In una fredda sera d’ inverno la signora Ines cessò di lottare per restare in questo mondo. Era in ospedale , nel reparto di geriatria e in quel periodo di quell’anno nefasto il medico avrebbe constatato l’ ennesimo decesso a causa delle complicanze respiratorie dovute a una pandemia che non dava tregua. Evelina era un’ infermiera entrata da poco tempo a far parte dell’equipe di lavoro in quel reparto. Quella sera, assieme a una collega, fecero il giro per osservare le condizioni di salute dei pazienti: qualcuno dormiva, altri ascoltavano la televisione e c’ era chi era ancora sveglio. Arrivò il medico di turno che prese visione delle tristi condizioni di salute della signora Ines che, infatti, dopo pochi minuti smise di lottare perché il suo cuore aveva ceduto e il suo respiro si era fermato. Evelina rimase pietrificata: aveva visto ancora persone morire senza nessuno vicino ; dopo il decesso aveva voluto toccare quel corpo ancora caldo , pensando :” Mio Dio, com’ è possibile morire in questo oblio? ” Durante la vestizione della salma Evelina accarezzò una gamba della signora Ines, quasi volesse accertarsi che in quel corpo tutto si era davvero fermato. Evelina non era mai preparata al cosiddetto ” distacco emotivo” perché ogni volta che una persona anziana deponeva le sue armi per il trapasso, la giovane infermiera si frantumava interiormente, tanta era la sua sofferenza. Tornando a casa con le lacrime agli occhi, si chiese:” Esiste un’arte per morire? Allora se dovesse esistere qualcuno me la dovrebbe spiegare o forse sono io che devo elaborare questi momenti “. Già, perché quando giunge quest’ ora nessuno avverte o chiama, in un dimenticato silenzio.
di Maria Antonietta