Ricordo perfettamente come è cominciata, tanti anni fa.
Quando ero bambino il macabro era solo un gioco, inquieto ed affascinante, come quando guardi un film temendo di provare paura ma, in fondo, sperando di sentire scorrere il brivido e poi sconfiggerlo rifugiandosi sotto le coperte.
Non sono però stato un ragazzino ombroso, o solitario, tutt’altro.
Curioso, piuttosto, di cose strane ed insolite, portato a credere che esista un mondo parallelo e soprattutto un mondo sotterraneo. Il che mi rese un abile giocatore di ruolo in adolescenza, e poi un giovanotto propenso a scrivere storie, ed alla fine un uomo con un romanzo gotico nel cassetto.
La mia famiglia aveva buone possibilità epertanto ho potuto viaggiare, studiare, per poi specializzarmi in restauro, nonostante il parere contrario del nonno, il solo a scoraggiare le mie fantasie con sempre maggior preoccupazione man mano che crescevo.
“Non ti farà bene guardare al passato e peggio ti farà guardare in basso” – diceva – “Ci sono persone che non devono farlo, persone che possono risvegliare quello che è meglio stia sepolto”.
E poi cambiava discorso. Mamma sosteneva che era per colpa di suo fratello, cui era molto legato, archeologo di discreta fama sparito in una delle tante avventure tra scavi pergamene e viaggi.
Ad ogni buon conto, la mia professione prendeva forma, mi feci una buona reputazione tra i professori e ad un certo punto mi ritrovai coinvolto in un progetto per il restauro di un ciclo di affreschi in una cappella medioevale bretone, nulla di particolarmente rilevante sul piano artistico ma un buon modo per cominciare a lavorare sul serio.
Cominciò, allora, e mi ricordo perfettamente come.
Quel pomeriggio, sul tardi entrai nella cappella per dare una occhiata prima che montassero i ponteggi, perché con le impalcature avrei perso un po’ la visione d’insieme, essendo necessario che ognuno si concentrasse sul proprio quadrante di lavoro. La chiesetta era in stile gotico e piuttosto buia, data l’ora. Lungo le navate laterali c’erano alcune statue, davanti ad una di queste dei bambini litigavano sottovoce su chi dovesse accendere la candela votiva. Forse era l’eco delle loro voci, o forse lo scricchiolio della struttura, ma sembrava di percepire un suono cupo, lontano e profondo che pareva scorrere tra le mura e rimbombare sul pavimento. Davanti all’altare due sacerdoti discutevano tra loro: il più anziano si interruppe vedendomi entrare, sentivo il suo sguardo fisso su di me e poi una esclamazione soffocata: si affrettòa raggiungermi, sebbene il passo fosse incerto.
“Lei è qui per i restauri vero?”, mi chiese.
“Si, per gli affreschi, io sono assegnato alla sesta cappella, sono venuto qualche giorno prima del gruppo, per vedere e…”
Il prete sembrò curvarsi sotto un peso, e si appoggiò ad una delle panche di legno
“No. Questo non va bene… mi ascolti. Lei non può. Non deve. Per la buona pace del luogo e di noi tutti”
Rimasi piuttosto interdetto: i lavori erano stati ampiamente concordati, era stato messo in chiaro che ad occuparsene sarebbero stati anche degli studenti. Lo spiegai al vecchio parroco, rassicurandolo che non sarei stato lasciato solo con gli affreschi e la mia inesperienza.
Colpì il pavimento con la punta del suo bastone, innervosito, anche se ora, ripensandoci a distanza di anni e consapevole dei fatti che avvennero, so che non era irritazione, ma paura.
“Ho detto che LEI… TU non puoi restaurare la sesta cappella, anzi non dovresti proprio essere qui. Non farà bene a nessuno, altrimenti. Certe cose vanno lasciate al passato, e certe persone non le devono disturbare”
Mi ricordò mio nonno, che non voleva studiassi arte medioevale, che non voleva che coltivassi la mia passione per fatti misteriosi, che detestava sapermi giocare a fantasie che si dipanavano in mondi sotterranei.
Il vecchio si voltò, richiamato dal vociare dei bambini che finalmente avevano accesso il lumino a San Michele, l’arcangelo guerriero, e parve annuire ma non rasserenarsi.
Il prete giovane era rimasto lontano, in piedi. Sembrava incerto, come una persona a metà di un ponte ondeggiante e precario, indeciso se proseguire o tornare indietro.
“Non è tempo per vacillare nella fede” – sospirò il vecchio, e tornò verso il suo compagno
Rimasi a guardarli per un attimo, poi riportai la mia attenzione verso il soffitto ligneo, i capitelli delle colonne, le linee dell’apparente labirinto disegnate dai mosaici sul pavimento. Avanzai verso l’altare, per guardarne i bassorilievi. La sesta cappella era alla fine, nella navata laterale che si prolungava oltre l’altare, e si trovava in una zona completamente buia e, a giudicare alla architettura della cappella, molto probabilmente la luce che filtrava dal rosone e dalle vetrate non arrivava mai a sfiorarla. Era certamente una delle parti meno interessanti dell’intera chiesa, comprensibilmente lasciata agli studenti per il restauro.
Mi avvicinai: a differenza delle altre era chiusa da una inferriata, corrosa in parte dalla ruggine. Non vi erano candele votive né fiori ed in generale, per quanto potevo intravvedere, era in uno stato di trascurato abbandono anche da parte dei fedeli. Per di più ne usciva un odore di polvere ed umidità, eppure era, ai miei occhi, stranamente attraente, mi ricordava i misteri occulti che mi affascinavano tanto da bambino. Volevo dare un’occhiata al suo interno e per farmi luce presi il lumino che i ragazzini avevano acceso davanti alla statua dell’arcangelo Michele, e lo alzai tendendolo attraverso le sbarre. Non vi era granché da vedere: una vecchia sedia dalla seduta in tessuto consunta, un vaso sbeccato; mossi il braccio per mandare un po’ di luce sulla parete, ed illuminai gli affreschi. Si trattava di una Danza Macabra, mal realizzata, a dire il vero: scheletri e figure umane si alternavano in un grottesco balletto, i disegni erano piuttosto rozzi, a tratti scomparsi, eppure alla luce tremolante della candela parvero muoversi e, quegli occhi, fissarmi.
Ed allora, successe.
Il rumore cupo che avevo sentito entrando nella chiesa si ripropose più distinto ed ora sembrava provenire dal basso e da grande profondità, mentre il pavimento tremava. I cardini della cancellata scricchiolarono, come se una forza enorme spingesse dall’interno della cappella per spalancarli verso l’esterno, lungo le lastre di marmo del pavimento si aprirono delle crepe che lasciavano risalire un pulviscolo miasmatico, ed il rumore cresceva, sempre più cupo e sempre più vicino.
Faticai a sentire il grido del vecchio parroco, la sua voce anziana urlare “vada via, maledetto, lei risveglia i morti” mentre si gettava verso la statua dell’arcangelo Michele per levargli la spada dalle mani ma quasi soccombette eal suo peso, mentre tentava di alzarla contro la cappella.
Il giovane prete rimase interdetto per qualche istante, poi corse in suo aiuto, brandendo l’arma con vigore ma senza saper bene cosa fare… Ma non era il momento di vacillare nella fede, come aveva sospirato l’anziano padre, ed il ragazzo parve ritrovarla. Si erse davanti alla cappella fissando lo sguardo in quello che, ora mi rendevo conto, era diventato un portale buio e vuoto, e stavolta fu lui, con voce forte e sicura ad intimarmi di andarmene e chiudere con il catenaccio il portale della chiesa.
L’ultima immagine che conservo è quella di un vecchio, che forse non era affatto solo un parroco di campagna, affrettarsi a radunare tutte le candele di fronte alla statua dell’arcangelo mentre recitava qualcosa che, nel fragore, intesi essere una preghiera che tuttavia non riconobbi, ma non era di certo in latino.
Le loro parole mi inseguirono mentre fuggivo lungo la navata “stia lontano dai morti, stia lontano dal loro riposo”.
Fuggii, e nelle ore seguenti venni a sapere che la cappella era andata a fuoco ed i due sacerdoti erano rimasti intrappolati, e che nessuno aveva aperto indagini. Nei mesi successivi fui tentato di tornare a vedere cosa fosse rimasto, ma appena giunto nel paesino sentii la gente ancora mormorare di “celui que rèveille” e che fosse tornato. Andai in pieno giorno a vedere il luogo, che si trovava fuori dal villaggio: tutto era crollato ma inspiegabilmente il portone ligneo, con i suoi stipiti in pietra e l’architrave scolpita, restava in piedi, come un misterioso portale chiuso da un pesante catenaccio. La gente vi depositava ancora fiori e brillava un lume perpetuo. Appena misi piede sul prato, sentii il terreno vibrare cupo, e percepii il rombo echeggiarmi nelle ossa…me ne andai rapidamente, terrorizzato. Prima di ripartire definitivamente avevo bisogno di bere e di stordirmi, e mentre buttavo giù la terza birra nell’unico bar del paese, una anziana donna si avvicinò. Non mi guardò mai in volto, e mi parlò rapidamente con un sussurro.
“Non le diamo la colpa, perché siamo consapevoli che non conosceva la verità. Ma deve andarsene, e restare lontano, dai morti e dalla Morte, per quanto le sarà possibile. Nella sua famiglia scorre un sangue malato, e forse solo la sua ingenuità lo ha controllato. Ma ora lei sa. E noi sappiamo. Noi siamo i Custodi, i soldati di San Michele. Quando sarà il momento, dovremo occuparci di lei. Viva, nel frattempo, non ascolti il cupo richiamo dei sotterranei, non apra il portale del Dungeon”
Negli anni a venire ho seguito il suo consiglio: ho percorso questo mondo alla luce del sole, ho viaggiato, amato, mi sono negato al richiamo delle cupe fantasie. Il tempo è trascorso, ed ho perso amici senza poterli salutare, i miei familiari senza poter stare al loro fianco: quando il loro destino diventava ineluttabile, io avvertivo il rombo in lontananza, e la terra tremare sotto i miei piedi. E come quel giorno in Bretagna, io dovevo fuggire, senza poter confidare il mio segreto. La mia vita è costellata di storie incompiute, non conosco la consolazione nella perdita, non ho mai potuto fare i conti con la fine: tutti temono la morte ma io devo temerla doppiamente, per me e per voi tutti, e fuggirne per sempre.
Mi son sempre chiesto cosa sarebbe stato di me, al compiersi della mia ora: ci sono cose che non puoi eludere in eterno, e se bastava la mia presenza a risvegliare i morti, cosa sarebbe successo quando io avessi varcato la soglia del dungeon?
Quando ho sentito avvicinarsi la fine del mio viaggio, i Custodi, senza bisogno che li chiamassi, sono venuti a prendermi. Non potevo morire, mi hanno detto: mi porranno in uno stato di sonno vigile, affinché se anche il mio corpo, col tempo,si disgregherà la mia mente, o la mia anima,qualunque cosa sia, possa perdurare in eterno, prigioniera in un attimo di tempo, che non scorrerà mai. Porranno una statua di San Michele sul luogo dove il mio corpo giacerà, anche se penso di aver capito che in realtà si tratti di un Guardiano molto più antico.
Non apparterrò a nessuno dei mondi, mai più vivo, in eternità mai morto. Mi sorvegliano in continuazione, perché sanno che ho paura e vorrei tentare di fuggire per giungere dall’altra parte, ovunque conduca il sotterraneo, piuttosto che restare prigioniero del nulla. Non potrò nemmeno sognare.
Arianna Brambilla