“Cosa c’è di diverso in me?”.
“Credo di essere una persona normale.”.
Così iniziavano i pensieri di Marika, e così continuavano giorno dopo giorno, senza una fine, senza un fine.
Una donna in età adulta, intelligente e colta, dotata di un fascino misterioso con il suo viso un po’ scarno, i suoi capelli color rame e quegli occhi scuri, che luccicavano luminosi come due carboni ardenti.
Il suo pensiero fluiva davanti a uno specchio che rifletteva sedulo quell’immagine, riverbero rorido di una donna che faceva fatica ad accettarsi, a capirsi, in un offuscamento introspettivo che diveniva semplicemente solipsistico.
Marika stava vivendo un periodo inconsueto, avulso dalla regolarità della sua vita, un’aberrazione, una fluttuazione tra energie deprimenti e stati d’animo variabili, inconsueti, strazianti. Non si riconosceva più.
Aveva perduto quella parte gioiosa di sé, quella zona di luce che tanto l’aveva illuminata durante gli anni della sua felice esistenza, prospera e aulente.
Così proseguiva il suo monologo: “Mi sento rinchiusa in una gabbia oscura, e qui dentro mi sono abituata. Tutto questo è normale? Me lo chiedo, eppure non trovo una risposta. Sto attraversando un periodo di vuoto, un deserto doloroso, così buio, freddo e tetro. Un deserto di ghiaccio. All’inizio avevo paura di questo indecifrabile scombussolamento, avvolto da una mancanza di chiaro e di calore ma, con il tempo, ho compreso che fra me e l’oblio c’è un legame, c’è qualcosa di familiare in tutto questa notte dove l’aria è così pesante che sembra mi possa schiacciare. Mi sento come alcuni di quei personaggi descritti nei romanzi russi dei primi del novecento, dove gli inetti, i derelitti, i senza speranza, e persino i miserabili, erano i protagonisti, allo sbando, alla deriva, in preda al dolore dell’anima che superava ogni tortura fisica, uomini tormentati dai loro demoni interiori. Penso che ciascun essere umano, prima di intravedere ancora uno spiraglio di luce, si trovi a lottare contro i propri fantasmi. In molte situazioni che ho vissuto hanno vinto le paure, la tenebrosità, mangiando anche l’ultimo frammento di un’anima capace un tempo di percepire i singoli bagliori bellissimi di una vita.
Ci sono persone che ho conosciuto, e che conosco, che mi raccontano che i fantasmi hanno trionfato, le hanno debellate, e che loro, comunque, hanno provato a combatterli, vanamente.
Ma io non voglio. Non voglio che il mio ultimo pensiero, distrutta dentro, sia almeno ho combattuto”.
Oh, no! Io voglio proprio vincere, estasiarmi, battermi fino alla conquista della gioia, falcidiando tenebre, oscurità, scerpando dissidi interiori, svellendo pensieri mesti e gemebondi. Io voglio rinascere oltre il grido di dolore, non più ascoltando queste infinite trenodie vacue e inutili.
Il mio cuore deve empirsi di vita, inondarsi di desiderio, ruscellare energia.
Sognerò calore, anelerò alla luce, mi slancerò in spazi immensi e liberi, e soprattutto, uscirò da questa gabbia oscura, che non esiste, dentro la quale ero solo ristretta, schiacciata, senza respiro. Adesso non ho più paura.
Trarrò fuori la mia anima dal buio che sovrasta questo corpo. Ecco, finalmente sorriderò, dopo tanto tempo, in questa chiarità, remigando lenta nell’immenso della libertà.
Maria Antonietta Maule Pozzani