagellavo da sola. Chiusa nella mia stanza non la smettevo di colpevolizzarmi e sentirmi a disagio. Ma non era solo il senso di colpa a tormentarmi.

C’era il freddo. Un freddo intenso, ininterrotto e apparentemente senza ragione. La sensazione di gelo che avevo avvertito vicino alla salma di Rosalia Lombardo, infatti, aveva continuato ad accrescersi in me. Avevo costantemente mani e piedi avvolti dal ghiaccio, che pian piano sembrava lentamente espandersi in tutto il corpo, accompagnato da una progressiva perdita di sensibilità negli arti. I brividi erano ormai onnipresenti.

Quella sera andai a dormire coperta, oltre che dal solito piumone, anche da due trapunte in pile, indossai un doppio paio di calzini di lana, il pigiamone che utilizzavo solo quando la mia famiglia partiva per andare a sciare in Trentino e una vestaglia in ciniglia. Eppure continuavo a battere i denti. Speravo di non trascorrere la terza notte di fila insonne, a girarmi e rigirarmi nel letto gelido…

Non fu così. Le mie speranze furono ascoltate. Quella notte, nonostante il freddo, mi addormentai subito. Finalmente, ero così stanca.

La bambina era ai piedi del mio letto. Bionda, riccioluta, con i lineamenti fini ed innocenti tipici della sua età. Era bellissima. Mi sorrideva. Ed emanava luce e calore.

<<Grazie, per aver pregato per me>>, disse e mi sorrise. Tese la mano. Ricambiai il sorriso e l’afferrai. Era calda, morbida e profumata. Scostai le coperte. Non ero stupita di trovarla là. La seguii.

La morte mi aveva preso con sé, quella notte. Rosalia mi aveva guidata verso di lei.

Per il sincero pentimento mostrato e l’attimo di commozione provato dinanzi al sepolcro della bambina, ero stata, però, graziata. Il mio trapasso fu infatti dolce e mi addormentai con un sorriso. Per sempre…

Quattro bare furono esposte, allineate, per i funerali nella cattedrale di Palermo. Tre di esse erano chiuse. Una rimase, invece, aperta.

La morte violenta subita da Salvo, Davide e Maria non aveva permesso che le loro salme venissero mostrate al pubblico.

Salvo si era ucciso, dandosi fuoco in un attacco di sonnambulismo, di cui non aveva mai sofferto prima, ed il suo corpo aveva riportato ustioni sul cento per cento del corpo.

Davide era soffocato nel sonno, nel suo stesso vomito e si era gonfiato talmente tanto che non riuscivano più a distinguersi le sue sembianze.

Maria era letteralmente morta di paura, sempre durante il sonno e, per via dell’irrigidimento muscolare avvenuto durante il suo sogno, non erano riusciti a chiuderle la bocca spalancata in un muto grido di terrore e gli occhi vitrei aperti su qualcosa di spaventoso.

Il mio corpo, invece, era intatto. I miei lineamenti erano rilassati ed in quel momento ero talmente simile alla piccola Rosalia da sembrare una sua versione più adulta. Irradiavo serenità. Perché ero morta in pace.

Nel giorno della commemorazione dei defunti noi quattro avevamo sfidato la morte, facendoci beffe di “lei” e di coloro che… non c’erano più. E dalla morte eravamo stati puntiti. Ognuno secondo la propria colpa.

 

Caterina Schiraldi

 


 


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