Il giorno prima avevo ricevuto una quantità di regali impressionante. Non mi aspettavo tanta generosità e ne ero piacevolmente stupita. Dopo sei anni avevo finalmente deciso di tornare a festeggiare il mio compleanno ed evidentemente l’evento aveva avuto la sua risonanza. Dopotutto ero una blogger che cominciava a farsi un nome ed in città ormai mi conoscevano tutti.
Cominciai con calma a mettere in ordine le varie scatole, un lavoro per altri noioso, ma che riempiva me di soddisfazione, visto che ero sempre stata una maniaca dell’ordine meticoloso e schematico.
Quando dalla busta avevo ormai tirato fuori tutti i doni, mi colpì la presenza di un ultimo contenitore che mi era sfuggito prima.
Aggrottai la fronte e mi chinai a raccoglierlo. Gli occhi mi si illuminarono. Era un gioco interattivo di ultima generazione. Di quelli che si connettevano alle funzioni neuronali per creare una realtà ludica che si sovrapponeva a quella vera. Adoravo quei giochi e recensirli era uno dei servizi che mettevo a disposizione tramite il mio blog.
Corrugai la fronte, sforzandomi di ricordare. Chi mi aveva donato quel gioco? Non lo ricordavo, ma avevo bevuto così tanto…
Osservai la copertina incuriosita. Era totalmente bianca con una figura di donna circondata da lunghi capelli al centro e il titolo del gioco era semplicemente “the game”. Non l’avevo mai sentito nominare prima. Voltai il contenitore per leggerne le caratteristiche. Si trattava di un gioco in prima persona la cui descrizione si limitava alla frase “vi sembrerà così reale che tutto il resto scomparirà”.
Incuriosita, afferrai lo smartphone e cercai il titolo del gioco su Google. Niente. Non trovai alcuna fonte che lo citasse. Né siti specializzati in quel tipo di giochi interattivi, né video su YouTube, né forum. Il mistero si infittiva.
Sempre più curiosa mollai tutto per provare immediatamente a giocare. Qualcosa mi diceva che si trattava dello scherzo di qualche amico, magari un video di mie foto in pose compromettenti, che avrebbero stroncato la mia nascente carriera da influencer fosse stato visto dai miei follower. Non ero mai stata proprio una santa, chi mi conosceva lo sapeva, ma i miei “discepoli” non dovevano saperlo.
Chissà quale dei miei amici mi aveva giocato questo tiro. Mentre prendevo in mano l’adesivo-chip per la fronte, che mi avrebbe permesso di giocare, mi bloccai un attimo, dubbiosa. E se si fosse trattato del tiro mancino di un hater piuttosto che dello scherzo di un amico? Non ero ancora tanto famosa per essere presa di mira in maniera spietata ma da un paio di settimane avevo cominciato a ricevere dei messaggi poco carini da denigratori frustrati che, chiaramente, non mi amavano e non amavano ciò che rappresentavo. Sollevai le spalle con noncuranza. Se si fosse trattato di quest’ultima ipotesi avrei semplicemente buttato tutto nell’immondizia.
Infilai il gioco nell’apposita fessura e lo lanciai. Subito i classici suoni della piattaforma mi rassicurarono sulla provenienza originale del chip.
Le immagini mi scorrevano nella mente grazie all’adesivo-chip che avevo in fronte e che stimolava le onde neuronali per creare una realtà interattiva che andava a sovrapporsi a quella vera.
Di solito accusavo sempre un po’ di mal di testa dopo tante ore di gioco ma questa volta la fitta che mi colpì il capo, potente, istantanea e devastante fu immediata e talmente forte da farmi lanciare un urlo. Il cane sobbalzò nella cuccia. Stupito e intimorito da quell’urlo improvviso.
Portai la mano alla fronte per cercare di tirarmi via il chip ma così com’era arrivata, la fitta al capo era svanita, mentre la vita attorno a me scomparve in un turbine bianco e ghiacciato.
Caddi in avanti in un vortice che mi risucchiò, e la realtà che conoscevo scomparve del tutto. Non ero più nel soggiorno di casa mia ma in un posto indefinito, di cui scorgevo appena qualche ombra inghiottita da un muro spesso di nebbia lattilaginea. Il gioco era cominciato… the game prese vita.
Dopo un attimo di stordimento l’eccitazione della realtà virtuale del gioco prese il sopravvento e, mentre mi stupivo dell’alta definizione della realtà alternativa, dimenticai dubbi e timori e mi predisposi a giocare la mia partita. Nelle mie iridi furono inviate le istruzioni per cominciare, indossare l’attrezzatura, sintonizzare il nervo ottico sulle onde trasmesse dalla postazione, regolare il visore, le luci e i suoni. Terminata la fase delle impostazioni iniziali il gioco mi invitava a prendere visione dell’ambiente circostante come primo passo. Voltai il capo a destra e sinistra ma attorno a me vedevo solo alti muri di nebbia con al centro un percorso che conduceva verso il basso. Una freccia luminosa mi comparve nelle iridi e mi indicò di seguire il percorso.
Cominciai a camminare piano, seguendo il sentiero che degradava lentamente. Le istruzioni dicevano di proseguire fino al raggiungimento dell’obiettivo. La mappa interattiva indicava di proseguire per cinquecento metri, fino al segnale rosso lampeggiante.
Proseguii la mia esplorazione per una decina di minuti, guardando, colpita, il mondo attorno a me… Le confortanti e fresche mura di casa mia, col tetto in legno ed il divano di fronte al camino erano sparite, al loro posto vedevo solo nebbia e ombre indefinite sullo sfondo, e sopra di me c’era un cielo color ruggine che aveva un aspetto molto strano, sembrava quasi muoversi… la grafica del gioco era inquietante nella sua semplicità ma allo stesso tempo nella sua verosimiglianza. Tutto sembrava estremamente vivo.
Il sentiero che stavo percorrendo, invece, sembrava un lungo tappeto nero da cui emanava uno strano odore. Ed anche questo era singolare. La realtà virtuale di solito era sì molto simile a quella vera, ma la tecnologia non poteva creare odori e sensazioni totalmente sostituibili a quelle reali. Ciò perché una legge, per tutelare la salubrità mentale dei giocatori, aveva vietato le connessioni neurologiche che si spingevano ad alterare le percezioni sensoriali diverse da quelle legate al nervo ottico. Ma questo gioco sembrava essere andato oltre, che si trattasse di un gioco pirata?
Mentre i miei pensieri erano impegnati in tali riflessioni cominciai ad avvertire una strana sensazione lungo il collo. Mi sentivo osservata. Mi voltai di scatto con la certezza di vedere qualcuno alle mie spalle ma dietro di me c’era il solito muro bianco e null’altro… tornai a voltarmi lentamente in avanti ma la sensazione di essere seguita ed osservata rimase immutata. Le informazioni che il gioco mi inviava non evidenziavano alcun alert perciò non avrei dovuto temere alcun ostacolo proveniente da dietro, eppure non riuscii a tranquillizzarmi subito. Piccoli brividi mi ricoprirono le braccia… quel gioco era davvero molto strano… e molto realistico.
Colpita da un pensiero improvviso, allungai un braccio verso il muro di nebbia, potevo sentirne consistenza e umidità. Il mio cuore accelerò i battiti… possibile che questo gioco avesse violato le normative internazionali a protezione dai danni neurologici? Da un lato mi sentivo spaventata ma dall’altro ero eccitata dalla novità… mi ero sempre chiesta se la tecnologia avrebbe mai potuto creare una realtà virtuale totalmente sovrapponibile a quella vera, la risposta pareva essere dinanzi ai miei occhi. Già immaginavo le recensioni strepitose che avrei scritto nel mio blog!Avevo appena scoperchiato il vaso di Pandora…
Nel frattempo, nel soggiorno di casa mia, il mio cane cominciò ad annusare preoccupato il mio corpo inerte, immerso nel gioco, da un orecchio aveva cominciato a colare un rivolo di sangue…
In questo gioco sembrava che l’unico obiettivo fosse l’esplorazione e i cinquecento metri da percorrere prima di raggiungere l’obiettivo lampeggiante stavano cominciando a sembrarmi cinque chilometri. Stavo iniziando ad annoiarmi, mentre procedevo lentamente lungo il sentiero, quando un movimento sul lato sinistro attirò la mia attenzione.
Mi fermai per guardare e cercare di scorgere qualcosa tra la nebbia. Strinsi gli occhi, ma vedevo solo bianco e ombre indistinte. Ombre che cominciavano a muoversi, però…
Le palpitazioni aumentarono, le mie iridi lampeggiarono allertate dal sistema. Finalmente un po’ di movimento!
Ero pronta ad intervenire, il mio occhio sinistro indicava di prendere le armi di cui mi ero inizialmente attrezzata e che si trovavano nello zainetto che portavo sulle spalle. Fui lesta ad afferrare il bagaglio per trovarvi dentro il necessario per affrontare il pericolo imminente. All’interno c’era una pistola che sparava pallottole incendiarie e una scatola di munizioni. Con cosa avrei avuto a che fare? Mi chiesi un attimo prima che un’ombra mi si parasse dinanzi.
Lentamente, ciondolando da un lato una figura semi-umana emerse dalla nebbia, mugolando e biascicando… uno zombie! Il cuore fece un capitombolo nel petto. Adoravo giochi e film con gli zombie come protagonisti e chiunque mi avesse regalato quel gioco mi conosceva bene. Probabilmente era stato Luca, il mio compagno d’infanzia col quale ero cresciuta a pane e film di Romero.
Salivazione azzerata, cuore impazzito ma armi in pugno, mi preparai a prendere la mira. Nell’occhio destro comparve il mirino virtuale che da rosso diventava verde quando l’obiettivo era perfettamente centrato… Sollevai entrambe le mani per concentrare tutta la potenza di fuoco della pistola verso la testa, allargai le gambe per stabilizzarmi, pronta a sparare e…
Non appena il segnale cambiò colore mi sentii afferrare improvvisamente dalla gola. Avevo il dito sul grilletto perciò il colpo partì ma puntò verso il cielo rosso ruggine. Il fiato mi uscì di gola in un rantolo mentre soffocavo con la gola stretta da due tenaglie che puzzavano di pesce marcio.
Il visore non mi aveva avvisato di un nuovo alert, che cazzo stava succedendo?
Il dolore sordo e pulsante che provavo alla gola era troppo reale, troppo intenso… non era normale provare sensazioni fisiche così forti in un gioco interattivo.
Mi sentivo svenire, le gambe cominciarono a tremare e la testa a girare per la mancanza d’aria. Con un ultimo sforzo di volontà staccai la mano destra da ciò che mi stringeva il collo per dirigere la pistola verso la parte posteriore del mio orecchio sinistro, lato da cui il fetore di pesce proveniva più intenso.
Premetti il grilletto e quasi all’istante tornai a respirare. Caddi carponi massaggiandomi la gola in fiamme ma in preda all’ansia non persi tempo e mi girai per vedere cosa mi avesse afferrato. Ero certa si trattasse di uno zombie ma ciò a cui non ero preparata era che la creatura avesse le fattezze del mio amico, si trattava proprio di Luca.
Il corpo che si contorceva ai miei piedi, ferito ma ancora non vinto e che aveva tutte le sembianze di uno zombie fatto e finito era quello del mio amico d’infanzia… com’era possibile? Gridai impazzita per la paura, la rabbia ed il dolore, spingendomi indietro scivolai sulle natiche senza nemmeno provare ad alzarmi, le gambe mi tremavano troppo per reggermi in piedi. Tutto ciò non era possibile! Un gioco interattivo non poteva assumere le fattezze dei miei amici. No, questo era un incubo. Mi ero forse addormentata giocando e la realtà onirica si era sovrapposta a quella virtuale? Ma quando? Come? Non mi era mai successo prima…
Nell’ansia e la paura generati da quella visione mostruosa avevo dimenticato il primo zombie, che nel frattempo mi si era avvicinato barcollando. Ne scorsi l’ombra un attimo prima che riuscisse ad afferrarmi e rotolando sul ventre riuscii ad evitare la sua presa mortale. Mi rialzai precipitosamente nonostante la testa mi girasse ed il fiato mi mancasse. Giusto in tempo per scorgere il volto della creatura finalmente fuori dalla nebbia. Il mio grido lacerò l’aria ma fu inghiottito dalla nebbia spessa e farinosa. L’essere immondo di fronte a me era un altro mio amico. Joe! Il mio vicino di casa che mi invitata a grigliate e giornate all’aria aperta con i suoi amici e sua moglie.
Gridai fino a raschiarmi la gola e sentire il gusto del sangue, dopodiché corsi, corsi lontana dall’incubo, dalla paura e dall’incredulità. Non sapevo nemmeno dove stessi andando ma volevo solo fuggire via. Mi tastai la fronte in cerca del chip che mi avrebbe scollegata dal gioco ma non trovai nulla eccetto il mio sudore freddo… il panico mi avviluppò svuotandomi la mente, e allora non mi rimase che correre.
Le indicazioni virtuali sulla mappa indicavano ancora un punto da raggiungere che ormai distava solo duecento metri e fu la direzione che presi quasi inconsapevolmente, mentre miriade di pensieri e paure si rincorrevano, sfrecciavano e si accavallavano nella mia mente. Nel frattempo lo zombie Joe aveva preso a seguirmi, con la sua andatura caracollante ma inarrestabile. A lui si era aggiunto lo zombie Luca e dietro di loro, senza che io lo sapessi, una decina di amici e conoscenti era andato ad ingrossare le fila degli inseguitori. Pier, Anna, Andrea, Salvino, Gina, Gecchi, Arianna e Marcella. I miei amici, che la sera prima avevano festeggiato con me il compleanno, ora erano diventati tutti zombie e la mia nemesi… così come avevamo brindato insieme e festeggiato banchettando, ora tutti loro avrebbero voluto cibarsi del mio corpo… mancavano solo Ale e Ilaria. Ma io non potevo saperlo né conoscerne il perché… io correvo, correvo e basta. La paura era il mio motore.
Nel soggiorno di casa mia, nel frattempo, il mio cane aveva cominciato ad abbaiare. Il mio corpo era scivolato dalla sedia e si era accasciato sul pavimento. Un filo di saliva colava dall’angolo destro della bocca e lungo il collo. Il mio cucciolone aveva cominciato a darmi zampate sulle braccia cercando di svegliarmi…
Con un piccolo esercito di zombie alle spalle ed ombre vaghe ed inquietanti che si muovevano dietro il muro di nebbia, io non pensavo che a correre e presto raggiunsi l’obiettivo lampeggiante sulla mappa interattiva.
In quel punto la nebbia era più rada e riuscivo a scorgere ciò che mi circondava. Di fronte a me scorreva un fiumiciattolo, all’interno di esso vedevo l’erba mossa dalla corrente impetuosa. Dietro di esso si apriva una vallata, che terminava con alcune colline verdeggianti, alberi alti ombreggiavano i due versanti del fiume. Era un paesaggio ameno e bucolico e in parte mi fece recuperare lucidità. Nonostante continuassi a sentire i mugugni e i versi animaleschi che provenivano dalle mie spalle e la nebbia continuasse a circondarmi a destra e sinistra, celando ombre in movimento…
Mi diedi giusto il tempo di recuperare il fiato prima di dirigermi verso il fiume. La mappa interattiva indicava con un segno rosso lampeggiante il centro esatto del corso d’acqua come obiettivo della mia ricerca. Ma come potevo tuffarmici dentro senza essere travolta dalla corrente?
Alle mie spalle le presenze si facevano sempre più vicine. Mi concessi di lanciare uno sguardo e ciò che vidi mi gelò il sangue. Il sorriso contagioso e baffuto di Salvino ormai era un ghigno grondante bava e gli occhi vitrei non protetti dagli occhiali erano puntati su di me, al suo fianco la figura minuta di Anna aveva perso la propria femminilità a favore di un violaceo gonfiore delle membra che dava il sentore del puzzo che emanava. I cerulei occhi di Arianna avevano perso la fiamma vitale che li contraddistingueva per fissare il vuoto senza vedere altro che la fame che la spingeva verso la sua preda… io.
Gli zombie di solito non attraversavano l’acqua perciò il fiume rappresentava la mia unica salvezza. Ecco perché il gioco mi indicava il centro di esso come obiettivo.
Ma che gioco era? Un gioco crudele che rendeva dei mostri i miei amici e metteva a repentaglio la mia vita? E che fine aveva fatto il chip sulla mia fronte? Non poteva che essere uno scherzo crudele! E l’ipotesi che si trattasse del tiro mancino di un hater tornò a farsi strada nella mia mente. Doveva trattarsi, però, di qualcuno che mi conosceva molto, molto da vicino.
L’idea mi intristì ma non mi impedì di cercare la salvezza verso il fiume, così mi chinai a sfilare frettolosamente le scarpe per avvicinarmi all’acqua… infilai il piede destro ed il gelo mi ghermì l’arto salendo fino al polpaccio. Strinsi i denti, non avevo scelta.
Sentivo gli zombie avvicinarsi lentamente ed inesorabilmente e le ombre dietro i muri di nebbia si stavano addensando pericolosamente. Temevo di scorgere il volto di qualche altro mio caro deformato dalla morte e dalla putrefazione comparirmi dinanzi… no, sarebbe stata la fine della mia sanità mentale. Dovevo tuffarmi.
Intanto il mio corpo, inerme nel soggiorno di casa, aveva cominciato a perdere sangue dagli occhi, dall’altro orecchio e dal naso, piccole convulsione lo scuotevano da capo a piedi. Il cane abbaiava disperato.
Presi un respiro profondo e chiudendo gli occhi mi lanciai nel fiume. Il gelo mi avvinghiò il corpo all’istante, facendomi perdere sensibilità e respiro. Sentii come se centinaia di spilli mi stessero pungendo contemporaneamente creando quasi una sensazione di scossa elettrica. Nonostante tutto non mi fermai, muovendo come un’ossessa gambe e braccia nuotai verso il centro, lottando contro il freddo e la corrente e cercando di non impigliarmi nell’erba che emergeva dal fondo. Il mio obiettivo, ormai era raggiungere il segnale e tentare di disconnettermi dal gioco, anche se non avevo idea di come potessi farlo senza il chip di connessione.
Mi sentivo le membra pesanti ma il mio atto di coraggio aveva funzionato! I miei amici-zombie avevano raggiunto la sponda del fiume ma rimanevano lontani circa un metro da esso. Sembravano temere l’acqua. Si disposero in un ventaglio lungo l’argine osservandomi con quegli occhi vacui e le bocche sbilenche. Gli occhi mi si riempirono di lacrime scorgendo i volti di Pier e Marcella che guardavano senza di me senza vedermi. La sera prima mi avevano intrattenuta raccontandomi aneddoti sui loro figli ed ora erano là pronti a cibarsi delle mie carni, con i volti deformi e la pelle putrescente. Era un incubo! Non poteva trattarsi che di un incubo o di un gioco terribile. Ma chiunque fosse stato il colpevole me l’avrebbe pagata! Questa volta lo avrei denunciato alla polizia postale e al diavolo se avrei perso qualche follower scherzi così non potevano passare sotto silenzio. Ne avrei fatto una lunga story su Instagram in cui avrei messo in guardia tutti da scherzi del genere…
Nonostante quei pensieri continuavo a muovermi per evitare che il freddo, intenso come se fosse stato reale, avesse il sopravvento ma non avevo idea di cos’altro fare. Il segnale del gioco nelle mie iridi continuava a lampeggiare sempre più rapidamente, procurandomi anche un dolore sordo agli occhi ma non capivo cosa voleva che facessi.
Cominciai a nuotare in cerchio nel punto esatto indicatomi sulla mappa ma, nonostante il segnale aumentasse di frequenza, non trovavo una soluzione. Dannazione! Cominciavo a sentire le gambe intorpidite e a faticare nella lotta continua con le alghe del fondo, che sembravano essere aumentate, nel frattempo…
Nella foga di muovermi non mi accorsi che l’aspetto della vegetazione fluviale era mutato e che il caratteristico colore verde stava gradatamente assumendo tonalità più scure. La stessa consistenza della fauna stava cambiando, assumendo l’aspetto di lunghi fili scuri che mi fluttuavano attorno al corpo.
Mi accorsi che c’era qualcosa di strano quando ormai era troppo tardi. Le alghe erano svanite. Al loro posto c’era una massa corposa, nera e terrificante di… capelli. Forti come corde e avvolgenti come boa constrictor.
Mi avvinghiarono in pochi istanti polsi e caviglie impedendomi i movimenti. Non feci nemmeno in tempo a rendermi conto di cosa stesse succedendo quando un’altra lunga ciocca mi si attorcigliò attorno al collo, come il tentacolo potente di una piovra.
Non riuscivo più a muovermi, ero bloccata. Cercai disperata di strattonare per spezzare le mie “catene” ma il mio corpo, prigioniero, cominciò ad affondare nell’acqua gelida e scura.
Mi divincolavo come una forsennata, disperata, impaurita e con la mente svuotata dal panico ma la massa di capelli neri mi circondava da tutte le parti, mi avvolgeva e mi stritolava sempre di più. Il respiro mi uscì dai polmoni stretti nella morsa e lentamente sprofondai nelle acque gelide mentre il mio cervello si ribellava come un uccello impazzito all’inesorabile destino.
Potevo morire giocando in una piattaforma interattiva? Era possibile? Non avevo mai sentito una cosa simile ma se fossi morta nel gioco cosa sarebbe successo al mio corpo reale?
Volevo disperatamente uscire da quell’incubo, liberarmi, tornare a casa mia. Mi rifiutavo di accettare l’inevitabile fine e provai a volgere il capo in tutte le direzioni per capire da dove provenissero quei capelli che mi stringevano. Lottai più che potevo ma più tentavo di liberarmi più rimanevo impigliata. Tentai di guardare a destra e sinistra in cerca di un appiglio, un aiuto o una speranza e fu là che la vidi…
Dalla massa scura, ondeggiante, quasi fumosa che l’avvolgeva emerse una figura di donna. Bellissima come una divinità, letale come uno scorpione. La riconobbi all’istante, nonostante le fattezze trasfigurate.
Era Ilaria, la mia amica partenopea che mi aveva conquistata con sfogliatelle e mozzarelle di bufala. In quel gioco mortale era la personificazione del male, ammantata di potere e definitività ed era là per darmi inesorabilmente il colpo di grazia.
Accanto a lei comparve quasi simultaneamente un’ultima figura umanoide, Alessandro. Mancava solo lui all’appello degli invitati al mio compleanno. La sera prima aveva passato tutta la cena a punzecchiarmi con ironiche battute sulle mie presunte capacità culinarie ed ora era armato di una fiocina puntata nella mia direzione.
Allora non poteva trattarsi che di un incubo. Dovevo essermi addormentata senza rendermene conto. Probabilmente avevo bevuto più del normale la sera precedente. Confortata da questo pensiero mi rilassai, smisi di lottare e mi lasciai andare.
I segnali di pericolo inviati dal gioco, in quel preciso momento, mi esplosero negli occhi e nella testa provocandomi un dolore insopportabile. Gridai, nonostante stessi affondando, ma ottenni solo di riempirmi la bocca di acqua e svuotarmi i polmoni. Con un baluginio negli occhi rossi e iniettati di sangue Alessandro si avventò su di me e mi inferse il colpo mortale.
Il cane ululò disperato. Dopo un’ultima contrazione il mio corpo rimase inerte. Il cuore si era fermato, perdevo sangue da tutti gli orifizi. Una pozza di liquido rosso mi avvolgeva. La luce della postazione virtuale lampeggiò un’ultima volta e poi si disattivò. Il gioco era finito… Quello stesso giorno, nelle borse e nei cassetti di tutti i miei amici comparve una misteriosa scatola bianca, con la figura di una donna scura impressa sul fronte. The game era pronto ad essere lanciato…
Caterina Schiraldi