Racconti brevi

di Alessandro Undici


01136423.interactive.aMontecurvo 18.03.2018

Convento frati cappuccini di San Cristoforo

E’ l’alba di un nuovo giorno, ringraziamo Dio.

Questa mattina, prima della partenza per il pellegrinaggio al ghiacciaio, siamo tutti riuniti nel cortile del convento, per rendere grazie al signore, del raccolto abbondante che ci ha donato.

Abbiamo lavorato duramente e i nostri sacrifici sono stati ricompensati: Mele, patate, pomodori, zucchine e insalata in abbondanza, cosa chiedere di più?

Siamo frati dell’ordine francescano appartenenti all’ordine dei frati minori cappuccini.

Viviamo in solitudine, povertà e penitenza. Professiamo e predichiamo la parola del signore. Seguiamo gli insegnamenti di San Francesco, che regolano la nostra vita quotidiana e spirituale.

Viviamo nel convento arroccato sulla cima del Monte Sibelino a circa 2000 metri sul livello del mare.

Tutto ebbe inizio verso la fine dell’anno 2015 dopo Cristo.

Di lì in avanti furono anni bui, la peggiore pestilenza che l’uomo abbia mai conosciuto si abbatté sulla nostra terra.

Spesso ci siamo chiesti se ci fosse la mano del signore dietro tutto questo, ci chiedevamo come potesse il nostro Dio lasciar accadere tutto ciò. Di una cosa eravamo però certi, c’era sicuramente la mano del maligno. Anche se catastrofi come queste mettono a dura prova anche le anime dei più fedeli, noi non ci siamo mai arresi, né abbiamo mai dimenticato la nostra missione.

Non potevamo in nessun modo arginare la minaccia, potevamo però portare conforto, speranza e coraggio, là dove l’ombra oscura di Satana aveva colpito e questo abbiamo fatto.

Ben presto il mondo si riempì di vaganti, la pandemia si espanse in fretta e le terre brulicarono di moventi corpi senza anima, né vita. Essi erano sicuramente incapaci di intendere e di volere, mossi solo dall’istinto di mordere altre genti, affinché finissero anch’essi arruolati, tra le file dell’esercito del male. Passarono solo poche settimane dalla scoperta del primo focolaio, avvenuta nel nuovo mondo, prima che la pestilenza si diffuse in ogni dove e non c’era posto sulla nostra terra che non fosse stato colpito dalla terribile malattia.

Il mondo era in ginocchio, quattro quinti della popolazione mondiale soccombette.

Le tenebre scesero sulla terra, l’oscurità regnò in ogni dove.

Non esisteva una cura, non c’erano rimedi. I contagiati perivano nell’arco di pochi minuti dal primo morso ricevuto e subito resuscitavano dal regno dei morti. Le nostre preghiere servivano a poco, imparammo in fretta a difenderci dagli attacchi di questi esseri immondi.

Non restammo a guardare, né ci rintanammo nel nostro convento, sentimmo il bisogno di dover fare qualcosa.

Abbiamo cercato invano per mesi di trovare una cura, di far rinsavire queste genti, farle tornare sulla retta via. Le abbiamo provate tutte, esorcismi e benedizioni erano inefficaci. Loro avevano perso la ragione, noi però non abbiamo mai abbandonato la speranza.

A noi frati cappuccini fu affidato il compito di dare l’estrema unzione a tutti i vaganti presenti nella nostra regione, l’Appia. Sapevamo in cuor nostro che ciò che stavamo facendo serviva a poco. Eravamo sicuri che le anime delle genti con cui avevamo a che fare, avevano già da tempo abbandonato quei corpi putridi. Furono istituite squadre speciali dell’esercito, addestrate esclusivamente alla caccia e cattura degli appestati. Non venivano uccisi subito, per prima cosa dovevano essere tutti resi inoffensivi e poi censiti. Al momento della cattura veniva applicata loro all’altezza della bocca una sorta di museruola in ferro a scatto, affinché non potessero più mordere. Come ulteriore misura cautelare venivano legati l’uno all’altro con delle catene. Successivamente venivano fotografati e schedati, poi veniva raccolto anche un campione di DNA e infine venivano trasportati su dei camion fino alla destinazione finale… la piana del pascolo, ribattezzata dai miei fratelli piana della pietà. Qui venivano messi in fila e fucilati, tutti i giorni erano in atto delle vere e proprie esecuzioni di massa.

Come ultimo passaggio i corpi venivano bruciati, quasi a voler cancellare ogni traccia di quello che stava succedendo. Ricordo che dopo pochi giorni dalla diffusione della pestilenza avevamo già terminato l’acqua Santa per le unzioni.

Il contagio raggiunse anche il nostro convento, prima dell’inizio della pandemia contavamo circa settanta frati, quando l’ultimo vagante fu catturato e ucciso e la pestilenza fu del tutto debellata restammo in nove.

Tutti i nostri fratelli, colpiti dalla malattia furono risparmiati dalle esecuzioni, ci furono così affidati i loro corpi e ci venne dato l’ordine perentorio di eliminazione definitiva. Decidemmo così di portarli in cima alla vetta del Montecurvo a 3800 metri sul livello del mare. Sulla vetta più alta è posizionata la croce in ferro battuto del nostro Signore, piantata lì secoli prima dai nostri fratelli fondatori del convento. Fu quello il posto scelto per procedere con l’eliminazione. Avevamo deciso di mettere fine alle sofferenze dei nostri fratelli crocifiggendo le loro teste con croci benedette.

Quella mattina però qualcosa andò storto, eravamo quasi arrivati sulla vetta del ghiacciaio che sovrasta la montagna. Il ghiaccio primaverile non resse e cedette sotto il nostro peso. Noi vivi riuscimmo a salvarci, tutti i nostri fratelli contagiati vennero ad uno ad uno risucchiati all’interno dell’apertura che si era formata, poiché erano legati ai piedi, uno all’altro da una catena di ferro. Il primo che perse l’equilibrio creò dunque un effetto domino, portandosi con sé tutti gli altri. Bastarono pochi secondi alla montagna per inghiottirli tutti. Di loro non c’era più traccia, quella voragine sembrava essere senza fine, furono vani i tentativi di recuperarli.

Tornammo al convento sconvolti da quanto successe e non ne proferimmo parola con nessuno al di fuori del convento. Preghiamo tutte le notti affinché quello che è successo non abbia ripercussioni.

Ora non c’è giorno in cui non andiamo a turno in pellegrinaggio sulla montagna, custodiamo questo segreto e siamo responsabili di ciò che è successo. La nostra missione è adesso quella di evitare che ciò che vi è rimasto intrappolato, possa un giorno uscire e sconvolgere nuovamente gli equilibri di questa terra. Resteremo qui dunque, a guardia della montagna e del segreto che vi è celato al suo interno.

Nei secoli, nonostante carestie, pandemie e guerre, il nostro ordine è sempre sopravvissuto, siamo qui da più di ottocento anni e oggi abbiamo un motivo in più per restare a custodia di un segreto e a guardia di questo ghiacciaio, nel nome di Dio.

“Entro il 2090 tutti i ghiacciai presenti in Italia scompariranno a causa del riscaldamento globale.”

Amen.

 

Alessandro Undici


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