Racconti

Ero a spasso da ormai troppi mesi e la situazione cominciava a farsi complicata. 

Avevo spedito qualche curriculum, chiesto ad amici ed importunato conoscenti, ma un posto di lavoro per me sembrava non esserci.

Ero abbastanza disperato da prendere in considerazione anche uno di quei lavori sottopagati che “nessuno vuole più fare”. E devo ammettere che mi stavo svendendo parecchio, in fondo avevo esperienza, una laurea in statistica, bella presenza e un filo di cinismo: abbastanza per essere pungente ma non troppo da levarmi il romanticismo.

Quella sera stavo contemplando dal balcone della casa, da cui sarei stato sfrattato, il rosso del conto corrente che sfumava nel rosso del tramonto, consumando una sigaretta con la lenta fumata del consapevole condannato alla povertà, che sa di non poterne comprare altre. Non avevo voglia di pensare, mi limitavo a guardare l’orizzonte. Uno spazio particolarmente privo di prospettive, in quel momento.

Il gracchiare del campanello disturbò la mia autocommiserazione, andai svogliato ad aprire all’ennesimo “ultimo avviso” – scalzo, con la maglia slabbrata e la barba di due giorni: un creditore non meritava una migliore visione di me.

Sorprendentemente non trovai qualcuno desideroso di spezzarmi i pollici, ma una distinta signora forse eccessivamente pallida, che non fece alcuno sforzo per dissimulare l’espressione di rimprovero per il mio aspetto. Era sofisticata, elegante, bella, di età indefinibile; occhi che sembravano aver visto già tutto, gesti rapidi di chi è abituato a decidere in fretta. Inconsapevolmente mi scostai per farla entrare, e la cosa le strappò un sorriso ironico. Mosse qualche passo nel soggiorno, si soffermò sui libri, scambiò una lunga occhiata col gatto (e potrei giurare che si stessero dicendo qualcosa), dopo di che si tolse il lungo soprabito nero, si accomodò sul divano e con un gesto mi invitò a sedermi sulla poltrona di fronte. Ubbidii.

– “Gioca?” chiese, indicandomi la scacchiera sul tavolino tra di noi.

– “Piuttosto male” risposi.

Lei stava disponendo i pezzi, poi girò la scacchiera per lasciarmi i bianchi e la prima mossa.
– “A lei! io preferisco il nero, mi si addice”.

Aprii con il pedone centrale e mi pareva davvero di essere in un vecchio film in bianco e nero.

Aveva mani sottili, curate, e dal polsino dell’abito balenava il luccichio di un bracciale d’argento. Non aveva altri gioielli, il trucco era discreto, i capelli biondissimi, quasi argentati accarezzavano le spalle, la voce morbida e profonda. Giocava dannatamente bene, quasi senza guardare la scacchiera, come se sapesse a memoria ogni mossa, persino le mie.

– “Quindi lei cerca un lavoro, non escludendo“ quelli che nessuno vuole fare” a quanto so. Diciamo che io ho una proposta”.

Arroccai, tentando di difendere me stesso e i miei pochi pezzi superstiti.

– “Diciamo che se una proposta bussa alla porta, di solito non si tratta di un’offerta che puoi trovare all’ufficio di collocamento” – risposi

Sorrise, ed era un’espressione luminosa e triste.

– “Decisamente no. Io le sto offrendo un lavoro unico, e particolare. Le sarà richiesto un abbigliamento consono, piuttosto austero, ma sono certa le piacerà. Le offro una posizione apicale, senza staff. Si risparmierà il fastidio di avere a che fare con colleghi. Dovrà viaggiare molto, ma non le peserà, le assicuro. Si muoverà veloce come il pensiero. Ovunque dovrà andare, sarà già lì.  Avrà una lista di obiettivi, e nessun vincolo su come acquisirli: potrà essere veloce, o terribilmente lento come un’agonia. Deciderà lei.

Molti la temeranno: scoprirà che nella sua professione la semplice minaccia “vengo lì?” assumerà un significato molto, molto particolare. 

Non le posso promettere che sarà amato, ma di certo sarà rispettato. Qualcuno invocherà il suo intervento, ed avrà discrezionalità sul fatto di accettare o meno.

Avrà a che fare con notai, medici, poliziotti, fioristi… mi creda, l’indotto che genera questa professione è semplicemente folle.

La sua unica preoccupazione sarà, oltre al rispetto della lista di obiettivi, mantenere un certo equilibrio tra entrate ed uscite, diciamo cosi.

Oh, e poi avrà dei benefit, anche se, ammetto, sono più che altro un impiccio oggigiorno: tipo quei quattro purosangue ingestibili come l’apocalisse. Ma mi dica, le interessa, finora?”.

– “Non abbiamo parlato di soldi, ecco.” Bisbigliai. Rise, mosse il cavallo e mise il re sotto scacco. Feci una contromossa stupida, più che altro per prendere tempo.

– “Tutti i denari del mondo, se è per questo. Non esiste ricchezza sulla quale non sarà lei ad avere l’ultima parola”.

Rimase in attesa di una risposta, il gatto si era accomodato sul divano accanto a lei, palesemente attratto e allo stesso tempo timoroso. Mi innervosiva, tentai di metterla sul ridere.

– “Senta, ma se questo lavoro è così interessante e cosi prestigioso, perché lo offre a me?

Perché non lo fa lei?
Passò un’ombra appena ghignante sul suo volto, per un breve istante.

– “Perché è un lavoro a tempo indeterminato. Ed alla lunga mi ha stancato. Ho bisogno di una vacanza, e soprattutto ho bisogno di dormire”.

La mia attenzione si focalizzò unicamente sulle parole magiche “tempo indeterminato”.

-“E chi devo uccidere, per avere tutto questo?” chiesi, e la mia voce suonò più stridula di quanto avrei voluto.

Si alzò lentamente, riprese il soprabito.

Mi guardò a lungo. Sfilò il bracciale d’argento e me lo allacciò al polso: c’era un piccolo pendente, a forma di falce.

– “Tutti, mio caro. A tempo debito, tutti quanti”.

Si chinò sul tavolino, e fece l’ultima mossa. Scacco matto. Avevo perso… o avevo vinto?

Ero diventato la creatura più potente del mondo?

La bella signora si avviò alla porta e sull’uscio si voltò a guardarmi un’ultima volta.

“Mi concederai una partita, quando ci rincontreremo.

E un’ultima cosa: la faccenda dei gatti. Loro non sono mai sulla lista. Non puoi prenderli. Ti fregano, sempre. Ti fregano almeno nove volte, prima di riuscire a convincerli a seguirti… affascinanti creature”.

Quando si chiuse la porta alle spalle, il mio appartamento era sparito, e aleggiavo sopra l’umanità ed il tempo, come se fossi immateriale, eterno e persino angelico. Potevo dire di essere ancora vivo!?

Eppure quel giorno compresi che lo sarei stato in eterno.

Arianna Brambilla

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